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Matteo concentra l’utilizzo di questa espressione più avanti nel suo Vangelo, al capitolo 13, con sette occorrenze, nella sezione delle parabole del Regno. Ai discepoli che qui iniziano a seguirlo, però, Gesù non dà molte spiegazioni su cosa intenda con “regno dei cieli”, se non il riferimento alla sequela, in linea con l’impostazione giudaica per cui prima si mette in pratica quanto il Signore dice, e poi lo si ascolta e lo si capisce (cf. Es 24,7). Sarà nel fare, cioè nel seguire Gesù, che si chiarirà che cos’è il regno dei cieli.
Commento alla Liturgia
7 Gennaio
Prima lettura
1Gv 3,22–4,6
22e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito. 23Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. 24Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato. 1Carissimi, non prestate fede ad ogni spirito, ma mettete alla prova gli spiriti, per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono venuti nel mondo. 2In questo potete riconoscere lo Spirito di Dio: ogni spirito che riconosce Gesù Cristo venuto nella carne, è da Dio; 3ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio. Questo è lo spirito dell'anticristo che, come avete udito, viene, anzi è già nel mondo. 4Voi siete da Dio, figlioli, e avete vinto costoro, perché colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo. 5Essi sono del mondo, perciò insegnano cose del mondo e il mondo li ascolta. 6Noi siamo da Dio: chi conosce Dio ascolta noi; chi non è da Dio non ci ascolta. Da questo noi distinguiamo lo spirito della verità e lo spirito dell'errore.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 2
R. Il Padre ha dato al Figlio il regno di tutti i popoli.
Voglio annunciare il decreto del Signore.
Egli mi ha detto: «Tu sei mio figlio,
io oggi ti ho generato.
Chiedimi e ti darò in eredità le genti
e in tuo dominio le terre più lontane». R.
E ora, siate saggi, o sovrani;
lasciatevi correggere, o giudici della terra;
servite il Signore con timore
e rallegratevi con tremore. R.
Vangelo
Mt 4,12-17.23-25
12Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, 13lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, 14perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: 15Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! 16Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta. 17Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: "Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino". 23Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. 24La sua fama si diffuse per tutta la Siria e conducevano a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guarì. 25Grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decàpoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano.
Note
Approfondimenti
Nel greco antico, il verbo anachōrèō (ἀναχωρέω) indica il ritirarsi degli eserciti o di soldati di fronte a una sconfitta o a un pericolo, ma assume anche il significato più generale di “andare via, allontanarsi”. Nel Vangelo di Matteo sono presenti entrambe le sfumature, ma in particolare quella di una “ritirata strategica” in reazione a un pericolo.
Per Matteo è un verbo importante – lo usa infatti dieci volte – in riferimento a Gesù, ai maghi, a Giuseppe nella fuga in Egitto e nel ritorno in Galilea, a Giuda. Lo stesso verbo è usato dalla Settanta per rendere la ritirata di Mosè dal Faraone che voleva ucciderlo in Es 2,15.
Tuttavia, ogni volta che Gesù si ritira, succede qualcosa – qui, per esempio, comincia ad annunciare il Regno – fino a quando non si ritirerà più e andrà incontro alla sua passione.
Utilizzando il termine ethnos (ἔθνος), Matteo distingue tra popolo di Dio (cioè Israele) e popoli pagani, come facevano già la Bibbia ebraica e la tradizione giudaica. Mentre laos (λαός) indica in Matteo il popolo santo di Dio (in ebraico ‘am), ethnos al plurale significa popolo con un’accezione nazionalistica, come nazione di pagani (in ebraico gōyyim).
Già Girolamo ipotizzava che il ministero di Gesù inizi proprio dove il sogno delle tribù di Israele – rappresentate da Zabulon e Neftali (due dei dodici figli di Giacobbe-Israele) – di vivere insieme nella terra promessa si era infranto, e proprio lì inizia ad annunciare il Regno. Gli elementi geografici citati in questi versetti sono letti dall’evangelista alla luce dell’Antico Testamento, per cominciare a dire che Gesù porta luce e salvezza a tutti.
