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Secondo l’antropologia semitica, con “corpo” si intende tutto l’essere umano. Tuttavia l’espressione non equivale semplicemente a “in me”, ma evoca il fatto che attraverso il suo corpo incatenato Paolo rende testimonianza a Cristo.
Il termine parrēsia (παρρησία) è diffuso nelle lettere paoline per indicare assenza di paura, sicurezza e libertà di espressione.
Termine raro, apokaradokìa (ἀποκαραδοκία) compare nel NT solo qui e in Rm 8,19 per esprimere l’attesa intensa di un futuro migliore, pur segnata dalle difficili circostanze presenti.
Paolo sembra utilizzare un topos tipicamente greco, secondo cui la morte è da preferire perché è una liberazione da una vita faticosa, ma la motivazione di Paolo è ben diversa: dipende solo dal fatto che essa è la condizione per giungere a una comunione perfetta con il suo Signore.
Alla lettera: “nella carne” (sarx, σάρξ), espressione che può indicare sia una condizione di peccato sia, come in questo caso, il corpo nella sua condizione mortale e debole.
Il verbo analuō (ἀναλύω) richiama l’atto di togliere l’ancora per salpare, di arrotolare la tenda per spostare altrove la propria dimora, di sciogliersi dai vincoli che impediscono di esprimere la propria libertà. Gli autori greci utilizzano il verbo come un eufemismo per indicare la morte.
Il termine epithumia (ἐπιθυμία) è usato di solito nelle lettere paoline con un’accezione negativa, come un’attrazione per qualcosa di proibito o malvagio. Qui e in 1Ts 2,17 invece il termine assume un’accezione positiva, esprimendo una profonda aspirazione di Paolo
Qui il termine doxa (δόξα) assume il significato di “riconoscenza sociale, buona reputazione”. Nel senso figurato ammesso in questo contesto parabolico e in linea con l’interpretazione teologica del v. 11, può indicare la gloria di fronte a Dio, quella perduta con Adamo e ritrovata in Cristo.
Commento alla Liturgia
Sabato della XXX settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Fil 1,18b-26
18Ma questo che importa? Purché in ogni maniera, per convenienza o per sincerità, Cristo venga annunciato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene. 19So infatti che questo servirà alla mia salvezza, grazie alla vostra preghiera e all'aiuto dello Spirito di Gesù Cristo, 20secondo la mia ardente attesa e la speranza che in nulla rimarrò deluso; anzi nella piena fiducia che, come sempre, anche ora Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia. 21Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. 22Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa scegliere. 23Sono stretto infatti fra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; 24ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo. 25Persuaso di questo, so che rimarrò e continuerò a rimanere in mezzo a tutti voi per il progresso e la gioia della vostra fede, 26affinché il vostro vanto nei miei riguardi cresca sempre più in Cristo Gesù, con il mio ritorno fra voi.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 41(42)
R. L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente.
Come la cerva anela
ai corsi d’acqua,
così l’anima mia anela
a te, o Dio. R.
L’anima mia ha sete di Dio,
del Dio vivente:
quando verrò e vedrò
il volto di Dio? R.
Avanzavo tra la folla,
la precedevo fino alla casa di Dio,
fra canti di gioia e di lode
di una moltitudine in festa. R.
Vangelo
Lc 14,1.7-11
1Un sabato si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. 7Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: 8"Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, 9e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: "Cedigli il posto!". Allora dovrai con vergogna occupare l'ultimo posto. 10Invece, quando sei invitato, va' a metterti all'ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: "Amico, vieni più avanti!". Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. 11Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato".
Note
Approfondimenti
Topos (τόπος) è il luogo in cui ci si trova nella comunità o nel regno. L’evangelista pensa in particolare al posto di ognuno davanti allo sguardo di Dio, nel regno e nella chiesa che lo anticipa.
Ricordiamo che quando il Cristo è venuto nel mondo, non c’era “posto” per lui, che è venuto ugualmente e si è insediato tra i poveri. Nella scelta dell’ultimo posto, Luca propone una regola di libertà per cui ciascuno, responsabile della propria vita, è invitato a non considerarsi superiore agli altri.
