Commento alla Liturgia

Mercoledì della XXXII settimana di Tempo Ordinario

Prima lettura

Tt 3,1-7

1Ricorda loro di essere sottomessi alle autorità che governano, di obbedire, di essere pronti per ogni opera buona; 2di non parlare male di nessuno, di evitare le liti, di essere mansueti, mostrando ogni mitezza verso tutti gli uomini. 3Anche noi un tempo eravamo insensati, disobbedienti, corrotti, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri, vivendo nella malvagità e nell'invidia, odiosi e odiandoci a vicenda. 4Ma quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, 5egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, con un'acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo, 6che Dio ha effuso su di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, 7affinché, giustificati per la sua grazia, diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna.

Vangelo

Lc 17,11-19

11Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13e dissero ad alta voce: "Gesù, maestro, abbi pietà di noi!". 14Appena li vide, Gesù disse loro: "Andate a presentarvi ai sacerdoti". E mentre essi andavano, furono purificati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: "Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?". 19E gli disse: "Àlzati e va'; la tua fede ti ha salvato!".

Commento alla Liturgia

Indietro

MichaelDavide Semeraro

Il senso ultimo del nostro cammino è quello di essere sempre più in grado di essere maggiormente «giustificati per la sua grazia» per diventare «eredi della vita eterna» (Tt 3,7). Nel Vangelo ci viene narrato il modo in cui la grazia non solo viene donata, ma pure esige di essere accolta e quasi metabolizzata perché sia in grado di illuminare e trasformare la vita in modo reale e profondo. Si potrebbe riassumere il messaggio delle due letture di oggi così: non basta essere «purificati» (Lc 17,17) per essere realmente «giustificati» (Tt 3,7). La differenza si fa mediante il segno di quel cammino all’«indietro» (Lc 17,18) che permette di andare oltre il proprio bisogno e di intercettare il desiderio più profondo che abita il nostro cuore umano, il desiderio di potersi relazionare nel segno di una gratitudine capace di approfondire i legami e non solo di offrirsi reciprocamente delle prestazioni. Quando sentiamo semplicemente che il Signore viene incontro alle nostre necessità, non siamo ancora entrati nel dinamismo della grazia, che esige la capacità di tornare sui propri passi per celebrare una relazione accolta e riconosciuta. Questo avviene quando a spingere verso l’altro non è più solo il bisogno. Questo può avvenire quando a muovere i passi è il desiderio di non lasciar cadere nell’oblio la sofferenza, che può diventare luogo di grazia attraverso l’esercizio di una memoria grata.

Le parole del salmo assumono in questo contesto un peso assai particolare: «mi guida per il giusto cammino a motivo del suo nome» e ancora «il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza», come pure

«bontà e fedeltà mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita» (Sal 22).

Il salmista ci aiuta ancora una volta a comprendere il mistero di questo saper leggere il mistero della nostra vita all’indietro, in una capacità sempre più consapevole di fare memoria del dono di una relazione con Dio che ci restituisce alla piena relazione con i nostri simili. La vera lebbra da cui tutti noi abbiamo bisogno di essere purificati è quel senso di isolamento che rischia di renderci non solo estranei, ma persino ostili gli uni agli altri. L’apostolo si lascia prendere da un giusto entusiasmo: «Ma quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia» (Tt 3,4-5).

Possiamo sentire così tutta la forza dell’osservazione di Gesù che ci interpella:

«Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?» (Lc 17,17-18).

Imparare a tornare indietro resistendo a tutti quegli stimoli – interiori ed esterni – che spingono ad andare sempre avanti, senza mai soffermarsi sulla vita che noi stessi abbiamo la gioia e il compito di vivere. Laddove la nostra supplica si fa fervente e insistente, non dobbiamo mai dimenticare di fare memoria dei doni ricevuti per aprirci alla gratitudine, che è il primo grado e il primo passo di ogni vera guarigione:

«Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!» (Lc 17,19).

 

Cerca nei commenti

Il verbo apantàō (ἀπαντάω) significa “farsi avanti per incontrare, venire incontro” in modo amichevole, ma anche “affrontare” il nemico nel corso di una battaglia oppure “comparire” in giudizio. Al tempo di Luca, il relativo sostantivo apàntēsis (ἀπάντησις), “incontro”, ha assunto un significato tecnico: l’incontro con il Cristo risorto al momento della parusia. I dieci lebbrosi si appellano a Gesù con il titolo onorifico epistàtēs (ἐπιστάτης), che vuol dire “maestro, padrone, capo”, nel senso di colui che possiede potere più che sapere. Ogni volta che si rivolge a Gesù con questo titolo, il discepolo manifesta una fede debole o un’intelligenza limitata. L’atteggiamento di nove dei dieci lebbrosi nel seguito del racconto lo evidenzia. Nel libro del Levitico si chiama purificazione (dal verbo katharìzō), mentre il Vangelo di Luca la chiama alla maniera dei greci: guarigione, dal verbo iàomai (ἰάομαι). Il verbo hupostrèphō (ὑποστρέφω), uno dei preferiti di Luca, ha un significato di luogo (il lebbroso torna sui propri passi) ma, in associazione alla gioia e alla lode, suggerisce anche un movimento spirituale: il lebbroso interiorizza la sua guarigione, vede rafforzata la fiducia iniziale, approfondisce la propria fede e completa la sua conversione, anche se per parlare del ritorno a Dio Luca impiega altri verbi (epistrèphō e metanoō).

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