Fin da ora, poi, si svela l’intenzione di Gesù di ricostituire le dodici tribù nell’unico popolo di Israele.
Ricevere
L’avvio dell’epistola rischia di essere oggetto di un grande fraintendimento, se viene letto e inteso con superficialità:
«Carissimi, qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da Dio, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito» (1Gv 3,22).
Potrebbe, infatti, ingenerare la convinzione che, sebbene nel suo Verbo Dio ci abbia comunicato l’immensità del suo amore, noi veniamo esauditi nelle nostre richieste e nelle nostre necessità soltanto se facciamo quello che a lui piace. Tuttavia, se vogliamo riconoscere «lo Spirito di Dio» (4,2) racchiuso in queste parole, dobbiamo provare a leggere esattamente il contrario di questa interpretazione troppo religiosa per essere compatibile con lo scandalo del vangelo.
In armonia con il resto della sua lettera, Giovanni vuole dire che quando siamo in sintonia con il volere e i gusti di Dio, ciò significa che stiamo ricevendo — finalmente — quello che abbiamo imparato a desiderare e a chiedere attraverso l’arte della preghiera. Del resto, la vita filiale inaugurata dal battesimo non è la speranza di ricevere qualunque cosa chiediamo, ma la certezza che tutto ciò che riceviamo nella preghiera proviene dalle mani e dalla provvidenza del Padre. Naturalmente non esistono facili e scontate garanzie di essere nei termini di un rapporto autentico con Dio, se non il pegno invisibile — eppure così tangibile — dello Spirito Santo, la forza d’amore capace di custodire la memoria del Padre nel nostro cuore, dentro e oltre ogni nostra incertezza e incostanza d’animo:
«In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato» (1Gv 3,24).
L’importanza di questa unzione interiore, grazie alla quale la chiesa può vivere la sua esperienza di fraternità e il suo ministero di carità in mezzo agli uomini, è testimoniata dalla grande considerazione che la lettera di Giovanni riserva al tema del discernimento degli spiriti. Così come è stato per la chiesa, guidata dallo Spirito a custodire la «verità tutta intera» (Gv 16,13) contro ogni forma di eresia, anche per l’apostolo l’invito a mettere alla prova gli spiriti, «per saggiare se provengono da Dio» non è da intendersi come una forma di intolleranza nei confronti dei «falsi profeti» (1Gv 4,1), ma come un’appassionata difesa di quella vita filiale che nessuno può darsi, ma niente e nessuno può cancellare:
«Voi siete da Dio, figlioli, e avete vinto costoro, perché colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo» (1Gv 4,4).
L’amore della verità suggerito dalla penna incandescente dell’apostolo Giovanni trova una felice corrispondenza nella verità dell’amore espressa da Gesù con l’avvio del suo ministero pubblico nel vangelo di Matteo. Dopo aver udito che Giovanni — cioè la Legge — ha ormai svolto il suo ruolo pedagogico in vista della salvezza di Dio, il Signore Gesù sceglie di andare «ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali» (Mt 4,13). Questo cambio di residenza assolve, nell’economia dei vangeli, un significato assai importante, che il primo evangelista si premura di sottolineare adeguatamente. L’assunzione di una terra di confine, dove gli ebrei vivevano mescolati ai pagani, come punto di partenza per il ministero del Regno, è la decisione con cui Cristo manifesta tutta la discontinuità che il mistero di Incarnazione introduce nella storia. Una radicale novità finalizzata a favorire l’esplosione e l’espansione della misericordia di Dio nella tenda dell’umanità:
«Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta» (Mt 4,16).
Servono però un cambio di mentalità e uno spostamento di sguardo per accorgersi di questo universalismo di salvezza (cf. 4,17), che possiamo anche noi ricevere (da Dio) come farmaco di guarigione da ogni nostra forma di isolamento e di distanza dalla vita: «Ed egli li guarì» (4,24).
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