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Letteralmente “sono stato iniziato”. Il verbo mueō (μυέω), infatti, è un termine tecnico utilizzato per l’iniziazione ai culti misterici. Per la forma passiva e la connotazione religiosa, segnala qui l’azione di Dio.
La lettura cristologica, che vede in Cristo colui al quale Paolo si riferisce come datore della forza per affrontare ogni situazione, è attendibile perché l’espressione “in colui” è sempre legata a Cristo in questa lettera. Il verbo endunamoō (ἐνδυναμόω) si lega infatti all’azione del Risorto anche in altre lettere di Paolo. Si tratta però di una forza che Paolo riceve senza esserne condizionato, ma rimanendo indipendente: è la sua dipendenza esclusiva da Dio a renderlo autosufficiente.
Il verbo plēroō (πληρόω) al futuro introduce una promessa, che da una parte richiama l’eredità biblica per cui Dio ridona con generosità quello che è stato dato in aiuto ai poveri, inclusi i prigionieri come Paolo, e dall’altra libera il discorso dal principio greco-romano della reciprocità, trasferendo su Dio l’onere di ricompensare, cosa che, nel suo operare salvifico, sempre fa ben oltre i desideri dei beneficiari.
Letteralmente “mammona di ingiustizia” (mamōnã tēs adikìas, μαμωνᾶ τῆς ἀδικίας), l’espressione è di origine semitica ma si diffonde al tempo del Nuovo Testamento. L’etimologia di “mammona” è incerta, ma potrebbe essere assimilata a quella del nostro “amen”: ciò in cui si ha fiducia, su cui si può contare, su cui ci si può appoggiare. E visto che gli uomini fanno affidamento sul denaro, il termine ha finito per designare i beni materiali. Qui si tratta di un denaro acquisito male. Dal punto di vista del regno non esiste un denaro “pulito”: dilapidare a beneficio degli altri (cioè donare) è il solo modo per ripulire il denaro sporco.
Letteralmente il testo dice “tende (al singolare skēnē, σκηνή) eterne”. Sono le dimore riservate ai credenti nella casa del Padre, qui come nel Vangelo di Giovanni. Nell’esodo, la tenda era il luogo in cui si poteva incontrare Dio, ma anche lo spazio familiare in cui gli israeliti amavano alloggiare una volta sedentarizzati, e quindi esposti anche al rischio dell’idolatria. Nel senso spirituale sono possibili due significati: le “tende eterne” sia come il luogo a cui accedono i credenti alla loro morte sia come il luogo in cui saranno accolti nella parusia. Si tratta comunque di un modo ricco di immagini per parlare del regno di Dio.
L’aramaico e l’ebraico contrappongono “amare” a “odiare” per significare “preferire, optare per, tenere per priorità”. Gesù invita a schierarsi dalla parte di Dio. Presentata come una scelta personale, questa presuppone l’emergere delle nozioni di “persona” e di “libertà di scelta”. Per appartenere a Dio, dunque, non basta far parte del popolo d’Israele per nascita. Pur rimanendo il passaggio di appartenenza da un padrone (mammona) all’altro (Dio), è in Cristo che la sottomissione diventa libertà.
Commento alla Liturgia
Sabato della XXXI settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Fil 4,10-19
10Ho provato grande gioia nel Signore perché finalmente avete fatto rifiorire la vostra premura nei miei riguardi: l'avevate anche prima, ma non ne avete avuto l'occasione. 11Non dico questo per bisogno, perché ho imparato a bastare a me stesso in ogni occasione. 12So vivere nella povertà come so vivere nell'abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all'abbondanza e all'indigenza. 13Tutto posso in colui che mi dà la forza. 14Avete fatto bene tuttavia a prendere parte alle mie tribolazioni. 15Lo sapete anche voi, Filippesi, che all'inizio della predicazione del Vangelo, quando partii dalla Macedonia, nessuna Chiesa mi aprì un conto di dare e avere, se non voi soli; 16e anche a Tessalònica mi avete inviato per due volte il necessario. 17Non è però il vostro dono che io cerco, ma il frutto che va in abbondanza sul vostro conto. 18Ho il necessario e anche il superfluo; sono ricolmo dei vostri doni ricevuti da Epafrodìto, che sono un piacevole profumo, un sacrificio gradito, che piace a Dio. 19Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 111(112)
R. Beato l'uomo che teme il Signore.
Beato l'uomo che teme il Signore
e trova grande gioia nei suoi comandamenti.
Potente sulla terra sarà la sua stirpe,
la discendenza dei giusti sarà benedetta. R.
Felice l'uomo pietoso che dà in prestito,
amministra i suoi beni con giustizia.
Egli non vacillerà in eterno:
il giusto sarà sempre ricordato. R.
Sicuro è il suo cuore, non teme;
egli dona largamente ai poveri,
la sua giustizia rimane per sempre,
la sua potenza s'innalza nella gloria. R.
Vangelo
Lc 16,9-15
9Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne. 10Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. 11Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? 13Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza". 14I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffe di lui. 15Egli disse loro: "Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole.
Note
Fedeli nel poco
“Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto”. Il poco a cui si riferisce Gesù è “il poco” di questa vita che si contrappone “al molto” della vita eterna. Ma invece di demonizzare questa vita, Gesù dice che è qui che si gioca o meno la possibilità del molto. Essere fedeli nel poco significa mostrare la posizione giusta davanti a cui dobbiamo porre noi stessi rispetto alle cose di questo mondo. Esse servono, ma non devono mai diventare un fine. Se tu ti liberi dalla logica del possesso allora sei pronto ad accogliere la responsabilità del molto che ti verrà concessa nella vita eterna. Ma quello che deve essere chiaro è che non si può tenere il piede in due scarpe: “Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona”. La grande domanda che ci pone Gesù nel Vangelo di oggi è: chi occupa il posto esclusivo nel tuo cuore? Dio o il possesso? La verità è che anche noi a volte come i farisei e gli scribi pensiamo che basti la correttezza della performance religiosa per salvarci. Ma Gesù dice che ciò che conta nella vita di una persona è altro: “I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si beffavano di lui. Egli disse: «Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio»”. Pensare di valere davanti agli occhi degli uomini non conta nulla per il Signore che vede invece ciò che ci portiamo nel segreto del cuore. Se imparassimo questa lezione faremmo pulizia dentro di noi invece di lustrare la nostra immagine fuori di noi. Infatti vivere cercando solo il consenso degli altri e del mondo a volte ci trasforma in un abominio e non in quel capolavoro che Dio aveva in mente quando ci ha dato la vita. Solo abbandonando la logica dell’apparenza scopriremo la logica di Dio che vede l’essenziale che conta e non l’effimero che finisce.
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