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Nei testi biblici, il verbo zēteō (ζητέω) ha una valenza propriamente religiosa, perché viene usato nel linguaggio profetico e sapienziale per indicare la ricerca o la non ricerca di Dio. Il parallelo di questa scena di ricerca all’inizio del racconto con quella di Maria di Magdala alla conclusione (20,15) sembra racchiudere in una cornice tutto il vangelo.
Ripetuto tre volte in soli due versetti, il verbo μένω (mèno) è uno dei termini più propri del quarto Vangelo, che lo usa – e progressivamente lo rivela – in tutta la sua densità di significato. Qui Giovanni ne mostra già due sfumature: “stare di casa, abitare” e “re-stare dove si è, continuare”, nel senso traslato di non lasciare un certo stato di vita o ambiente. La notazione del narratore sul fatto che i discepoli “quel giorno rimasero con lui”, omettendo ogni precisazione di luogo, comincia a evocare che il luogo in cui sia Gesù che i discepoli si sentono a casa è una relazione di comunione personale e duratura, capace di “rimanere”.
Il termine Μεσσίας (Messìas) ricorre solo due volte in tutto il Nuovo Testamento, entrambe nel Quarto Vangelo, qui e sulle labbra della donna samaritana in Gv 4,25, e in entrambi i casi è tradotto con “Cristo”, secondo l’interpretazione greca dell’ebraico mashiah: χριστός (kristòs), l’Unto. Nel riferimento all’unzione si condensa tutta la tradizione regale, sacerdotale e profetica riguardante la figura del Messia atteso nell’Antico Testamento. Andrea la fa propria indicando Gesù a Simone con questo titolo. Ma dietro l’evocazione di tale sfondo, tutto avviene sul piano delle relazioni, che sono il luogo della rivelazione più inaudita e nello stesso tempo più alla portata di tutti.
Commento alla Liturgia
II Domenica Tempo Ordinario
Prima lettura
1Sam 3,3b-10.19
3La lampada di Dio non era ancora spenta e Samuele dormiva nel tempio del Signore, dove si trovava l'arca di Dio. 4Allora il Signore chiamò: "Samuele!" ed egli rispose: "Eccomi", 5poi corse da Eli e gli disse: "Mi hai chiamato, eccomi!". Egli rispose: "Non ti ho chiamato, torna a dormire!". Tornò e si mise a dormire. 6Ma il Signore chiamò di nuovo: "Samuele!"; Samuele si alzò e corse da Eli dicendo: "Mi hai chiamato, eccomi!". Ma quello rispose di nuovo: "Non ti ho chiamato, figlio mio, torna a dormire!". 7In realtà Samuele fino ad allora non aveva ancora conosciuto il Signore, né gli era stata ancora rivelata la parola del Signore. 8Il Signore tornò a chiamare: "Samuele!" per la terza volta; questi si alzò nuovamente e corse da Eli dicendo: "Mi hai chiamato, eccomi!". Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovane. 9Eli disse a Samuele: "Vattene a dormire e, se ti chiamerà, dirai: "Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta"". Samuele andò a dormire al suo posto. 10Venne il Signore, stette accanto a lui e lo chiamò come le altre volte: "Samuele, Samuele!". Samuele rispose subito: "Parla, perché il tuo servo ti ascolta". 19Samuele crebbe e il Signore fu con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 39(40)
R. Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà.
Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio. R.
Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo». R.
«Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo». R.
Ho annunciato la tua giustizia
nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra,
Signore, tu lo sai. R.
Seconda Lettura
1Cor 6,13c-15a.17-20
13"I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi!". Dio però distruggerà questo e quelli. Il corpo non è per l'impurità, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo. 14Dio, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza. 15Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta? Non sia mai! 17Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. 18State lontani dall'impurità! Qualsiasi peccato l'uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all'impurità, pecca contro il proprio corpo. 19Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi. 20Infatti siete stati comprati a caro prezzo: glorificate dunque Dio nel vostro corpo!
Vangelo
Gv 1,35-42
35Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: "Ecco l'agnello di Dio!". 37E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: "Che cosa cercate?". Gli risposero: "Rabbì - che, tradotto, significa Maestro -, dove dimori?". 39Disse loro: "Venite e vedrete". Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. 40Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: "Abbiamo trovato il Messia" - che si traduce Cristo - 42e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: "Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa" - che significa Pietro.
Note
Approfondimenti
Il termine porneia (πορνεία) letteralmente significa fornicazione, e si riferisce a un uso distorto della sessualità. Qualche decennio prima della predicazione di Paolo a Corinto, la città era nota nell’impero per il santuario dedicato alla dea Afrodite, nel quale un migliaio di sacerdotesse si dedicavano alla cosiddetta “prostituzione sacra”, con cui si credeva di entrare a contatto diretto con la divinità dell’amore per riceverne fecondità.
Paolo mette al centro del discorso la dignità della persona umana e una concezione armonica della corporeità: la sessualità non è solo istinto ma una dimensione che rientra nel rapporto con il Signore. Mentre nell’orizzonte dualistico greco-ellenistico i Corinzi ritenevano un uso distorto della sessualità un’attività “al di fuori del corpo”, l’intuizione di Paolo è che questo disordine stravolga in realtà l’intera persona, concepita come “corpo di Cristo”.
