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L’utilizzo del verbo θεραπεύω (terapèuo), per indicare la stupefacente azione di guarigione compiuta da Gesù verso la folla di malati che si raduna intorno a lui, offre la possibilità di scoprire che il primo – peculiare e a prima vista distante – significato di “servire o rendere omaggio a una divinità” slitta prontamente in quello di “prendersi cura, curare dal punto di vista medico, risanare”. Quasi a suggerire che i gesti terapeutici del Signore equivalgono a rendere culto a Dio, che per Gesù si onora Dio onorando la sofferenza e la fame degli uomini, suoi figli.
Commento alla Liturgia
Mercoledì della I settimana di Avvento
Prima lettura
Is 25,6-10a
6Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. 7Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni. 8Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l'ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato. 9E si dirà in quel giorno: "Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza, 10poiché la mano del Signore si poserà su questo monte". Moab invece sarà calpestato al suolo, come si pesta la paglia nel letamaio.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 22(23)
R. Abiterò nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita.
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l'anima mia. R.
Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza. R.
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca. R.
Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni. R.
Vangelo
Mt 15,29-37
29Gesù si allontanò di là, giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, lì si fermò. 30Attorno a lui si radunò molta folla, recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì, 31tanto che la folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi guariti, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano. E lodava il Dio d'Israele. 32Allora Gesù chiamò a sé i suoi discepoli e disse: "Sento compassione per la folla. Ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non vengano meno lungo il cammino". 33E i discepoli gli dissero: "Come possiamo trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?". 34Gesù domandò loro: "Quanti pani avete?". Dissero: "Sette, e pochi pesciolini". 35Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, 36prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò e li dava ai discepoli, e i discepoli alla folla. 37Tutti mangiarono a sazietà. Portarono via i pezzi avanzati: sette sporte piene.
Note
Approfondimenti
Il verbo σπλαγχνίζομαι (splanknìzomai) evoca quel luogo che per il greco biblico è la sede dei sentimenti di pietà, compassione e misericordia: non tanto il cuore ma le “viscere”, in greco biblico σπλάγχνα (splànkna). Per il greco classico, invece, nelle viscere abitano altre forti passioni, come l’ira e l’attrazione amorosa. In Matteo il soggetto di questo verbo è quasi esclusivamente Gesù nel suo rapporto con le folle, capaci di smuovere la parte più profonda della sua sensibilità. Anche l’ebraico biblico dell’Antico Testamento ricorre all’immagine degli organi interni, tra i quali l’utero, per descrivere i movimenti interiori del Dio d’Israele, capace di lasciarsi scuotere interamente dalla vita delle sue creature. Al punto che, come un grembo di madre, non può fare a meno di intervenire per risanare, nutrire, guidare la vita dei suoi figli.
Anche noi
L’immagine del monte continua a guidare i primi passi del cammino di Avvento. Questa volta però Isaia non lo indica come luogo di convegno pacifico per tutti i popoli, ma come teatro di un meraviglioso banchetto nel quale saranno preparate le cose migliori, quelle che saziano e lasciano nel cuore profonde consolazioni. Sarà soprattutto la fame dell’anima a ricevere il cibo più desiderato perché, sul monte, Dio saprà finalmente rivelarsi a tutti come Padre.
In quel giorno, preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti [...] Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto (Is 25,6.8).
Il Signore Gesù sembra essere animato dagli stessi sentimenti e dai medesimi progetti di cui parla il profeta, quando (proprio) su un monte permette all’umanità inferma e bisognosa di raccogliersi attorno a lui per essere rinfrancata. Posta ai suoi piedi, di fronte al suo sguardo, la nostra umanità non può che tornare a vivere.
Gesù giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, lì si fermò. Attorno a lui si radunò molta folla, recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì (Mt 15,29-30).
Tutto ciò basterebbe ad accendere oggi una certa luce nel nostro cuore e a ridestare la preghiera, soprattutto quella di intercessione. Ma il vangelo si spinge oltre, provocando e coinvolgendo tutta la nostra sensibilità. Intimamente toccato dal bisogno della folla, il Maestro sceglie di non preparare da solo il banchetto annunciato dal profeta Isaia. Decide di coinvolgere i discepoli nella sua «compassione» (15,32), facendo breccia nelle loro paure nascoste.
E i discepoli gli dissero: «Come possiamo trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?». Gesù domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette e pochi pesciolini» (Mt 15,33-34).
La fine del racconto la conosciamo a memoria, il suo significato invece lo scordiamo sempre. I miracoli da compiere non sono certo un problema per Dio — che altro può fare Dio? — ma un’occasione per dirci che, laddove c’è fame e sete, il vero miracolo siamo (anche) noi. E questo miracolo può avvenire ogni volta che smettiamo di guardare con rassegnazione i nostri «pochi pesciolini» (15,34) e mettiamo quello che abbiamo e siamo, con fiducia, nelle mani del Signore. Allora la vita si divide e si moltiplica. Diventa abbondante, per noi e per tutti. Così è Avvento. Così il Signore viene.
« Tutti mangiarono a sazietà. Portarono via i pezzi avanzati: sette sporte piene » (Mt 15,37).
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