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L’avverbio husteron (ὕστερον) è importante perché fa rilevare la differenza di atteggiamento tra il figlio che si ricrede e i capi dei sacerdoti che invece non lo fanno nemmeno alla fine.
Il verbo metamelomai (μεταμέλομαι) è proprio di Matteo e ricorre solo in questa parabola (2 volte) e in 27,3, dove si racconta del pentimento di Giuda. Evoca la capacità di ricredersi, il coraggio di contraddirsi, di cambiare idea, di andare oltre il proprio sentire. Può anche avere una connotazione di dispiacere, di pentimento per qualcosa che si vorrebbe non aver fatto.
Il concetto di giustizia (dikaiosune, δικαιοσύνη) per Matteo ha un significato specifico: un comportamento giusto è conforme alla volontà di Dio, e quello di Giovanni Battista è esemplare in questo senso. Fin dall’inizio del Vangelo Gesù dichiara, proprio davanti a Giovanni, che il suo programma è di compiere ogni giustizia, cioè metterla in pratica. Il nucleo della parabola sta sul rapporto tra il dire e il fare, tipico della tradizione biblica: il dire può restare ambiguo, solo il fare è decisivo. Chi fa la volontà del Padre non è chi ha detto sì, ma chi ha lavorato nella vigna.
L’avverbio husteron (ὕστερον) è importante perché fa rilevare la differenza di atteggiamento tra il figlio che si ricrede e i capi dei sacerdoti che invece non lo fanno nemmeno alla fine.
Commento alla Liturgia
Martedì della III settimana di Avvento
Prima lettura
Sof 3,1-2.9-13
1Guai alla città ribelle e impura, alla città che opprime! 2Non ha ascoltato la voce, non ha accettato la correzione. Non ha confidato nel Signore, non si è rivolta al suo Dio. 9Allora io darò ai popoli un labbro puro, perché invochino tutti il nome del Signore e lo servano tutti sotto lo stesso giogo. 10Da oltre i fiumi di Etiopia coloro che mi pregano, tutti quelli che ho disperso, mi porteranno offerte. 11In quel giorno non avrai vergogna di tutti i misfatti commessi contro di me, perché allora allontanerò da te tutti i superbi gaudenti, e tu cesserai di inorgoglirti sopra il mio santo monte. 12Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero". Confiderà nel nome del Signore 13il resto d'Israele. Non commetteranno più iniquità e non proferiranno menzogna; non si troverà più nella loro bocca una lingua fraudolenta. Potranno pascolare e riposare senza che alcuno li molesti.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 33 (34)
R. Il povero grida e il Signore lo ascolta.
Oppure:
R. Il Signore è vicino a chi o cerca.
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino. R.
Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce. R.
Il volto del Signore contro i malfattori,
per eliminarne dalla terra il ricordo.
Gridano i giusti e il Signore li ascolta,
li libera da tutte le loro angosce. R.
Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,
egli salva gli spiriti affranti.
Il Signore riscatta la vita dei suoi servi;
non sarà condannato chi in lui si rifugia. R.
Vangelo
Mt 21,28-32
28"Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: "Figlio, oggi va' a lavorare nella vigna". 29Ed egli rispose: "Non ne ho voglia". Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: "Sì, signore". Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?". Risposero: "Il primo". E Gesù disse loro: "In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli.
Note
Oltre il sentire
Il vangelo di oggi riprende e approfondisce il mistero di quello sguardo spirituale e profondo, di cui ieri parlavano le Scritture. Attraverso la parabola dei due figli che non hanno voglia di andare a lavorare nella vigna del padre, possiamo comprendere cosa si nasconda dietro all’incapacità di riconoscere nella terra i segni del cielo, dentro l’abitudine di considerare la realtà sempre troppo povera per iniziare a cimentarsi nel compito di una vita realmente nuova. Ascoltando questa breve parabola, non bisogna saltare troppo frettolosamente alle sue conclusioni, dove uno dei due fratelli sembra essere elogiato per aver «compiuto la volontà del padre» (21,31), mentre l’altro rimane ostinatamente chiuso nella propria. In realtà, la parabola non vuole affatto suggerire l’idea che la vita del primo figlio si svolga a partire da migliori premesse rispetto a quella dell’altro. Appare piuttosto evidente che nessuno dei due fratelli ha realmente voglia di entrare nell’eredità e nella responsabilità delle cose del padre. Il primo lo dichiara apertamente:
«Non ne ho voglia» (Mt 21,29)
mentre il secondo, pur mostrando i segni di una formale obbedienza — «Sì, signore» — mostra con i fatti di non voler in alcun modo raccogliere l’invito del padre: «Ma non vi andò» (21,30).
Ciò che la parabola sottolinea, e che deve provocare i passi del nostro cammino di Avvento, è un altro tipo di diversità, relativa al tema della fede e alla necessità di un “pentimento” per raddrizzare i sentieri umani in favore della venuta del Signore. Mentre il primo figlio, dopo aver liberamente manifestato il proprio (non) volere,
«si pentì e vi andò» (Mt 21,29)
aprendosi alla possibilità di un cambiamento, l’altro invece rimane ostinato e chiuso in un certo modo di valutare le cose, senza avere nemmeno il coraggio di palesarlo. Il verbo greco (metamélomai) che esprime la provvidenziale trasformazione interiore nel primo figlio non ha a che fare con i sensi di colpa, ma con l’espansione di una certa capacità di sentire. Una bella traduzione potrebbe essere: «Ma poi, andando oltre il proprio sentire, vi andò». Il Signore Gesù sembra voler tracciare un legame preciso tra la dinamica della fede e la necessità di un forte superamento della dittatura dei sensi, che spesso impongono al nostro cammino attaccamenti e chiusure di fronte alla novità e all’imprevedibilità della vita.
Le parole con cui lo stesso Gesù commenta il suo insegnamento in parabole non sono rivolte solo «ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo» (21,27), ma anche a noi, che in questi giorni di Avvento siamo invitati a credere nuovamente al mistero dell’Incarnazione e a guardarci dentro con estrema sincerità:
«In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli» (Mt 21,31-32).
È sempre dietro l’angolo il rischio di rimanere chiusi nelle piccole credenze religiose, anziché avventurarsi negli spazi aperti e incerti della fede. Cadiamo in questa tentazione tutte le volte che chiudiamo gli occhi — cioè il cuore — di fronte agli appelli della realtà, piuttosto che acconsentire ai cambi di programma che il Signore prepara e serve con meravigliosa puntualità sulla mensa di ogni giorno. L’occhio penetrante della fede è quello che sa scorgere, dietro a ogni evento che ci interpella, non tanto dei «guai» (Sof 3,1) da scansare, ma misteriose occasioni di salvezza a cui rendersi disponibili, attraverso le quali si può compiere la volontà di Dio:
«Non commetteranno più iniquità e non proferiranno menzogna; non si troverà più nella loro bocca una lingua fraudolenta. Potranno pascolare e riposare senza che alcuno li molesti» (Sof 3,11-12).
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