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Letteralmente “sono stato iniziato”. Il verbo mueō (μυέω), infatti, è un termine tecnico utilizzato per l’iniziazione ai culti misterici. Per la forma passiva e la connotazione religiosa, segnala qui l’azione di Dio.
La lettura cristologica, che vede in Cristo colui al quale Paolo si riferisce come datore della forza per affrontare ogni situazione, è attendibile perché l’espressione “in colui” è sempre legata a Cristo in questa lettera. Il verbo endunamoō (ἐνδυναμόω) si lega infatti all’azione del Risorto anche in altre lettere di Paolo. Si tratta però di una forza che Paolo riceve senza esserne condizionato, ma rimanendo indipendente: è la sua dipendenza esclusiva da Dio a renderlo autosufficiente.
Il verbo plēroō (πληρόω) al futuro introduce una promessa, che da una parte richiama l’eredità biblica per cui Dio ridona con generosità quello che è stato dato in aiuto ai poveri, inclusi i prigionieri come Paolo, e dall’altra libera il discorso dal principio greco-romano della reciprocità, trasferendo su Dio l’onere di ricompensare, cosa che, nel suo operare salvifico, sempre fa ben oltre i desideri dei beneficiari.
Letteralmente, “nella tenebra esterna” (to skotos to exōteron, τὸ σκότος τὸ ἐξώτερον), cioè alla dannazione. Matteo usa questa espressione anche in 8,12 e in 25,30 per descrivere questo luogo come buio e senza luce, perché molto lontano da Dio.
Commento alla Liturgia
XXVIII Domenica Tempo Ordinario
Prima lettura
Is 25,6-10a
6Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. 7Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni. 8Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l'ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato. 9E si dirà in quel giorno: "Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza, 10poiché la mano del Signore si poserà su questo monte". Moab invece sarà calpestato al suolo, come si pesta la paglia nel letamaio.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 22(23)
R. Abiterò per sempre nella casa del Signore.
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l'anima mia. R.
Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza. R.
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca. R.
Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni. R.
Seconda Lettura
Fil 4,12-14.19-20
12So vivere nella povertà come so vivere nell'abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all'abbondanza e all'indigenza. 13Tutto posso in colui che mi dà la forza. 14Avete fatto bene tuttavia a prendere parte alle mie tribolazioni. 19Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù. 20Al Dio e Padre nostro sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Vangelo
Mt 22,1-14
1Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse: 2"Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4Mandò di nuovo altri servi con quest'ordine: "Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!". 5Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8Poi disse ai suoi servi: "La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze". 10Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. 11Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l'abito nuziale. 12Gli disse: "Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?". Quello ammutolì. 13Allora il re ordinò ai servi: "Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti". 14Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti".
Note
Approfondimenti
In Matteo la congiunzione de (δὲ) indica la necessità di cambiare prospettiva, più che un’azione avversativa (ma).
Per interpretare questo misterioso detto di Gesù, si può tenere conto che l’aggettivo polloi (πολλοὶ) allude probabilmente all’Israele di Dio, il popolo “chiamato”, in linea con altri due detti: 20,28, sul Figlio dell’uomo venuto per dare la vita “in riscatto per molti”, e 26,28, sul calice come “sangue dell’alleanza, che sarà versato per molti”. Inoltre, la Scrittura ci insegna che, quando Dio sembra escludere qualcuno – parlando di “molti” invece che di “tutti” – lo fa perché sta cominciando a offrire la sua salvezza a qualcuno nella prospettiva di non escludere nessuno.
D’altra parte, l’aggettivo oligoi (ὀλίγοι) è un semitismo che significa “meno di”, “non tutti”, in linea con l’idea di chiamata su cui si gioca tutta la parabola delle nozze.
Sembra esserci un gioco di parole tra l’aggettivo klētos (κλητός), che deriva dal verbo più ricorrente in questi versetti – e cioè kaleō (καλέω), “chiamare” – e l’aggettivo eklektos (ἐκλεκτός), che è un composto del verbo legō (λέγω) e significa “scegliere”.
