Commento alla Liturgia

Martedì della XXXI settimana di Tempo Ordinario

Prima lettura

Fil 2,5-11

5Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: 6egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, 7ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall'aspetto riconosciuto come uomo, 8umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. 9Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, 10perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, 11e ogni lingua proclami: "Gesù Cristo è Signore!", a gloria di Dio Padre.

Salmo Responsoriale

Dal Sal 21(22)

R. Da te, Signore, la mia lode nella grande assemblea.
Oppure:
R. Lode a te, Signore, nell’assemblea dei santi.

Scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli. 
I poveri mangeranno e saranno saziati, 
loderanno il Signore quanti lo cercano;
il vostro cuore viva per sempre! R.

Ricorderanno e torneranno al Signore 
tutti i confini della terra;
davanti a te si prostreranno
tutte le famiglie dei popoli. R.

Perché del Signore è il regno: 
è lui che domina sui popoli! 
A lui solo si prostreranno 
quanti dormono sotto terra. R.

Lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione che viene; 
annunceranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
«Ecco l’opera del Signore!». R.

Vangelo

Lc 14,15-24

15Uno dei commensali, avendo udito questo, gli disse: "Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!". 16Gli rispose: "Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. 17All'ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: "Venite, è pronto". 18Ma tutti, uno dopo l'altro, cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: "Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego di scusarmi". 19Un altro disse: "Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi". 20Un altro disse: "Mi sono appena sposato e perciò non posso venire". 21Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al suo padrone. Allora il padrone di casa, adirato, disse al servo: "Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi". 22Il servo disse: "Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c'è ancora posto". 23Il padrone allora disse al servo: "Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia. 24Perché io vi dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena"".

Commento alla Liturgia

Invitati

Roberto Pasolini

Uno di modi più ordinari con cui ci giustifichiamo, nei momenti in cui siamo «invitati» a giocarci nelle cose e con le persone, è quello di identificare la felicità sempre un po’ altrove rispetto alle nostre coordinate satellitari. Pensando di formulare un’arguta osservazione, uno dei commensali che ha appena ascoltato l’invito a invitare poveri, storpi, ciechi e zoppi, lancia la palla lontano da sé. 

«Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!» (Lc 14,15).

L’anonimo personaggio forse non si è accorto di aver appena ribaltato la prospettiva: dalla gioia di invitare i poveri alla propria mensa si è passati alla gioia di essere invitati da Dio al banchetto celeste. Il Signore Gesù non puntualizza, ma segnala un nuovo punto di partenza attraverso un racconto il cui messaggio, alla fine, appare abbastanza chiaro: gli “ultimi” della società accolgono facilmente e felicemente un invito a cena, quelli invece che si sentono “primi” — a causa di quello che possiedono, di quello che devono fare, di ciò a cui sono legati  — declinano l’offerta con molta eleganza.

«[...] io vi dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena» (Lc 14,24).

Il finale tragico di un banchetto che aveva la sola ambizione di rendere tutti sazi e contenti apre lo spazio per una temibile ipotesi: e se il problema fosse proprio la nostra difficoltà a riconoscerci «poveri, storpi, ciechi e zoppi»? Se fosse, in fondo, precisamente questo il motivo per cui ci lasciamo prendere troppo dalle cose (che abbiamo o facciamo): la nostra allergia a riconoscerci poveri e bisognosi, da cui deriva poi anche l’incapacità di rispondere agli inviti a cena che il Signore continuamente ci porge? Se fosse la nostra imbarazzata nudità il motore scatenante di tutte le scuse che accampiamo, pur di non lasciarci soccorrere nel nostro radicale (essere) bisogno(si)?

«Fratelli, abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (Fil 2,5-7).

L’apostolo Paolo indica una strada sempre percorribile, che potremmo riassumere in uno slogan: se ti senti sempre tagliato fuori dal numero degli invitàti — magari perché, senza nemmeno accorgertene più, rifiuti ogni invito — allora invìtati tu senza sciupare tempo in sterili attese. Così ha fatto Gesù quando ha deciso di partecipare alla mensa della nostra umanità, per manifestare pubblicamente il bisogno di Dio di averci alla sua mensa come figli grati e liberi. Infatti, sempre, dai bisogni più radicati e radicali — quelli che ci restituiscono alla nostra povertà di spirito — nascono i movimenti più belli di cui siamo capaci. I limpidi atti d’amore. 

 

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Si tratta di un’espressione idiomatica greca, per esprimere l’uso di una situazione a proprio vantaggio. Il sostantivo harpagmos (ἁρπαγμός) indica una realtà posseduta, conquistata anche con la forza o con il furto, che si vuole a tutti i costi conservare. Il sostantivo schēma (σχῆμα) indica la forma esteriore e riconoscibile di qualcosa o qualcuno. Quindi Cristo non solo fu come gli altri uomini, ma fu il suo comportamento a farlo riconoscere come tale. Nel greco biblico, il verbo kenoō (κενόω) è usato sempre in senso metaforico. Questo è l’unico passo in cui è costruito con un pronome riflessivo, per mettere in risalto l’aspetto personale e libero dello svuotamento di Cristo, che consiste nell’assumere la condizione dello schiavo. Questa è l’unica occorrenza del verbo huperupsoō (ὑπερυψόω) in tutto il NT e descrive un’esaltazione al massimo livello, che include implicitamente la risurrezione e l’ascensione di Cristo.

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