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Notiamo qui la prima delle 4 occorrenze del sostantivo πίστις (pìstis) nel Vangelo di Marco. Il narratore ci fa notare i due movimenti verticali che Gesù vede: quello del paralitico e dei suoi sostenitori dall’alto verso il basso e quello della fede che, sul medesimo asse, esprime la relazione con Dio. Con questo termine, Marco offre la chiave interpretativa del racconto: la fede è il luogo di incontro fra Gesù e il paralitico, lo spazio di libertà e di abbandono che permette al Signore di agire.
Con il significato di “riconoscere, rendersi conto, notare”, grazie all’influenza della preposizione rafforzativa ἐπί (epì) il verbo ἐπιγινώσκω (epighinòsko) indica un modo preciso e profondo di conoscenza, proprio di Gesù il quale, a differenza degli scribi che si lasciano attraversare il cuore da ragionamenti increduli e critici, pensa, conosce e si esprime “nel suo spirito”, luogo e strumento della sua vita interiore, della sua conoscenza penetrante e profetica, frutto della relazione con Dio.
Commento alla Liturgia
Venerdì della I settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Eb 4,1-5.11
1Dovremmo dunque avere il timore che, mentre rimane ancora in vigore la promessa di entrare nel suo riposo, qualcuno di voi ne sia giudicato escluso. 2Poiché anche noi, come quelli, abbiamo ricevuto il Vangelo: ma a loro la parola udita non giovò affatto, perché non sono rimasti uniti a quelli che avevano ascoltato con fede. 3Infatti noi, che abbiamo creduto, entriamo in quel riposo, come egli ha detto: Così ho giurato nella mia ira: non entreranno nel mio riposo! Questo, benché le sue opere fossero compiute fin dalla fondazione del mondo. 4Si dice infatti in un passo della Scrittura a proposito del settimo giorno: E nel settimo giorno Dio si riposò da tutte le sue opere. 5E ancora in questo passo: Non entreranno nel mio riposo! 11Affrettiamoci dunque a entrare in quel riposo, perché nessuno cada nello stesso tipo di disobbedienza.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 77(78)
R. Proclameremo le tue opere, Signore.
Ciò che abbiamo udito e conosciuto
e i nostri padri ci hanno raccontato
non lo terremo nascosto ai nostri figli,
raccontando alla generazione futura
le azioni gloriose e potenti del Signore. R.
Essi poi si alzeranno a raccontarlo ai loro figli,
perché ripongano in Dio la loro fiducia
e non dimentichino le opere di Dio,
ma custodiscano i suoi comandi. R.
Non siano come i loro padri,
generazione ribelle e ostinata,
generazione dal cuore incostante
e dallo spirito infedele a Dio. R.
Vangelo
Mc 2,1-12
1Entrò di nuovo a Cafàrnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa 2e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola. 3Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. 4Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un'apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. 5Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: "Figlio, ti sono perdonati i peccati". 6Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: 7"Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?". 8E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: "Perché pensate queste cose nel vostro cuore? 9Che cosa è più facile: dire al paralitico "Ti sono perdonati i peccati", oppure dire "Àlzati, prendi la tua barella e cammina"? 10Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, 11dico a te - disse al paralitico -: àlzati, prendi la tua barella e va' a casa tua". 12Quello si alzò e subito presa la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: "Non abbiamo mai visto nulla di simile!".
Note
Uniti
L’autore della lettera agli Ebrei, con il suo incalzante piglio oratorio, solleva una preoccupazione circa il cammino della fede tanto ragionevole quanto sibillina. Assumendo la metafora del «settimo giorno» (Eb 4,4) della creazione, quando il Signore Dio si — e ci — concede il riposo dalla sua amorevole operosità per creare uno spazio di comunione, l’autore dell’epistola così si esprime:
«Fratelli, dovremmo avere il timore che, mentre rimane ancora in vigore la promessa di entrare nel suo riposo, qualcuno di voi ne sia giudicato escluso» (Eb 4,1).
Se il timore — quello sano e santo — non può che accompagnare ogni passo e ogni cammino verso Dio, non è affatto chiaro in che modo si possa essere giudicati esclusi dalle promesse del vangelo, dopo essere stati battezzati nel nome della Trinità. Più precisamente, l’autore sembra non voler esplicitare con nitidezza di linguaggio se questa esclusione sia un giudizio che è possibile ricevere dagli altri, oppure una condanna che ci infliggiamo con le nostre stesse mani. In realtà, l’incertezza comunicativa dura poco e sembra creata appositamente per generare una certa aspettativa e un effetto di stupore negli uditori:
«Poiché anche noi, come quelli, abbiamo ricevuto il Vangelo: ma a loro la parola udita non giovò affatto, perché non sono rimasti uniti a quelli che avevano ascoltato con fede» (Eb 4,2).
L’esperienza del popolo di Israele nel deserto viene assunta come metafora di una velenosa tentazione a cui è sempre possibile cedere durante il cammino della vita. L’autore della lettera agli Ebrei afferma che ogni crisi di fede può costituire una grave interruzione del fluire della vita soprattutto quando si radica nell’incapacità di rimanere sostenuti e agganciati alla tradizione che precede il nostro cammino. In un tempo come il nostro, nel quale ciascuno cerca — talora inconsapevolmente — di non abdicare mai alle proprie forme di pensiero e di chiudersi in atteggiamenti di individualismo, può essere una provocazione utile e forte quella di verificare quanto il nostro modo di procedere sia effettivamente in relazione ai passi di quanti ci hanno preceduto e testimoniato il volto di Dio.
Da questa prospettiva, la guarigione del paralitico raccontata nel vangelo può essere una formidabile icona che attesta l’impossibilità di accedere alla misericordia del Padre senza la solidarietà dei fratelli:
«Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone» (Mc 2,3).
Nell’immagine di questo corpo fraterno che si avvicina al Signore Gesù per ottenere comprensione e guarigione, scopriamo quanto sia rilevante e indispensabile l’attitudine a rimanere uniti, anziché soli nella ricerca del volto di Dio:
«Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico» (Mc 2,4).
Nella storia di tutti e di ciascuno, esistono soglie che si possono attraversare soltanto insieme e unicamente mediante quella forza di rigenerazione che pone la speranza non più in quello che le nostre mani possono compiere, ma in quello che possono ricevere:
«Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: “Figlio, ti sono perdonati i peccati”» (Mc 2,5).
Non possiamo certo ignorare la sorpresa degli scribi di fronte alle parole di Gesù, frettolosamente giudicate come una smentita alla sua identità. Per quanto possiamo essere familiari con l’esperienza del perdono dei peccati, con molta facilità dimentichiamo che il primo fallimento della nostra umanità è sempre radicato nella volontà di consegnarsi in solitudine alle sfide della vita. Per questo abbiamo continuamente bisogno di essere rialzati e restituiti alla nostra casa, che è la tenda della comunione dove si vive uniti a Dio e ai fratelli. Dove la vita si moltiplica nella gioia e nella pace:
«Infatti noi, che abbiamo creduto, entriamo in quel riposo» (Eb 4,3).
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