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Il sostantivo bàptisma (βάπτισμα) è un vocabolo raro rispetto a baptismòs (βαπτισμός). Il battesimo cristiano è inteso senz’altro anche come una fine, una morte, a partire dal significato letterale di “immersione”, ma qui Gesù non allude né a questo battesimo né al successivo battesimo di Spirito. Mediante l’immagine dell’acqua, Gesù intende una prova severa, in particolare un’anticipazione del Getsemani, la propria prova personale.
Unica occorrenza in tutta la Scrittura in cui è usato in senso assoluto, il verbo sunechō (συνέχω), oltre al significato letterale di “tenere insieme”, assume quello di “opprimere, pressare” e, al passivo, “essere tormentato, sollecitato”. In questo caso, sembra opportuno non limitare questa oppressione interiore di Gesù alla paura della morte: si tratta dell’insieme del progetto di vita da attuare prima di morire.
Rispetto al parallelo del Vangelo di Matteo (10,34), che usa il termine “spada”, Luca preferisce il termine più astratto diamerismòs (διαμερισμός), che richiama aspetti diversi: la divisione è provocata da più volontà che detengono ciascuna una parte di responsabilità; inoltre la divisione si inscrive nella durata ed è suscitata da una passione più che da una scelta intellettuale.
Commento alla Liturgia
Giovedì della XXIX settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Ef 3,14-21
14Per questo io piego le ginocchia davanti al Padre, 15dal quale ha origine ogni discendenza in cielo e sulla terra, 16perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati nell'uomo interiore mediante il suo Spirito. 17Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità, 18siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, 19e di conoscere l'amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio. 20A colui che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che opera in noi, 21a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 32(33)
R. Dell’amore del Signore è piena la terra.
Esultate, o giusti, nel Signore;
per gli uomini retti è bella la lode.
Lodate il Signore con la cetra,
con l’arpa a dieci corde a lui cantate. R.
Retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
Egli ama la giustizia e il diritto;
dell’amore del Signore è piena la terra. R.
Il disegno del Signore sussiste per sempre,
i progetti del suo cuore per tutte le generazioni.
Beata la nazione che ha il Signore come Dio,
il popolo che egli ha scelto come sua eredità. R.
Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame. R.
Vangelo
Lc 12,49-53
49Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! 50Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! 51Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. 52D'ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; 53si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre , madre contro figlia e figlia contro madre , suocera contro nuora e nuora contro suocera ".
Note
Approfondimenti
L’espressione non è greca (di solito nella Scrittura si getta qualcuno o qualcosa “nel fuoco”) e ha un’origine complessa. Tuttavia, evoca molte reminiscenze bibliche sul fuoco che cade dal cielo come punizione di Dio (cf. Gen 19,24; 2Re 1,10-24) e per questo fa pensare al giudizio escatologico.
Nell’Antico Testamento il fuoco è una forza distruttrice, che indica il giudizio di Dio, ma consente anche a Dio di rivelarsi (cf. il roveto ardente) o di guidare il suo popolo (colonna di fuoco).
Luca pensa qui piuttosto al fuoco della buona notizia e dello Spirito Santo.
Per il Gesù storico, probabilmente il detto fa parte di quel linguaggio parabolico e a volte enigmatico da lui prediletto. Egli è consapevole di venire ad accendere un fuoco, ma che sia benefico o malefico dipende dall’atteggiamento che gli uomini assumono di fronte a lui.
Accendici
L’apostolo Paolo continua a insistere con la sua parola appassionata per aprire un varco nel cuore dei fedeli cui scrive per invitarli a ricevere il dono della fede. Ieri l’apostolo evocava e offriva come un dono di condivisione la sua personale «comprensione» del mistero di Cristo, sottolineando come esso sia l’esplicitazione della volontà salvifica del Padre che è donata veramente a tutti. Oggi si fa viva esortazione a «comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità» così da «conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio» (Ef 3,18-19). Il Signore Gesù, con una parola che rischia di destare una certa apprensione e preoccupazione per la sua forza, in realtà, ci ricorda come la «pienezza» evocata da Paolo sia necessariamente legata alla nostra capacità di fare vuoto nella nostra vita. Solo la rinuncia a tutto ciò che ci conferma nelle nostre strutture abituali può aprire un varco alla relazione con il Signore, che è capace di dare alla nostra vita una pienezza di tutt’altro segno e di tutt’altro sapore.
La parola del Signore Gesù esprime con immagini forti il desiderio del suo cuore e l’ardente anelito di comunicare a ciascuno di noi il fuoco che brucia la sua vita, nell’anelito di permettere a tutti di partecipare al progetto e al disegno del Padre che è stato evocato ieri nella prima lettura:
«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quando vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49).
Se questo è il desiderio del Signore, possiamo chiederci in che misura siamo disponibili a lasciarci inondare da questo fuoco e in che misura invece lo spegniamo con le secchiate dell’autoconservazione di quelle che sono le nostre abitudini e i nostri comodi. L’immagine affettiva usata dal Signore Gesù non tende a demonizzare i rapporti più cari che fanno il tessuto necessario della nostra vita in relazione, ma è il modo più efficace per mettere in evidenza quanto sia necessario aprirsi a una novità che non può che essere anche destabilizzante e richiede non la conservazione, bensì la rifondazione radicale degli affetti di sempre, delle prospettive di sempre, delle attese di sempre.
La domanda è percuotente: «Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra?» e la risposta è ancora più inquietante: «No, io vi dico, ma divisione» (12,51). Sembra che questa parola del Signore Gesù contraddica radicalmente quella dell’apostolo Paolo, che insiste in modo appassionato sul mistero di ricapitolazione e di comunione assoluta cui tutti sono chiamati. In realtà, il Signore Gesù ci ricorda come nessuna comunione autentica sia possibile e duratura senza una chiarificazione limpida della gerarchia interiore di ciò che sta al centro della nostra vita, a motivo e come conseguenza delle nostre scelte più intime e decisive. La comunione non ci esime dal compito di essere fino in fondo persone, anzi ci obbliga a questo passaggio interiore che ha tutto il sapore di un vero e proprio «battesimo» (12,50) non tanto di acqua, ma propriamente di «fuoco» (12,49). Non bisogna mai dimenticare come la pienezza sia direttamente proporzionale al vuoto che facciamo dentro noi stessi.
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