L’evangelista dà voce qui a una preghiera esplicita di Gesù, non solo – come in altri e più numerosi passi – riferendosi al suo modo di pregare, ma svelandone proprio il contenuto attraverso il verbo ἐξομολογέω (exomologhèo), in una delle sue sfumature di significato:
- acconsentire a una proposta, a un’offerta;
- ammettere o confessare un errore, un peccato;
- riconoscere qualcosa o qualcuno, professandolo o dichiarandolo apertamente;
- lodare, significato che emerge dagli ultimi due (confessare e professare): è questo il senso proprio del termine in Lc 10,21, dove Gesù esprime un esultante riconoscimento della benevolenza di Dio Padre e creatore.
La ricchezza di questo verbo è tale da ricondurre all’Antico Testamento, che nella versione greca utilizza ἐξομολογέω (exomologhèo) per tradurre ordinariamente il verbo ebraico della lode e del ringraziamento (hodah), per esempio nel Salmo 85(86),12 che recita «ti loderò, Signore, mio Dio, con tutto il cuore e darò gloria al tuo nome per sempre».
Un altro aspetto sorprendente della preghiera di Gesù verso il Padre è che la lode non riguarda i motivi più diffusi nella preghiera ebraica, come la magnificenza della sua opera e dei suoi interventi nella storia, ma riguarda la rivelazione di un mistero: il mistero della benevolenza di Dio verso i piccoli, della relazione intima di amore tra il Padre e il Figlio e, soprattutto, dell’inserimento in questa comunione dei discepoli di ogni tempo, ai quali il Signore ha «dato conoscere i misteri del regno di Dio» (cf. Lc 8,10).
Commento alla Liturgia
Sabato della XXVI settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Gb 42,1-3.5-6.12-16
1Giobbe prese a dire al Signore: 2"Comprendo che tu puoi tutto e che nessun progetto per te è impossibile. 3Chi è colui che, da ignorante, può oscurare il tuo piano? Davvero ho esposto cose che non capisco, cose troppo meravigliose per me, che non comprendo. 5Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto. 6Perciò mi ricredo e mi pento sopra polvere e cenere". 12Il Signore benedisse il futuro di Giobbe più del suo passato. Così possedette quattordicimila pecore e seimila cammelli, mille paia di buoi e mille asine. 13Ebbe anche sette figli e tre figlie. 14Alla prima mise nome Colomba, alla seconda Cassia e alla terza Argentea. 15In tutta la terra non si trovarono donne così belle come le figlie di Giobbe e il loro padre le mise a parte dell'eredità insieme con i loro fratelli. 16Dopo tutto questo, Giobbe visse ancora centoquarant'anni e vide figli e nipoti per quattro generazioni.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 118(119)
R. Fa’ risplendere il tuo volto sul tuo servo, Signore.
Oppure:
R. Mostrami, Signore, la luce del tuo volto.
Insegnami il gusto del bene e la conoscenza,
perché ho fiducia nei tuoi comandi.
Bene per me se sono stato umiliato,
perché impari i tuoi decreti. R.
Signore, io so che i tuoi giudizi sono giusti
e con ragione mi hai umiliato.
Per i tuoi giudizi tutto è stabile fino ad oggi,
perché ogni cosa è al tuo servizio. R.
Io sono tuo servo: fammi comprendere
e conoscerò i tuoi insegnamenti.
La rivelazione delle tue parole illumina,
dona intelligenza ai semplici. R.
Vangelo
Lc 10,17-24
17I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: "Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome". 18Egli disse loro: "Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. 19Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. 20Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli". 21In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: "Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 22Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo". 23E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: "Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. 24Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono".
Approfondimenti
Per sentito dire
Alla fine del suo lungo itinerario di purificazione attraverso la "scuola del dolore" (Gregorio Magno), Giobbe può dire in tutta verità:
«lo ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto» (Gb 42,5).
Così accogliendo i settantadue discepoli di ritorno dalla loro prima esperienza "pastorale", il Signore Gesù li aiuta ad andare al cuore della loro esperienza: l'essenziale non è ciò che hanno fatto vedere ma l'approfondimento della loro esperienza di fede: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete» (Lc 10,23).
Passare da una fede fatta di luoghi comuni, di comuni paure o di bisogni infantili di sicurezza e protezione a una fede personale capace di rischiare e di pagare di persona: Giobbe è passato tutto intero - dalla testa ai piedi - in questo terribile crogiuolo della fede e, alla fine, può finalmente passare dalla discussione su Dio - la parte più cospicua di tutto il libro - a una relazione con Dio: «Comprendo che tu puoi tutto e che nessun progetto per te è impossibile» (Gb 42,1). Spesso il nostro bisogno di controllare Dio attraverso le nostre immagini e concetti su di lui non fa altro che rendere l'Onnipotente un "poveretto". Non raramente, proprio chiedendo a Dio di mostrare la sua forza e la sua potenza, non facciamo altro che rendergli impossibile di intervenire nella nostra storia e di accompagnare il nostro cammino.
Come Giobbe, come i discepoli, anche noi abbiamo bisogno di vivere l'esperienza del salmista il quale può dire: «Bene per me se sono stato umiliato, perché impari ad obbedirti» (Sal 118,71). Laddove tendiamo a riporre la nostra gioia nei nostri successi "pastorali": «anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome» (Lc 10,17), il Signore Gesù ci invita a riporre la pienezza della nostra gioia nel Mistero che avvolge la nostra vita e che non è scritto sulla terra ma tra le stelle del cielo:
«Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli» (Lc 10,20).
Siamo chiamati ad attraversare la vita e la storia con i piedi per terra e gli occhi sprofondati fra le stelle del cielo. La verità, la bellezza e la gioia del nostro essere e del nostro vivere abitano nel vuoto che intercorre tra cielo e terra: nel desiderio!
Per conservarci in vita il Signore, come nel caso di Giobbe, è talora obbligato a gettarci «su polvere e cenere» (Gb 42,6) al fine di non farci dimenticare che la nostra «patria invece è nei cieli» (Fil 3,20) e che il segreto della nostra gioia in terra consiste in questo desiderio che ci fa andare sempre oltre. Solo questo oltre ci permette di conoscere ogni giorno di più e non «per sentito dire» (Gb 42,5) l'autore della nostra gioia e della nostra pienezza.
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