www.nellaparola.it
Con il sostantivo taxis (τάξις) la Settanta indica la categoria sacerdotale alla quale apparteneva Melchisedek, rendendo l’espressione ebraica “alla maniera di”, “sul modello di”. In italiano, il termine “ordine” potrebbe essere frainteso con “comando”, mentre il significato esatto è “classificazione, categoria”.
Letteralmente, “i figli dello sposo” (oi uioi toū numphōnos, οἱ υἱοὶ τοῦ νυμφῶνος), un ebraismo con cui si indicavano i compagni dello sposo, poi applicato per indicare gli stessi discepoli di Gesù. Qui Gesù indica indirettamente se stesso alla terza persona. L’immagine del Messia atteso come lo Sposo e il suo tempo come il tempo delle nozze circolava all’epoca e i testi cristiani l’hanno recuperata.
Alla lettera, il testo contiene il termine schisma (σχίσμα) che, nel senso di divisione tra gruppi, offre una pista interpretativa di questa immagine che doveva essere eloquente in sé, dal momento che né Marco né Gesù ne suggeriscono un significato. Se la novità riguarda la venuta dello Sposo, il testo suggerisce che non sarà conciliabile con le vecchie forme raccomandate dal giudaismo. Lo scisma fra tradizioni o scuole e fra discepoli dell’una o dell’altra sarà inevitabile. A meno che non si formuli una condotta (halakha) nuova, fondata sul criterio cristologico, sulla via segnata dal Figlio dell’uomo.
Commento alla Liturgia
Lunedì della II settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Eb 5,1-10
1Ogni sommo sacerdote, infatti, è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. 2Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell'ignoranza e nell'errore, essendo anche lui rivestito di debolezza. 3A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso, come fa per il popolo. 4Nessuno attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. 5Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato , gliela conferì 6come è detto in un altro passo: Tu sei sacerdote per sempre, secondo l'ordine di Melchìsedek. 7Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. 8Pur essendo Figlio, imparò l'obbedienza da ciò che patì 9e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, 10essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l'ordine di Melchìsedek.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 109(110)
R. Tu sei sacerdote per sempre, Cristo Signore.
Oracolo del Signore al mio signore:
«Siedi alla mia destra
finché io ponga i tuoi nemici
a sgabello dei tuoi piedi». R.
Lo scettro del tuo potere
stende il Signore da Sion:
domina in mezzo ai tuoi nemici. R.
A te il principato
nel giorno della tua potenza
tra santi splendori;
dal seno dell'aurora,
come rugiada, io ti ho generato. R.
Il Signore ha giurato e non si pente:
«Tu sei sacerdote per sempre
al modo di Melchìsedek». R.
Vangelo
Mc 2,18-22
18I discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Vennero da lui e gli dissero: "Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?". 19Gesù disse loro: "Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. 20Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora, in quel giorno, digiuneranno. 21Nessuno cuce un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo porta via qualcosa alla stoffa vecchia e lo strappo diventa peggiore. 22E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri, e si perdono vino e otri. Ma vino nuovo in otri nuovi!".
Note
Approfondimenti
Unica occorrenza del verbo metriopatheō (μετριοπαθέω) nel NT, esprime la misericordia del sacerdote verso chi pecca per ignoranza o errore.
Nel greco classico, il verbo indica moderazione nei sentimenti e nelle passioni. Filone lo usa per esprimere la padronanza di sé, attribuendola ad Aronne.
Nella Lettera agli Ebrei esprime proprio questo atteggiamento di moderazione (μέτριος, metrios = moderato).
A differenza di 4,15, dove si utilizza il verbo sumpatheō (συμπαθέω) per esprimere la compassione di Cristo fino a soffrire con gli uomini e come loro, qui metriopatheō indica la comprensione e la solidarietà del sacerdote verso chi sbaglia, basata sul fatto che anche lui è umanamente fragile.
Debolezza
La Lettera agli Ebrei non lascia nessuno spazio alle illusioni “sacerdotali” né, tantomeno, alle pretese clericali:
«Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza» (Eb 5,2).
Queste illusioni e queste pretese non sono certo solo appannaggio e tentazione di quanti sono rivestiti di un ministero all’interno della Chiesa, ma sono delle realtà che esigono la continua vigilanza di tutti per evitare, in ogni modo, di cadere nella trappola di pensare a una perfezione che sia privata del suo carattere divino che è, appunto, la «giusta compassione». Nel Vangelo, il Signore Gesù ci fa percepire con chiarezza in che cosa consista questa compassione. Il primo passo è quello di liberare il cuore e lo sguardo sugli altri dalla cataratta del giudizio, che esige la volontà di superare ogni pregiudizio, sia morale che spirituale. La domanda che viene posta al Maestro sembra alquanto innocua:
«Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?» (Mc 2,18).
La risposta del Signore Gesù sembra andare ben aldilà di quella che sembra essere una semplice provocazione devota. A partire da questa domanda, che riguarda le espressioni particolari ed eminentemente personali delle forme di preghiera, in modo del tutto imprevisto, il Signore evoca l’immagine delle «nozze» (2,19). All’immagine nuziale sono legati almeno due valori fondamentali: la gioia e l’intimità! Questi due elementi rimandano, in modo del tutto naturale, a un elemento che sembra irrinunciabile per il Signore Gesù: il carattere assolutamente personale dell’esperienza di Dio unitamente ai segni che la indicano, la nutrono e la esprimono. Laddove nel modo di porsi dei «discepoli di Giovanni» e dei «farisei» (2,18) sembra esserci un cliché cui tutti dovrebbero conformarsi, il Signore sottolinea che per quanto riguarda il cammino spirituale, siamo posti necessariamente e continuamente in un alveo assai diverso, che non può e non deve mai diventare essenzialmente convenzionale.
L’evocazione della gioia delle nozze non è disgiunta dalla memoria del fatto che «verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto» (2,20), ma questo non fa che confermare l’orizzonte assolutamente nuovo in cui si muove e attraverso cui si offre l’annuncio del Vangelo. Questo annuncio, se non rifiuta nessuna consuetudine, al contempo le sottopone tutte al discernimento dell’interiorità e dell’intimità ove si consuma – secondo il linguaggio propriamente nuziale – l’incontro tra il Creatore e le sue creature. Due piccole, ma efficacissime parabole completano il quadro e chiariscono – si potrebbe dire una volta per tutte – la posta in gioco dell’annuncio evangelico:
«Nessuno cuce un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio [...] nessuno versa vino nuovi in otri vecchi» (Mc 2,21-22).
La frizzante novità del Vangelo sembra consistere proprio nella capacità di assumere la sfida della «debolezza» (Eb 5,2). Come spiega Pietro Crisologo: «Questo panno nuovo è il tessuto del vangelo, che egli sta tessendo col vello dell'Agnello di Dio: un vestito regale che presto il sangue della Passione tingerà di rosso. Come potrebbe Cristo accettare di unire questo panno nuovo al vecchio legalismo» (PIETRO CRISOLOGO, Omelia su Marco, 2) che, naturalmente, non è solo quello di Israele?
Cerca nei commenti