Il termine porneia (πορνεία) letteralmente significa fornicazione, e si riferisce a un uso distorto della sessualità. Qualche decennio prima della predicazione di Paolo a Corinto, la città era nota nell’impero per il santuario dedicato alla dea Afrodite, nel quale un migliaio di sacerdotesse si dedicavano alla cosiddetta “prostituzione sacra”, con cui si credeva di entrare a contatto diretto con la divinità dell’amore per riceverne fecondità.
Paolo mette al centro del discorso la dignità della persona umana e una concezione armonica della corporeità: la sessualità non è solo istinto ma una dimensione che rientra nel rapporto con il Signore. Mentre nell’orizzonte dualistico greco-ellenistico i Corinzi ritenevano un uso distorto della sessualità un’attività “al di fuori del corpo”, l’intuizione di Paolo è che questo disordine stravolga in realtà l’intera persona, concepita come “corpo di Cristo”.
Ripetuto tre volte in soli due versetti, il verbo μένω (mèno) è uno dei termini più propri del quarto Vangelo, che lo usa – e progressivamente lo rivela – in tutta la sua densità di significato. Qui Giovanni ne mostra già due sfumature: “stare di casa, abitare” e “re-stare dove si è, continuare”, nel senso traslato di non lasciare un certo stato di vita o ambiente. La notazione del narratore sul fatto che i discepoli “quel giorno rimasero con lui”, omettendo ogni precisazione di luogo, comincia a evocare che il luogo in cui sia Gesù che i discepoli si sentono a casa è una relazione di comunione personale e duratura, capace di “rimanere”.
Inoltre, dopo il titolo "rabbi", la domanda rinvia al rapporto tra allievo e maestro. Gli allievi di un rabbi non solo vanno a scuola da lui, ma spesso dimorano presso di lui, per apprendere la sapienza non solo dalle sue parole, ma dalla sua stessa vita.
Ancora, l'avverbio di luogo pou (ποῦ), che ricorre 19 volte nel quarto vangelo, per lo più con valore interrogativo, quando è riferito a Gesù ha sempre a che fare con la sua identità, con l'origine o la destinazione della sua missione.
Con lui!
L’inizio della prima lettura mette in scena «il giovane Samuele» (1Sam 3,1) e il vangelo ci mette sui passi del giovane rabbì di Nazareth e ci fa conoscere le primizie del suo ministero. La suggestiva immagine che prepara la vocazione di Samuele può accompagnare la nostra lettura di quelli che sono i primi segni che il Signore Gesù compie per offrire alla nostra umanità una possibilità di salvezza: «Samuèle dormiva nel tempio del Signore, dove si trovava l’arca di Dio» (3,3). Il tempio in cui Samuèle serve il Signore e, sotto la guida di Eli, accoglie la chiamata di Dio, diventa per Gesù la strada dell’ordinaria vita degli uomini e delle donne del suo tempo e, soprattutto, di quanti portano il peso di una grande sofferenza o custodiscono nel cuore un ardente desiderio. L’evangelista Giovanni annota acutamente come il Precursore
«fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio!”» (Gv 1,36).
Se il giovane Samuèle vive nel tempio e, per molti aspetti, vive del tempio, il Signore Gesù vive sulla strada e invece di aspettare che qualcuno si volga a lui, sembra completamente lanciato in una missione che si fa ricerca dell’altro per raggiungerlo al cuore della sua vita e per accogliere ciascuno nel suo proprio dolore fino a risanarlo e restituirgli la possibilità di mettere la propria vita a servizio degli altri. Continuamente il Signore passa nella nostra vita e non solo si lascia vedere, ma pure si mostra capace di vedere in modo talmente profondo da accogliere con una domanda che, in realtà, apre un lungo cammino di comune ricerca che dura per tutta la vita:
«Che cosa cercate?» (Gv 1,38).
Se il giovane Samuèle per tre volte «corse da Eli» (1Sam 3,5) per poi scoprire che la chiamata proveniva dal Signore che lo costituiva profeta per il suo popolo, il Signore Gesù si pone sulle nostre strade per darci l’occasione di dare un nome a ciò che da sempre cerchiamo e desideriamo.
In realtà, il Signore ci conosce più e meglio di quanto conosciamo noi stessi! Di Simon Pietro conosce persino il nome di suo padre - «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni» (Gv 1,42) – ma non conosce solo ciò che sta alla radice della vita di quest’uomo, conosce pure ciò che sta dinanzi alla sua vita come desiderio e come dinamismo: «sarai chiamato Cefa». La cura con cui l’evangelista traduce, per rendere più comprensibile il testo al lettore greco, non è solo una questione di comodità o di gentilezza, è un modo per ricordarci che il Signore ci parla nella nostra lingua materna, proprio come avverrà al mattino di Pentecoste (At 2,8). Il Signore non ci sovrasta con la sua chiamata, ma si inserisce nel nostro percorso più personale e unico per portarlo a pienezza. L’apostolo Paolo ci svela il senso profondo di ogni vocazione e di ogni appello:
«Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito» (1Cor 6,17).
Davanti alla bellezza e alla grandezza di un simile appello, che ci raggiunge attraverso le molteplici situazioni e mediazioni della vita, non ci resta che fare nostra la parola del salmista:
«Allora ho detto: “Ecco io vengo”» (Sal 39,7).
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