Commento alla Liturgia

Venerdì della II settimana di Avvento

Prima lettura

Is 48,17-19

17Dice il Signore, tuo redentore, il Santo d'Israele: "Io sono il Signore, tuo Dio, che ti insegno per il tuo bene, che ti guido per la strada su cui devi andare. 18Se avessi prestato attenzione ai miei comandi, il tuo benessere sarebbe come un fiume, la tua giustizia come le onde del mare. 19La tua discendenza sarebbe come la sabbia e i nati dalle tue viscere come i granelli d'arena. Non sarebbe mai radiato né cancellato il suo nome davanti a me".

Salmo Responsoriale

Dal Sal 1

R. Chi ti segue, Signore, avrà la luce della vita.

Beato l'uomo che non entra nel consiglio dei malvagi,
non resta nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli arroganti,
ma nella legge del Signore trova la sua gioia,
la sua legge medita giorno e notte. R.

È come albero piantato lungo corsi d'acqua,
che dà frutto a suo tempo:
le sue foglie non appassiscono
e tutto quello che fa, riesce bene. R.

Non così, non così i malvagi,
ma come pula che il vento disperde;
poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti,
mentre la via dei malvagi va in rovina. R.

Vangelo

Mt 11,16-19

16A chi posso paragonare questa generazione? È simile a bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano: 17"Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!". 18È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: È indemoniato. 19È' venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e dicono: "Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori". Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie".

Commento alla Liturgia

Attenzione

Roberto Pasolini

«Sapienza! Stiamo attenti!». Queste parole, con cui i cristiani d’Oriente sono abituati a lasciarsi richiamare per essere «illuminati dalla parola di salvezza» (cf. Colletta) di Dio durante la divina liturgia, possono essere la più adeguata sintesi del monito che la liturgia di questa feria d’Avvento vuole rivolgere a ciascun discepolo di Cristo. Rifacendoci al linguaggio del Vangelo, potremmo dire che le generazioni umane — e la nostra non fa certo eccezione — stanno davanti a Dio con un fondamentale problema: non essere mai contente di «quello che passa il convento». Per quanto riusciamo a metterci in spolvero nelle grandi circostanze, possiamo riconoscere come, al contrario, nelle piccole e quotidiane occasioni della vita riusciamo a essere scontenti e insofferenti come quei bambini di cui parla Gesù.

Facendo riferimento a un tipo di gioco diffuso nella Palestina, il Signore Gesù cerca di assumere i panni di quei bambini «che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni» (Mt 11,16) li rimproverano per non saper mai stare nella realtà, né quando è il momento di ballare e gioire, né quando arriva il tempo di piangere e pentirsi. La conclusione a cui Gesù giunge con il suo insegnamento rivela che, dietro questo capriccioso atteggiamento, in realtà, si nasconde un certo sospetto nei confronti del modo in cui Dio sappia – e soprattutto voglia – governare il mondo e la storia:

«Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie» (Mt 11,19).

La sapienza con cui Dio crea e custodisce tutte le cose non è affatto compatibile con quell’ansia con cui siamo abituati a stare col fiato sul collo dell’altro per verificare e monitorare la sua corrispondenza al nostro desiderio. Dio si mostra sapiente perché capace di un amore vero e libero, dove non c’è alcun bisogno di chiedere all’altro continue conferme e indizi per nutrire fiducia nella relazione, ma dove si cresce continuamente nel desiderio di farsi dono all’altro, senza aspettarsi nulla, se non la gioia di una corrispondenza sincera e libera dalla logica delle aspettative. Non è dunque la severità di Dio a renderci capricciosi, ma piuttosto il suo trattarci da persone a cui è stato accordato il dono e il peso della libertà a renderci così insofferenti di fronte ai cambi e agli imprevisti della realtà. Una creazione libera esige l’obbligo di essere disposti a imparare dove e come la vita può ancora modificarsi ed espandersi:

«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti insegno per il tuo bene, che ti guido per la strada su cui devi andare» (Is 48,17).

Dio è Padre onnipotente non perché può fare a meno di tutto e di tutti, ma perché rinuncia radicalmente a trattarci come schiavi. Egli preferisce insegnarci a camminare nei sentieri della storia, rinunciando a ogni forzata imposizione e a ogni facile compassione nei nostri confronti pur di farci guadagnare una posizione di rispetto nei confronti del limite, da noi spesso avvertito come una mancanza da risolvere:

«È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori”» (Mt 11,18-19).

Dio non viene mai totalmente, ma continuamente dentro la storia. Non nel senso che in Cristo non ci sia la pienezza del volto e della presenza di Dio, ma nel senso che il nostro modo di poterne fruire deve sempre fare i conti con i limiti storici e creaturali a cui egli stesso ha voluto sottomettersi. Ciò significa che occorre prestare sempre tanta attenzione ai piccoli segnali che, ogni giorno, possono orientare il nostro cuore e i nostri passi verso la Pasqua:

«Se avessi prestato attenzione ai miei comandi, il tuo benessere sarebbe come un fiume, la tua giustizia come le onde del mare» (Is 48,18).

Se vogliamo trovare nella realtà motivi per non essere contenti o un pretesto per risparmiarci, avremo sempre l’imbarazzo della scelta. Se, però, crediamo che il Signore e il suo regno siano – ormai – vicini, ogni giorno avremo tante occasioni per essere scorrevoli come un fiume e fecondi come un albero, «che dà frutto a suo tempo» (Sal 1,3).

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Affermando che la sapienza (di Dio) «è stata riconosciuta giusta» dalle sue opere, Gesù intende smascherare la velata accusa di ingiustizia che «questa generazione», cioè “ogni” generazione, rivolge a Dio. Sia le opere di Giovanni Battista, sia quelle di Gesù manifestano e testimoniano un Dio sapiente, che sa comprendere quando è il momento di piangere e quando è il momento di fare festa.

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