Commento alla Liturgia

Venerdì della XXX settimana di Tempo Ordinario

Prima lettura

Fil 1,1-11

1Paolo e Timòteo, servi di Cristo Gesù, a tutti i santi in Cristo Gesù che sono a Filippi, con i vescovi e i diaconi: 2grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo. 3Rendo grazie al mio Dio ogni volta che mi ricordo di voi. 4Sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia 5a motivo della vostra cooperazione per il Vangelo, dal primo giorno fino al presente. 6Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest'opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù. 7È giusto, del resto, che io provi questi sentimenti per tutti voi, perché vi porto nel cuore, sia quando sono in prigionia, sia quando difendo e confermo il Vangelo, voi che con me siete tutti partecipi della grazia. 8Infatti Dio mi è testimone del vivo desiderio che nutro per tutti voi nell'amore di Cristo Gesù. 9E perciò prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, 10perché possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, 11ricolmi di quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.

Vangelo

Lc 14,1-6

1Un sabato si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. 2Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisìa. 3Rivolgendosi ai dottori della Legge e ai farisei, Gesù disse: "È lecito o no guarire di sabato?". 4Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò. 5Poi disse loro: "Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?". 6E non potevano rispondere nulla a queste parole.

Commento alla Liturgia

Il meglio

Roberto Pasolini

In un giorno di sabato, in una casa, durante un pranzo. Gesù avverte che l’attenzione sulla sua persona e sulla sua opera in favore del vangelo cresce. Mentre tutti gli sguardi sono rivolti verso di lui, il Maestro invece volge il suo sguardo a chi, in quel giorno, in quella casa, durante quel pranzo, porta nella sua pelle rigonfiamenti e ferite.

Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisia (Lc 14,2)

In tanti momenti, anche noi ci troviamo in questa situazione. C’è un bisogno, qualcuno da aiutare, una situazione da soccorrere. E — siccome il mondo è pieno di difficoltà — il più delle volte verifichiamo soltanto se è ancora il nostro turno, oppure siamo autorizzati a passare il turno. Tanto Dio o qualcun altro provvederà. Arrestandoci dietro i confini di ciò che è lecito e di ciò che si deve fare. Senza dire nulla. Senza muovere un dito.

Rivolgendosi (lett. Rispondendo) ai dottori della Legge e ai farisei, Gesù disse: «È lecito o no guarire di sabato?» (14,3)

Curiosamente, il testo non dice che Gesù si “rivolge”, ma che “risponde” ai capi religiosi, anche se questi non hanno in realtà detto nulla. Ma il silenzio e le omissioni non sono nulla. Sono, purtroppo, quella parola che troppo spesso tutti noi sottoscriviamo, ogni volta che siamo insensibili al volto del fratello che attende il nostro coinvolgimento e il nostro conforto. Quasi per insegnarci a ripartire da ciò che sempre è lecito fare — il bene — il Signore Gesù compie un gesto che guarisce il malato e svela il vero significato del sabato.

Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò (14,4)

La domanda retorica con cui il vangelo si chiude non vuole umiliare gli avversari, ma ricordare loro che questa attenzione a tendere una mano verso chi ha bisogno è scritta dentro il cuore, una legge inderogabile. E li invita a passare dal lecito al meglio, dall’amore per la legge alla legge dell’amore. Un dinamismo che, dopo la Pasqua di Gesù, ha cominciato a infiammare la vita e la carne di tutti i suoi discepoli.

«E perciò prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, perché possiate distinguere ciò che è meglio» (Fil 1,9-10)

Il meglio è quello che sempre possiamo fare. È l’amore che possiamo sempre scegliere di promuovere, riconoscere, costruire. Tante situazioni, ogni giorno, ci attendono silenziose e bisognose di qualcosa che noi — solo noi — possiamo fare. Nemmeno Dio può — anzi, vuole — compierle al posto nostro. Perché si fida di noi. Del nostro cuore e delle nostre mani. Del nostro — cioè suo — meglio.

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