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Letteralmente, il verbo ekplēssō (ἐκπλήσσω) significa “essere colpito, scioccato”, addirittura “schiacciato, sovrastato”. Lo stesso verbo si ritrova in 6,2 per descrivere lo stesso effetto, stavolta nella sinagoga di Nazaret.
Alla lettera, si dice che l’uomo è “nello spirito impuro”. Marco non precisa di quale impurità si tratta, ma l’espressione “spirito impuro” si trova in Zaccaria 13 in riferimento ai profeti di menzogna.
Il verbo phimoō (φιμόω) significa “mettere la museruola”, come nel proverbio biblico di Dt 25,4 – citato due volte nel NT in 1Corinzi e in 1Timoteo: “Non mettere la museruola al bue che trebbia”. Questo gesto si riferisce anche all’atto di chiudere la bocca ai contraddittori e agli oppositori.
Il verbo suzēteō (συζητέω), che significa “interrogarsi, discutere”, è frequente in Marco e riguarda sempre una discussione problematica dalla quale non si riesce a uscire.
L’aggettivo utilizzato qui è kainos (καινός), che esprime la novità come qualità. Il greco distingue infatti kainos e neos, che si riferisce più specificamente a ciò che è recente nel tempo.
Commento alla Liturgia
Martedì della I settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Eb 2,5-12
5Non certo a degli angeli Dio ha sottomesso il mondo futuro, del quale parliamo. 6Anzi, in un passo della Scrittura qualcuno ha dichiarato: Che cos'è l'uomo perché di lui ti ricordi o il figlio dell'uomo perché te ne curi? 7Di poco l'hai fatto inferiore agli angeli, di gloria e di onore l'hai coronato 8e hai messo ogni cosa sotto i suoi piedi. Avendo sottomesso a lui tutte le cose, nulla ha lasciato che non gli fosse sottomesso. Al momento presente però non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa. 9Tuttavia quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti. 10Conveniva infatti che Dio - per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria - rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza. 11Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli, 12dicendo: Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, in mezzo all'assemblea canterò le tue lodi ;
Salmo Responsoriale
Dal Sal 8
R. Hai posto il tuo Figlio sopra ogni cosa.
O Signore, Signore nostro,
quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!
Che cosa è mai l'uomo perché di lui ti ricordi,
il figlio dell'uomo, perché te ne curi? R.
Davvero l'hai fatto poco meno di un dio,
di gloria e di onore lo hai coronato.
Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi. R.
Tutte le greggi e gli armenti
e anche le bestie della campagna,
gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
ogni essere che percorre le vie dei mari. R.
Vangelo
Mc 1,21b-28
21Giunsero a Cafàrnao e subito Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, insegnava. 22Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. 23Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, 24dicendo: "Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!". 25E Gesù gli ordinò severamente: "Taci! Esci da lui!". 26E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. 27Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: "Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!". 28La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.
Note
L'uomo
La citazione con cui si apre la prima lettura ci riporta non solo al mistero di Cristo, ma anche al nostro stesso mistero continuamente ricompreso alla luce del Vangelo:
«Che cos’è l’uomo perché di lui ti ricordi o il figlio dell’uomo perché te ne curi?» (Eb 2,6).
Questo punto interrogativo abita di certo le profondità del nostro cuore, soprattutto quando siamo confrontati con il duro mestiere di essere – meglio sarebbe dire diventare – autenticamente umani. A questa domanda che ci interroga da sempre sembra rispondere il Signore Gesù sin dal più tenero inizio del suo ministero. Lo scontro tra la parola del Signore Gesù, che risveglia il meglio della nostra umanità e la rimette in cammino verso la verità di se stessa, e le forze che si oppongono a questo processo si fa duro sin dal primo momento. Il Maligno, normalmente abituato a vivere nell’ombra e a restare nascosto come fanno i serpenti, non può resistere e si sente così minacciato dalla presenza luminosa del Cristo da dover, suo malgrado, uscire allo scoperto:
«Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!» (Mc 1,24).
Potremmo immaginare la reazione interiore del Signore Gesù a questo attacco frontale e disperato del Maligno riprendendo quanto Girolamo mette sulle labbra del Salvatore: «Non ho bisogno di essere riconosciuto da colui che destino alla perdizione. Taci! La mia gloria si manifesti sul tuo silenzio. Non voglio che la tua voce faccia il mio elogio, bensì i tuoi tormenti; il mio trionfo infatti è il tuo strazio... Taci ! Esci da quell'uomo!» (GIROLAMO, Commento sul vangelo di Marco, 2). L’ingiunzione con cui il Signore Gesù reagisce alla chiara presa di posizione del Maligno, che si sente rovinato dalla sola presenza del Salvatore in mezzo a noi, è duplice: si tratta di un invito al silenzio e di un invito a lasciare libero il campo. Se questa è la cura che il Signore prescrive come un saggio medico, possiamo ben immaginare che la malattia si concretizzi esattamente in un di più di parola e in una sorta di occupazione indebita di spazi vitali. Ciò cui attenta la presenza del Maligno è il sereno cammino dell’uomo nella sua libertà e nella sua verità, che la lettera agli Ebrei riassume in termini, per così dire, esaltanti per la nostra umanità sempre in dubbio con se stessa e su se stessa:
«Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli» (Eb 2,11).
A partire da questa considerazione della prima lettura possiamo dire che, in realtà, ciò che fa disperare il Male fino a farlo uscire allo scoperto è questa divina fraternità che unisce la nostra umanità alla stessa vita divina. Questo mistero esaltante in Cristo Signore si manifesta in uno splendore che risulta essere accecante per quel principio tenebroso che tende a inghiottire la radice divina della nostra umanità, creata e amata da Dio sin dall’eternità e di cui la parola piena di «autorità» del Signore Gesù ci fa prendere piena coscienza.
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