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Il verbo hupodèchomai (ὑποδέχομαι), che significa “accogliere”, implica l’ospitalità in tutta la sua generosità e secondo tutte le sue regole. Per il giudaismo non è consueto che una donna diriga la sua casa e vi accolga un uomo. Probabilmente, è l’ambiente greco ellenistico che raccoglie un invito all’emancipazione nella predicazione cristiana sull’atteggiamento aperto di Gesù. Inoltre, è sempre stata una preoccupazione cristiana l’accoglienza dei missionari itineranti.
Per esprimere la richiesta di aiuto di Marta, l'evangelista ricorre a un verbo molto singolare (συναντιλαμβάνομαι), che ricorre solo un'altra volta nel Nuovo Testamento: «Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto (συναντιλαμβάνομαι) alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili» (Rm 8,26). L'accostamento è molto intrigante: proprio nel momento in cui Marta lascia emergere la sua debolezza si sta – forse inconsapevolmente – rendendo docile e disponibile all'aiuto che solo Dio può donare, per mezzo del suo Spirito.
Il verbo raro perispàō (περισπάω) significa “essere tirato da tutte le parti, essere assorbito, essere indaffarato". Contiene pertanto i significati complementari di “tirarsi fuori da una realtà ed essere assorbito da altre”. A volte, come in questo versetto, prende una sfumatura peggiorativa non tanto per contrapporre la diaconia della tavola con la diaconia della parola, ma per confrontare due atteggiamenti spirituali: l’atteggiamento di Marta è comprensibile ma sproporzionato, e le impedisce di vivere l’essenziale del momento presente.
Con le sue delicate parole, il Signore Gesù fa compiere a Marta, e ai discepoli di ogni tempo in ascolto, il passaggio dall’isolamento del v. 40, in cui Marta si è sentita “sola”, abbandonata (mònos, μόνος) alla “sola cosa” (enòs, ἑνός) indispensabile del v. 42.
Il senso teologico del verbo merimnàō (μεριμνάω) si innesta sul significato greco profano di considerare l’avvenire con angoscia, tanto da farsi bloccare nell’agire, per offrire una diversa prospettiva: le preoccupazioni non sono eliminate miracolosamente dalla fede, ma possono essere deposte in Dio. Lo stesso termine al sostantivo, infatti, è usato nel Sal 55,23: “deponi le tue preoccupazioni nel Signore”.
Unica occorrenza di questo verbo nel Nuovo Testamento, thorubàzō (θορυβάζω) significa “creare disordine, provocare agitazione”. Il thorubos si percepisce anzitutto con l’udito: dal rumore si coglie l’agitazione.
L’aggettivo agathòs (ἀγαθός) può essere considerato sia come superlativo (da cui la traduzione “migliore”) sia con valore assoluto, nel qual caso l’espressione suonerebbe “la parte buona”: è buono tutto quanto Dio offre e fa, è buono quanto corrisponde alla volontà di Dio e riceve da lui la propria qualità. Quel che preme a Luca non è contrapporre due scelte, ma ricordare la priorità dell’ascolto della parola di Dio. Solo la fede, ai suoi occhi, permette di cogliere che siamo serviti dal Signore prima di servirlo.
Con le sue delicate parole, il Signore Gesù fa compiere a Marta, e ai discepoli di ogni tempo in ascolto, il passaggio dall’isolamento del v. 40, in cui Marta si è sentita “sola”, abbandonata (mònos, μόνος) alla “sola cosa” (enòs, ἑνός) indispensabile del v. 42.
Commento alla Liturgia
Martedì della XXVII settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Gal 1,13-24
13Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo: perseguitavo ferocemente la Chiesa di Dio e la devastavo, 14superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com'ero nel sostenere le tradizioni dei padri. 15Ma quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque 16di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti, subito, senza chiedere consiglio a nessuno, 17senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco. 18In seguito, tre anni dopo, salii a Gerusalemme per andare a conoscere Cefa e rimasi presso di lui quindici giorni; 19degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore. 20In ciò che vi scrivo - lo dico davanti a Dio - non mentisco. 21Poi andai nelle regioni della Siria e della Cilìcia. 22Ma non ero personalmente conosciuto dalle Chiese della Giudea che sono in Cristo; 23avevano soltanto sentito dire: "Colui che una volta ci perseguitava, ora va annunciando la fede che un tempo voleva distruggere". 24E glorificavano Dio per causa mia.
Vangelo
Lc 10,38-42
38Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. 39Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. 40Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: "Signore, non t'importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti". 41Ma il Signore le rispose: "Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, 42ma di una cosa sola c'è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta".
Note
Marta e Maria
La storia di Marta e Maria popola il nostro imaginario cristiano, tirando fuori la possibile contrapposizione che si crea tra azione e contemplazione. Penso però che la faccenda sia può profonda. Innanzitutto perché probabilmente Luca raccontando la storia di queste due sorelle vuole mettere in evidenza due atteggiamenti di Israele. Il primo è quello di Marta che è “presa dal suo fare”, così come ogni buon Israelita è intento a seguire i suoi 613 precetti che lo preparerebbero all’incontro con il Signore. Maria, invece, si accorge che in casa è entrato già il Messia, e lascia perdere le cose da fare per fare spazio completamente a Lui. Ella rappresenta Israele capace di lasciarsi mettere in crisi dall’iniziativa di Dio che entra nella vita in maniera inaspettata e chiede di essere accolto ed ascoltato. Non è Gesù a contrapporre queste sorelle, ma è Marta che si contrappone a Maria pensando che il dovere delle cose da fare deve avere precedenza anche sulla Sua stessa Presenza: «Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma Gesù le rispose: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta». Gesù non vuole cancellare il fare di Maria, ma vuole che esso si purifichi nella contemplazione, che ritrovi cioè il proprio punto focale. Quello che capita spesso anche nella nostra vita, è avere moltissime cose da fare ma non riuscire più a fare la differenza tra ciò che è urgente e ciò che è essenziale. Viviamo inseguendo le urgenze, e ci perdiamo ciò per cui vale la pena vivere. I contemplativi non sono quelli che non fanno niente, ma sono quelli che tentano di difendere con tutte le loro forze il primato di ciò che è essenziale contro tutte le pressanti richieste delle urgenze della vita che vorrebbero tirarci sempre a destra e a manca. In questo senso un po’ più di contemplazione cambierebbe il mondo.
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