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Il termine «cittadinanza», in greco πολίτευμα, indica la vita, l'organizzazione e le norme di uno «stato». La vulgata (versione latina) lo traduce con conversatio, il cui significato oltrepassa quello di cittadinanza: 1) soggiorno frequente, convivenza, 2) intimità, 3) familiarità, dimestichezza, 4) condotta, contegno. Tutte queste sfumature arricchiscono la condizione di vita del cristiano, il quale può vivere in questo mondo sentendosi già familiare di Dio e del suo Regno.
Commento alla Liturgia
Venerdì della XXXI settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Fil 3,17–4,1
17Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l'esempio che avete in noi. 18Perché molti - ve l'ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto - si comportano da nemici della croce di Cristo. 19La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra. 20La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, 21il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose. 1Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi!
Salmo Responsoriale
Dal Sal 121(122)
R. Andremo con gioia alla casa del Signore.
Quale gioia, quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore!».
Già sono fermi i nostri piedi
alle tue porte, Gerusalemme! R.
Gerusalemme è costruita
come città unita e compatta.
È là che salgono le tribù,
le tribù del Signore. R.
Secondo la legge d'Israele,
per lodare il nome del Signore.
Là sono posti i troni del giudizio,
i troni della casa di Davide. R.
Vangelo
Lc 16,1-8
1Diceva anche ai discepoli: "Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. 2Lo chiamò e gli disse: "Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare". 3L'amministratore disse tra sé: "Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. 4So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua". 5Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: "Tu quanto devi al mio padrone?". 6Quello rispose: "Cento barili d'olio". Gli disse: "Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta". 7Poi disse a un altro: "Tu quanto devi?". Rispose: "Cento misure di grano". Gli disse: "Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta". 8Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
Note
Amministratori
Dall’amministratore «disonesto» (Lc 16,8) siamo chiamati a imparare come essere onesti al massimo delle nostre possibilità. Sembra che la cosa più importante sia quella di non adagiarsi su ciò che si è già realizzato nella vita, per imparare a dare di più creando un ulteriore incremento della propria speranza che, in modo del tutto naturale, sembra essere una speranza per gli altri. L’apostolo Paolo non esita a offrire se stesso come modello, fino a dire:
«fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi» (Fil 3, 17).
Sembra che al cuore del messaggio della Parola di Dio che ci viene incontro quest’oggi vi sia un invito a considerare che il tesoro più importante da custodire sono proprio le relazioni con i nostri fratelli e sorelle in umanità. Infatti, ciò che rende lodabile questo «amministratore disonesto» è il fatto che nel momento della difficoltà non trova di meglio che fare ricorso alle persone con cui, comunque, ha saputo intessere relazioni amicali o di solidarietà e per questo «Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone» (Lc 16,5).
Per comprendere la preziosità del modello che ci viene dal protagonista della parabola, è necessario partire dalla conclusione del testo, ove è lo stesso Signore Gesù a farsi interprete del racconto che ha appena esposto ai suoi uditori:
«I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce» (Lc 16,8).
Anche in altri passi del Vangelo, il Signore Gesù non esita a paragonare il giudizio di Dio a quello di un giudice ingiusto (18,1-8), come pure invita i suoi discepoli a imparare l’astuzia dai serpenti (Mt 10,6). Possiamo dire che sono i contrasti più forti a evidenziare più profondamente i valori sommamente importanti perché la vita vada avanti comunque. Con queste immagini forti, esigenti e paradossali, il Signore chiede ai suoi discepoli di mettere a disposizione del Regno non solo tutte le proprie energie, ma pure di essere capaci di farlo al meglio, proprio come si farebbe nel caso si sentisse venir meno la sicurezza della propria vita e la speranza di un futuro vivibile.
Il ragionamento interiore dell’amministratore non fa una piega:
«Che cosa farò ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua» (Lc 16,3-4).
Laddove noi siamo inclini a pensare alla vita spirituale come un continuo gioco al ribasso, il Signore Gesù ci spinge a giocare al rialzo, stimolandoci potentemente senza omettere una buona dose di provocazione e di audacia, che si spinge fino al limite cercando di rimanere dentro il limite. Detto questo, possiamo ritenere la conclusione della prima lettura come epilogo del vangelo, analogamente alla fine di una favola, e dire: «rimanete in questo modo saldi nel Signore» (Fil 4,1) senza inutili paure e dannose timidezze, per essere veramente ed efficacemente «figli della luce» anche in mezzo alle tenebre.
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