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Prima e unica occorrenza, nel Vangelo di Marco, del termine apostolo (ἀπόστολος), usato nel suo senso etimologico di “inviato” (dal verbo apostèllō, ἀποστέλλω) ma con una sfumatura più evocativa di quanto indica il semplice participio passivo.
Il verbo splagchnìzomai (σπλαγχνίζομαι), che letteralmente significa “essere preso alle viscere”, nei racconti dei vangeli ha sempre Gesù come soggetto ed esprime quasi il suo punto vulnerabile che, toccato dalla malattia, dalla sofferenza, dalla morte, fa scaturire gesti come le moltiplicazioni dei pani e, in definitiva, tutta la sua missione. Nelle Scritture questo verbo è usato quasi esclusivamente per Dio, per dire il suo sentimento materno di compassione. Il Vangelo testimonia che l’attributo divino della misericordia (in ebraico rakhamim, viscere) è entrato nella storia nella persona di Gesù.
È un’espressione fortemente biblica: in Nm 27,17 si parla di un gregge senza pastore quando viene menzionato il successore di Mosé, che porta il nome di Gesù in greco. Nella letteratura profetica sono molti i riferimenti al pastore escatologico che si sostituirà alle autorità esistenti (Ez 34, Zc 10, Ger 24, Is 53) per riunire il popolo disperso. Nell’era messianica si attende dunque la salvezza nella forma di un pastore che ristabilirà unità, sicurezza e pace. Qui Gesù, che entra in scena provando compassione per la folla, compie l’attesa di cui parla l’insieme delle Scritture.
Commento alla Liturgia
Sabato della IV settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Eb 13,15-17.20-21
15Per mezzo di lui dunque offriamo a Dio continuamente un sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome. 16Non dimenticatevi della beneficenza e della comunione dei beni, perché di tali sacrifici il Signore si compiace. 17Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi, perché essi vegliano su di voi e devono renderne conto, affinché lo facciano con gioia e non lamentandosi. Ciò non sarebbe di vantaggio per voi. 20Il Dio della pace, che ha ricondotto dai morti il Pastore grande delle pecore, in virtù del sangue di un'alleanza eterna, il Signore nostro Gesù, 21vi renda perfetti in ogni bene, perché possiate compiere la sua volontà, operando in voi ciò che a lui è gradito per mezzo di Gesù Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 22(23)
R. Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l'anima mia. R.
Mi guida per il giusto cammino,
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza. R.
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca. R.
Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni. R.
Vangelo
Mc 6,30-34
30Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. 31Ed egli disse loro: "Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po'". Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. 32Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. 33Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. 34Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore , e si mise a insegnare loro molte cose.
Note
Compassione
L’introduzione narrativa al vangelo odierno, dove gli «apostoli» fanno ritorno da Gesù «e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato» (Mc 6,30), avrebbe potuto essere seguita da una più calda ed entusiastica reazione da parte dello stesso Signore, il quale, invece, replica soltanto con queste parole:
«Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’» (Mc 6,31).
Invece che commentare o elogiare la prima “missione” apostolica del gruppo dei Dodici, Gesù preferisce raffreddare gli animi proponendo una ritirata strategica al riparo e lontano da quei molti «che andavano e venivano», al punto che i discepoli «non avevano neanche il tempo di mangiare» (6,31).
Certo, l’invito al riposo potrebbe essere già colto come una buona raccomandazione di cui — mai come oggi — siamo in grado di riconoscere l’urgenza e l’importanza, da sapersi ritagliare soprattutto dopo quei momenti in cui la vita ci chiede e, talvolta, ci costringe a dare tanto di noi stessi e del nostro tempo, persino al di là di quanto siamo in grado di offrire. Eppure, nella proposta di una forte presa di distanza da quanto si è appena sperimentato e vissuto, è necessario saper cogliere un appello ulteriore.
L’esortazione contenuta nella lettera agli Ebrei ci offre una chiave per approfondire l’invito rivolto da Gesù agli apostoli e per intenderlo come un tentativo di custodire il loro ministero fuori da qualsiasi deriva “sacrificale”, ormai estranea ai termini di una vita secondo il vangelo:
«Fratelli, per mezzo di Gesù offriamo a Dio continuamente un sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome» (Eb 13,15).
Se è vero — come del resto afferma subito dopo l’autore della lettera — che non bisogna dimenticarsi della «beneficenza» e della «comunione dei beni» (13,16), cioè del modo ordinario con cui il rapporto con il Padre ha bisogno di incarnarsi, è altrettanto vero che occorre fare attenzione a non decadere mai da quella relazione filiale che il «Dio della pace, che ha ricondotto dai morti il pastore grande delle pecore» (13,20), ha stabilito con noi. Per questo, l’unico autentico sacrificio non può che essere quello della lode, cioè la permanenza in un atteggiamento di accoglienza e di gratitudine nei confronti di Dio «per mezzo di Gesù Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei secoli» (13,21).
In parole più semplici, l’intreccio delle due letture di oggi sembra volerci dire che ogni attività apostolica è compatibile con il nostro battesimo nella misura in cui non ci offre solo la possibilità di donare agli altri noi stessi, ma ci rende anche capaci di mettere gli altri nella condizione di poter offrire il meglio di se stessi, nella prospettiva di un incremento di vita e di felicità per tutti:
«Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi, perché essi vegliano su di voi e devono renderne conto, affinché lo facciano con gioia e non lamentandosi» (Eb 13,17).
Del resto, sappiamo bene che quando riusciamo a porre l’altro nella migliore delle condizioni possibili, in realtà, stiamo anche coltivando il bene per la nostra vita: «Ciò non sarebbe di vantaggio per voi» (13,17).
La conclusione del vangelo ci mostra come non sia, in effetti, il riposo in se stesso il traguardo dove possiamo sentirci custoditi nella «alleanza eterna» (13,20) e nella «volontà» (13,21) del Padre, ma solo l’esperienza di quella misericordia che fluisce naturalmente proprio nei momenti in cui ci sentiamo più bisognosi di ristoro e di quiete:
«Sceso (Gesù) dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore» (Mc 6,34).
Aver compassione, tuttavia, non può mai ridursi a usare gli altri per mettere in atto e in mostra le qualità del nostro modo di amare, ma si deve esprimere nella capacità di aiutare il prossimo a camminare con le proprie gambe per avanzare, con la propria sensibilità e il proprio ritmo, nel viaggio della vita:
«… si mise a insegnare loro molte cose» (Mc 6,34).
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