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Unica occorrenza di questo sostantivo in Marco, πώρωσις (pòrosis) è un termine usato in pochi altri passi del Nuovo Testamento, nelle lettere di Paolo. Il verbo da cui deriva, πωρόω (pòròo), significa “indurirsi, pietrificarsi”, ma con riferimento agli occhi anche “offuscarsi”. Questa doppia sfumatura di “ostinazione” e “cecità” affiora anche qui, a suggerire il motivo per cui il Signore si indigna e si rattrista: vedere intorno a sé dei cuori chiusi nel silenzio, cioè nell’incapacità di vedere che, quando si tratta del bene della vita nella pienezza della sua dignità, ogni giorno è sabato.
Commento alla Liturgia
Mercoledì della II settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Eb 7,1-3.15-17
1Questo Melchìsedek infatti, re di Salem, sacerdote del Dio altissimo, andò incontro ad Abramo mentre ritornava dall'avere sconfitto i re e lo benedisse; 2a lui Abramo diede la decima di ogni cosa. Anzitutto il suo nome significa "re di giustizia"; poi è anche re di Salem, cioè "re di pace". 3Egli, senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio, rimane sacerdote per sempre. 15Ciò risulta ancora più evidente dal momento che sorge, a somiglianza di Melchìsedek, un sacerdote differente, 16il quale non è diventato tale secondo una legge prescritta dagli uomini, ma per la potenza di una vita indistruttibile. 17Gli è resa infatti questa testimonianza: Tu sei sacerdote per sempre secondo l'ordine di Melchìsedek.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 109(110)
R. Tu sei sacerdote per sempre, Cristo Signore.
Oracolo del Signore al mio signore:
«Siedi alla mia destra
finché io ponga i tuoi nemici
a sgabello dei tuoi piedi». R.
Lo scettro del tuo potere
stende il Signore da Sion:
domina in mezzo ai tuoi nemici. R.
A te il principato
nel giorno della tua potenza
tra santi splendori;
dal seno dell'aurora,
come rugiada, io ti ho generato. R.
Il Signore ha giurato e non si pente:
«Tu sei sacerdote per sempre
al modo di Melchìsedek». R.
Vangelo
Mc 3,1-6
1Entrò di nuovo nella sinagoga. Vi era lì un uomo che aveva una mano paralizzata, 2e stavano a vedere se lo guariva in giorno di sabato, per accusarlo. 3Egli disse all'uomo che aveva la mano paralizzata: "Àlzati, vieni qui in mezzo!". 4Poi domandò loro: "È lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o ucciderla?". Ma essi tacevano. 5E guardandoli tutt'intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse all'uomo: "Tendi la mano!". Egli la tese e la sua mano fu guarita. 6E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire.
Note
Indistruttibile
La conclusione del vangelo odierno proietta già il cammino di Gesù — e la nostra meditazione — verso il mistero pasquale, attraverso la sentenza di morte congiunta da parte di farisei ed erodiani. Ha appena iniziato a manifestare l’efficacia del Regno ed è già giudicato colpevole, colui che sembra così libero da non subordinare l’uomo al sabato (semmai viceversa). Questo sfondo narrativo dà uno speciale risalto a quanto afferma l’autore della lettera agli Ebrei, riflettendo sul sacerdozio di Cristo e paragonandolo a quello del misterioso Melchisedek.
[Ora] sorge, a somiglianza di Melchisedek, un sacerdote differente, il quale non è diventato tale secondo una legge prescritta dagli uomini, ma per la potenza di una vita indistruttibile (Eb 7,15-16).
Naturalmente è proprio il mistero pasquale a fornire già un ponte tra le due letture: il Signore Gesù è potuto entrare in una vita indistruttibile proprio per essersi consegnato liberamente all’esperienza della croce. L’accostamento tra la figura dell’antico re e l’azione del Maestro nei confronti dell’uomo con la mano paralizzata accende tuttavia ulteriori luci. La strana figura sacerdotale del re di Salem, che incrocia il cammino di Abramo nel racconto della Genesi, viene presentata in un atteggiamento molto particolare.
[...] andò incontro ad Abramo mentre ritornava dall’avere sconfitto i re e lo benedisse; a lui Abramo diede la decima di ogni cosa (Eb 7,1-2).
Nella Scrittura sacra, avvicinarsi e benedire esprimono l’atteggiamento più distintivo della relazione di un padre verso suo figlio. La benedizione non è, infatti, solo un gesto augurale, ma un vero e proprio atto di condivisione e di comunicazione di quanto si possiede. Con la benedizione, il padre trasmette al figlio tutta la sua vita, conferendole in tal modo il sigillo di offerta e dono. Dare la vita è, in qualche modo, la figura esistenziale che anticipa il morire. Ed è proprio il destino a cui Gesù va incontro, nel momento in cui sceglie di spezzare il silenzio e l’indifferenza che circondano l’uomo dalla mano inaridita. Un atto d’amore non lascia mai la realtà com’era prima. Per questo può essere indistruttibile, se sgorga da quel sangue sacerdotale che ogni essere umano ha in quanto creatura di Dio e che ogni cristiano può addirittura, consapevolmente, rivelare in quanto figlio di Dio. Quel sangue che fa la differenza ogni volta che qualcuno si avvicina e benedice chi attende solo di essere accolto, sanato e restituito alla vita. Chi è come noi.
E guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse all’uomo: «Tendi la mano!». Egli la tese e la sua mano fu guarita (Mc 3,5).
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