Questo richiamo di Gesù, fedele alla tradizione sapienziale, è interessato, ma a lungo termine, nel senso che raccomanda una felicità che non sia a scapito degli altri e offre la via dell’abbassamento e del servizio.
Assai meglio
La parola del Signore, che vibra forte contro la perenne abitudine di sedersi alla mensa della vita scegliendo sempre «i primi posti» (Lc 14,7), ci mostra a quali spiacevoli conseguenze possiamo andare incontro nel caso in cui appaia «un altro invitato più degno» (14,8) di noi:
«“Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto» (Lc 14,9).
Quando la Scrittura ci mette in relazione al sentimento della vergogna, dobbiamo subito pensare che si tratta di un discorso molto importante, dal momento che, fin dalle origini (cf. Gen 3), è questo il sentimento che segnala una certa rottura della relazione con il Signore Dio, a cui consegue piuttosto velocemente anche una frattura nel tessuto della fraternità umana in cui si gioca la nostra esistenza (cf. Gen 4).
D’altro canto, l’insegnamento parabolico sembra voler stigmatizzare più la scelta di voler occupare un posto di primo piano che non la possibilità che ciò avvenga. Colui che, spontaneamente, ha la saggezza di sapersi mettere «all’ultimo posto» riceve «onore» (14,19) e — possiamo presumere — sperimenta una grande gioia, quando si sente promuovere fino al primo posto, senza nemmeno aver fatto la fatica di doverselo accaparrare:
«Amico, vieni più avanti!» (Lc 14,10).
Il vangelo non deplora il desiderio, presente in fondo al cuore di ciascuno, di poter sedere in un posto bello e preminente, dove possiamo gustare anche il nutrimento del dialogo con le persone amate. Ciò che viene criticato da Gesù è soltanto la bramosia di prendere con le proprie forze ciò che può essere solo riconosciuto e accolto in una logica di libertà e di amore.
Di questa gioia di saper godere delle cose senza alcuna forzatura, lasciando che siano il tempo e la provvidenza di Dio a guidare al meglio la storia per noi e per tutti, sembra essere pervaso il cuore di Paolo. Pur dentro mille difficoltà, esposto continuamente al rischio della morte a causa della predicazione del vangelo, l’apostolo delle genti giunge al termine della sua missione con estrema docilità e serenità: «Fratelli, purché in ogni maniera, per convenienza o per sincerità, Cristo venga annunciato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene» (Fil 1,18). La capacità di sentirsi in comunione con Dio e con i fratelli, anche quando veniamo spinti qua e là dalle acque e dai tumulti della storia, nasce dall’abitudine di non dover più scegliere quale sia il posto più conveniente a noi riservato, e dalla fiducia che il meglio per noi sia già stato offerto e assicurato nella rivelazione di Gesù Cristo:
«[…] secondo la mia ardente attesa e la speranza che in nulla rimarrò deluso; anzi nella piena fiducia che, come sempre, anche ora Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia» (Fil 1,20).
Quando l’amore ci raggiunge e ci convince del valore che il nostro volto ha agli occhi di Dio, veniamo condotti fuori da noi stessi, in un’estasi inconsapevole e gratuita dove il maggior bene dell’altro conquista la cima delle nostre preferenze, senza alcun ricatto, senza nessuna forzatura. Pur volendo sedersi al primo posto, accanto all’amato Signore che ha sconvolto il corso della sua vita, Paolo si rende conto che c’è maggior «guadagno» (1,21) nel restare a servizio delle chiese di Dio, piuttosto che «lasciare questa vita per essere con Cristo» (1,23). Paolo sceglie di stare all’ultimo posto, quello in cui è «assai meglio» (1,23) sedersi, perché è il luogo dove è possibile continuare a essere prossimi a Dio nella forma più vera e più bella, imitando la sua natura d’amore sempre pronta a mettersi a servizio, affinché il meglio sia per sempre e per tutti:
«Persuaso di questo, so che rimarrò e continuerò a rimanere in mezzo tutti voi per il progresso e la gioia della vostra fede» (Fil 1,25).
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