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Il verbo akouō (ἀκούω) potrebbe alludere non solo all’atto di ascoltare ma anche a una formula rabbinica che indicava una tradizione non rivelata da Dio a Mosè sul Sinai e tuttavia ugualmente considerata normativa grazie attraverso la trasmissione orale. Gesù dunque potrebbe riferirsi non solo ai passi scritturistici (come altrove quando Matteo usa l’espressione “è scritto…”) ma al complesso dell’insegnamento dei farisei e dei rabbini.
La particella dé (δέ) nel Vangelo di Matteo sembra indicare una discontinuità nella narrazione, non tanto avere una valenza avversativa. Avvisa il lettore che occorre cambiare prospettiva per accogliere quanto Gesù sta per dire. Per esprimerne il coordinamento con quanto la precede, in questo capitolo potrebbe essere tradotta quindi con “ebbene”, per sottolineare quanto Gesù aggiunge alla comprensione della Legge, senza volerla contestare.
Commento alla Liturgia
Venerdì della I settimana di Quaresima
Prima lettura
Ez 18,21-28
21Ma se il malvagio si allontana da tutti i peccati che ha commesso e osserva tutte le mie leggi e agisce con giustizia e rettitudine, egli vivrà, non morirà. 22Nessuna delle colpe commesse sarà più ricordata, ma vivrà per la giustizia che ha praticato. 23Forse che io ho piacere della morte del malvagio - oracolo del Signore - o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva? 24Ma se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male, imitando tutte le azioni abominevoli che l'empio commette, potrà egli vivere? Tutte le opere giuste da lui fatte saranno dimenticate; a causa della prevaricazione in cui è caduto e del peccato che ha commesso, egli morirà. 25Voi dite: "Non è retto il modo di agire del Signore". Ascolta dunque, casa d'Israele: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra? 26Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questo muore, egli muore appunto per il male che ha commesso. 27E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso. 28Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 129 (130)
R. Se consideri le colpe, Signore, chi ti può resistere?
oppure:
R. Perdonaci, Signore, e noi vivremo.
Dal profondo a te grido, o Signore;
Signore, ascolta la mia voce.
Siano i tuoi orecchi attenti
alla voce della mia supplica. R.
Se consideri le colpe, Signore,
Signore, chi ti può resistere?
Ma con te è il perdono:
così avremo il tuo timore. R.
Io spero, Signore.
Spera l’anima mia,
attendo la sua parola.
L’anima mia è rivolta al Signore
più che le sentinelle all’aurora. R.
Più che le sentinelle all’aurora,
Israele attenda il Signore,
perché con il Signore è la misericordia
e grande è con lui la redenzione.
Egli redimerà Israele
da tutte le sue colpe. R.
Vangelo
Mt 5,20-26
20Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. 21Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai ; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. 22Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: "Stupido", dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: "Pazzo", sarà destinato al fuoco della Geènna. 23Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. 25Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. 26In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all'ultimo spicciolo!
Note
Far vivere
Dovendo ricordare all’uomo, creato nella e per la libertà, la responsabilità di scegliere la vita per non scivolare nell’inganno e nella realtà della morte, il «Signore Dio», nel cuore di un’appassionata comunicazione di stile profetico, sembra quasi costretto a difendersi da una velata accusa da parte del popolo:
«Ascolta dunque, casa d’Israele: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra?» (Ez 18,25).
Pur non entrando in dialogo con i contenuti di una presunta cattiva condotta, il discorso profetico lascia intendere quale sia il nucleo problematico a cui si espone il modo di agire di Dio.
All’uomo di ogni tempo e luogo appare difficile pensare che Dio possa godere nel vedere le sue creature scivolare in abissi di morte, sempre più irreversibili, fino a gustare il calice amaro di un’esistenza negata. La domanda, per nulla retorica, che Ezechiele solleva di fronte al popolo vuole accendere una luce sicura su questo punto, diventando come un insistente ritornello che orienta anche il cammino quaresimale verso un orizzonte di vita:
«Forse che io ho piacere della morte del malvagio — oracolo del Signore — o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva?» (Ez 18,23).
Tuttavia, se in Dio non esiste intenzione né auspicio di vedere l’uomo malvagio incamminarsi verso la morte, ciò non significa che l’uomo non debba fare i conti con il frutto triste e velenoso della propria condotta: «Ma se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male, imitando tutte le azioni abominevoli che l’empio commette, potrà egli vivere?» (18,24).
Se la vita non è oggetto di conquista, il modo con cui cerchiamo di assumerne il compito non può nemmeno essere qualcosa di scontato su cui non fermiamo mai la nostra attenzione e il nostro discernimento:
«E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso» (Ez 18,28).
Ciò che sta a cuore al Signore Dio non è tanto che, attraverso passi di conversione, venga affermata la verità della sua parola su di noi. Ben più importante, ai suoi occhi, è il fatto che la nostra capacità di riflessione e di revisione produca un incremento di vita, anzitutto per noi stessi: «Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà» (18,28).
Il vangelo ci impone un passo ulteriore per accedere alla logica e all’esperienza del «regno dei cieli» (Mt 5,20), invitandoci a verificare attentamente non solo il nostro modo di agire, ma anche come questo possa essere percepito dall’altro:
«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24).
Dio non si meraviglia affatto della possibilità di arrivare a dire «stupido» o «pazzo» (5,22) al nostro fratello; nemmeno dell’eventualità di trovarci a camminare verso il suo altare senza essere in comunione gli uni con gli altri. Anzi, egli sa bene come tutto ciò possa far parte del vissuto concreto e quotidiano di ogni persona. Ci esorta, però, a non sentirci mai troppo estranei ai sentimenti che gli altri provano nei nostri confronti. Magari per scoprire che, di questi sentimenti, in fondo, siamo anche noi responsabili, anche quando non dovessimo esserne del tutto colpevoli.
Per questo è sempre tempo di imparare a non appesantire troppo la vita dei fratelli, scegliendo il modo migliore per fare un tratto di strada insieme e in pace:
«Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione» (Mt 5,25).
I luoghi meno desiderabili in cui una persona possa trovarsi vengono elencati dal Vangelo per ricordarci che, in realtà, Dio non vuole giudicare né condannare nessuno, ma solo accompagnare tutti in un cammino che solo insieme può essere compiuto fino in fondo. Per far vivere in noi e attorno a noi il sogno della fraternità:
«Ma con te è il perdono: così avremo il tuo timore» (Sal 129,4).
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