Commento alla Liturgia

Martedì della XXXI settimana di Tempo Ordinario

Prima lettura

Fil 2,5-11

5Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: 6egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, 7ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall'aspetto riconosciuto come uomo, 8umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. 9Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, 10perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, 11e ogni lingua proclami: "Gesù Cristo è Signore!", a gloria di Dio Padre.

Vangelo

Lc 14,15-24

15Uno dei commensali, avendo udito questo, gli disse: "Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!". 16Gli rispose: "Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. 17All'ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: "Venite, è pronto". 18Ma tutti, uno dopo l'altro, cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: "Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego di scusarmi". 19Un altro disse: "Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi". 20Un altro disse: "Mi sono appena sposato e perciò non posso venire". 21Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al suo padrone. Allora il padrone di casa, adirato, disse al servo: "Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi". 22Il servo disse: "Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c'è ancora posto". 23Il padrone allora disse al servo: "Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia. 24Perché io vi dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena"".

Commento alla Liturgia

Desideri

Luigi Maria Epicoco

Sono estremamente convinto che la prima maniera che ha lo spirito di operare nella vita di una persona è allargargli i desideri. L’affermazione del commensale all’inizio del brano del vangelo di Luca di oggi è un chiaro indizio che si sta smuovendo qualcosa in lui: “Uno dei commensali, avendo udito ciò, gli disse: «Beato chi mangerà il pane nel regno di Dio!»”. Ma Gesù interviene subito per non lasciare che questo desiderio rimanga solo un pio proposito, ma diventi davvero il principio di una rivoluzione. E per fare ciò racconta una parabola mettendo in scena un banchetto a cui alcuni sono invitati. È un chiaro riferimento all’opera di Dio che ha pensato la vita come un invito e il regno di Dio come una festa. Ma quelli che ufficialmente sembrano avere le carte a posto per entrare e sedere a mangiare, rifiutano con dei “validi” motivi che potremmo sintetizzare in questo modo: il possesso, il commercio e il piacere. Se ci pensiamo bene queste tre grandi scuse sono ciò che solitamente tengono la nostra vita in ostaggio. Avere fede, infatti, significa smettere di trovare rassicurazione nel possesso delle cose, ma in realtà quasi mai siamo disposti a liberarci da questa latente idolatria. A noi piace usare le cose per sentirci sicuri e non per incontrare ciò che conta davvero, così alla fine sono le cose stesse a possederci e non il contrario. Allo stesso tempo preferiamo sempre una logica di vita commerciale a una forma di vita gratuita. Commerciare significa fare le cose sempre con un tornaconto, quando invece Dio ci chiede di imparare la gratuita delle cose. La ricerca del piacere è l’ultimo impedimento che potremo definire come il possesso delle persone. È sempre d’impedimento all’incontro con Dio chi usa le persone per star bene lui, riducendo l’altro a oggetto e non incontrandolo mai veramente. Allora gli unici che mangeranno di quella cena saranno quelli che per un motivo o per un altro sono affamati, e hanno smesso di sentirsi sazi di cose che non contano nulla.

Cerca nei commenti

Si tratta di un’espressione idiomatica greca, per esprimere l’uso di una situazione a proprio vantaggio. Il sostantivo harpagmos (ἁρπαγμός) indica una realtà posseduta, conquistata anche con la forza o con il furto, che si vuole a tutti i costi conservare. Il sostantivo schēma (σχῆμα) indica la forma esteriore e riconoscibile di qualcosa o qualcuno. Quindi Cristo non solo fu come gli altri uomini, ma fu il suo comportamento a farlo riconoscere come tale. Nel greco biblico, il verbo kenoō (κενόω) è usato sempre in senso metaforico. Questo è l’unico passo in cui è costruito con un pronome riflessivo, per mettere in risalto l’aspetto personale e libero dello svuotamento di Cristo, che consiste nell’assumere la condizione dello schiavo. Questa è l’unica occorrenza del verbo huperupsoō (ὑπερυψόω) in tutto il NT e descrive un’esaltazione al massimo livello, che include implicitamente la risurrezione e l’ascensione di Cristo.

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