Cambiare
Alla fine, sembra proprio che si possa entrare alla festa di nozze senza invito, con una libertà imprevista che è frutto certo della liberalità del re che organizza la festa nuziale per suo figlio, ma pure è la conseguenza del rifiuto di presenziare all’evento da parte di quanti hanno – così sembra – di meglio da fare. Vi è qualcosa che accomuna gli invitati che preferiscono i loro affari e quell’invitato colto in flagrante incoscienza. In ambedue i casi, anche se in modi diversi, non ci si è lasciati realmente scomodare dall’invito ad essere partecipi di una gioia la cui qualità è direttamente proporzionale alla capacità di lasciarsi appunto scomodare, disturbare… in una parola cambiare. Fa parte del nostro linguaggio quotidiano: "mi vado a cambiare". È un modo per dire tutta la nostra attenzione ad essere capaci di attenzione alle persone che dobbiamo incontrare o, ancora più banalmente ma non meno preziosamente, alle cose che dobbiamo fare in un certo momento, in una data situazione che esige una sorta di obbedienza alla realtà piena di finezza. Ogni volta che sentiamo il bisogno e il dovere di "doverci cambiare" riveliamo la nostra capacità di lasciarci disturbare e cambiare profondamente da ciò che ci circonda e ci interpella.
Bisogna essere pronti a pagare di persona come il figlio del re per le cui nozze tutti siamo chiamati non solo a rallegrarci ma in cui siamo chiamati a coinvolgerci. È Dio che ci invita e prepara il banchetto, ma ciò esige il nostro “accordo”.
È come se qualcuno si presentasse ad una festa di matrimonio in pantaloncini corti e bandana, oppure in abito da lavoro e un paio di ciabatte: tutti sarebbero un po’ imbarazzati e difficilmente si accetterebbe la giustificazione secondo cui basta l’intenzione e che non bisogna formalizzarsi perché l’importante è il cuore e il desiderio di festeggiare e rallegrarsi con gli sposi. In realtà, non basta l’intenzione di essere presenti ad una «festa di nozze» (Mt 22,2); è necessario entrare nella dinamica della festa, che è il risultato dell’apporto generoso e coinvolto di ciascuno. Un’altra parabola viene raccontata dal Signore Gesù e si rivolge ancora una volta in modo diretto ai capi dei sacerdoti e ai farisei.
In realtà le parabole sono due! una riguarda coloro che, invitati per primi, «non se ne curarono» (22,5) affatto e non solo disertarono l’invito, ma maltrattarono fino ad uccidere coloro che erano latori di una parola assolutamente innocua e priva di ogni minaccia: «Venite alle nozze!» (22,4). L’altra invece riguarda uno dei tanti cui è stato rivolto l’invito e si è precipitato nella stanza nuziale, forse si è lanciato famelico sul banchetto senza indossare «l’abito nuziale» (Mt 22,11). Nell’uno e nell’altro caso la conseguenza è assai forte! Nel primo caso il re «mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città» (22,7). Nel secondo caso il re ordinò «Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre, là sarà pianto e stridore di denti» (22,13). La conclusione della parabola vale per ambedue le mini-parabole:
«Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti» (22,14).
Non si tratta certo di distinguere i buoni dai cattivi, visto che al cuore della parabola si trova una parola che non bada a catalogare gli invitati: «tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze» e si aggiunge che i servi obbedienti al loro padrone e agendo secondo le sue intenzioni: «radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali» (22,9-10).
L’aspetto su cui il Signore Gesù vuole attirare l’attenzione è che non è la nostra dignità a farci oggetto della chiamata di Dio, ma è la chiamata di Dio a darci una dignità nuova che permette alla nostra vita di assumere una piena dignità. Ecco perché, sia nel caso dell’invito mancato che nel caso della tenuta inadeguata, si rivela una incapacità a cogliere la portata del dono che ci viene fatto non accettando così di cogliere l’invito alle nozze, che è sempre un invito a uscire da se stessi per aprirsi a qualcosa di nuovo che eccede dai nostri programmi, dalle nostre aspettative, dalle nostre abitudini e persino dalle nostre economie. Ce lo ricorda il profeta Isaia quando dice «poiché la mano del Signore si poserà su questo monte» (Is 25,10). Si tratta del monte della nostra vita in tensione, davanti a cui e per cui il Signore continua ogni giorno a preparare una «mensa sotto gli occhi! (Sal 22,5) dei nemici della nostra gioia. Potremmo fare nostre le parole dell’apostolo:
«so vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà forza» (Fil 4,12-13).
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