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Può essere utile cogliere le diverse sfumature di significato del verbo κατέχω (katèko) per comprendere il senso dell’espressione “tenete ciò che è buono”: da una prima sfumatura negativa, con il senso di “impedire, ostacolare”, si passa a quella di “aderire fermamente a tradizioni o convinzioni”, per esprimere l’idea di “tenersi stretto” ciò che vale; ma il verbo può significare anche “tenere in possesso” o “tenere prigioniero”. Paolo suggerisce un coraggioso atto di scelta per non lasciarsi sfuggire di mano ciò che, in una sola parola – καλός (kalòs) – è bello e buono.
Il titolo Christos (χριστός), che nel quarto vangelo ricorre 19 volte, corrisponde all’ebraico māšiah (unto). Nell’AT gli unti per antonomasia erano il re e il sommo sacerdote. Nel NT Gesù viene considerato prevalentemente come messia regale, ma viene connotato anche con i caratteri sacerdotali e con quelli del personaggio escatologico denominato “Figlio dell’uomo”.
Nel citare il profeta Isaia (40,3), il Quarto Vangelo opera qui una modifica significativa: invece di “preparare” la via del Signore, parla di “rendere diritta”, utilizzando il verbo εὐθύνω (euthùno), da εὐθύς (euthùs, diritto). Con questo sottile slittamento del senso, Giovanni non vuole tanto sottolineare la priorità temporale del precursore, ma vuole rivelare il tempo del compimento in cui quella via, che presto si rivelerà essere Gesù stesso, è ormai vicina. Il gesto di slegare, in greco λύω (lùo), i lacci di una calzatura per consegnarla a un altro, nella tradizione giudaica dell’Antico Testamento indicava il conferimento di un diritto di riscatto o di proprietà di qualcosa o di qualcuno: ben noto il caso del riscatto della vedova Rut da parte di Booz. Giovanni, evocando qui in modo velato Gesù come sposo, rompe il suddetto significato, non ritenendosi degno di abilitare Gesù a un gesto che appartiene solo allo sposo. In questo consiste l’umiltà di Giovanni, nell’autolimitarsi in modo assoluto, rivelando così l’identità di Gesù.
Nel citare il profeta Isaia (40,3), il Quarto Vangelo opera qui una modifica significativa: invece di “preparare” la via del Signore, parla di “rendere diritta”, utilizzando il verbo εὐθύνω (euthùno), da εὐθύς (euthùs, diritto). Con questo sottile slittamento del senso, Giovanni non vuole tanto sottolineare la priorità temporale del precursore, ma vuole rivelare il tempo del compimento in cui quella via, che presto si rivelerà essere Gesù stesso, è ormai vicina. Il gesto di slegare, in greco λύω (lùo), i lacci di una calzatura per consegnarla a un altro, nella tradizione giudaica dell’Antico Testamento indicava il conferimento di un diritto di riscatto o di proprietà di qualcosa o di qualcuno: ben noto il caso del riscatto della vedova Rut da parte di Booz. Giovanni, evocando qui in modo velato Gesù come sposo, rompe il suddetto significato, non ritenendosi degno di abilitare Gesù a un gesto che appartiene solo allo sposo. In questo consiste l’umiltà di Giovanni, nell’autolimitarsi in modo assoluto, rivelando così l’identità di Gesù.
Commento alla Liturgia
III Domenica di Avvento
Prima lettura
Is 61,1-2.10-11
1Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, 2a promulgare l'anno di grazia del Signore, il giorno di vendetta del nostro Dio, per consolare tutti gli afflitti, 10Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto con il mantello della giustizia, come uno sposo si mette il diadema e come una sposa si adorna di gioielli. 11Poiché, come la terra produce i suoi germogli e come un giardino fa germogliare i suoi semi, così il Signore Dio farà germogliare la giustizia e la lode davanti a tutte le genti.
Salmo Responsoriale
Da Lc 1,46-50.53-54
R. La mia anima esulta nel mio Dio.
L'anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l'umiltà della sua serva.
D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. R.
Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono. R.
Ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia. R.
Seconda Lettura
1Ts 5,16-24
16Siate sempre lieti, 17pregate ininterrottamente, 18in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. 19Non spegnete lo Spirito, 20non disprezzate le profezie. 21Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono. 22Astenetevi da ogni specie di male. 23Il Dio della pace vi santifichi interamente, e tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. 24Degno di fede è colui che vi chiama: egli farà tutto questo!
Vangelo
Gv 1,6-8.19-28
6Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. 7Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. 8Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. 19Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: "Tu, chi sei?". 20Egli confessò e non negò. Confessò: "Io non sono il Cristo". 21Allora gli chiesero: "Chi sei, dunque? Sei tu Elia?". "Non lo sono", disse. "Sei tu il profeta?". "No", rispose. 22Gli dissero allora: "Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?". 23Rispose: "Io sono voce di uno che grida nel deserto : Rendete diritta la via del Signore , come disse il profeta Isaia". 24Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. 25Essi lo interrogarono e gli dissero: "Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?". 26Giovanni rispose loro: "Io battezzo nell'acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, 27colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo". 28Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.
Note
Il testimone della luce
Anche questa domenica torna la figura di Giovanni, così cara al tempo dell’attesa. Egli fa la sua comparsa sin dal prologo poetico del IV Vangelo ed è fortemente connesso al Verbo. Giovanni, infatti, è l’inviato di Dio come nessun altro se non Gesù stesso, che è l’inviato del Padre per eccellenza. La sua missione è intimamente legata al nome che porta: Giovanni in ebraico vuol dire «Dio fa grazia». La sua vita pertanto è chiamata ad essere epifania della grazia divina, quella grazia di cui Gesù è «pieno» (Gv 1,14) e che è venuto a comunicare in sovrabbondanza (Gv 1,17).
L’impatto con la grazia divina ha segnato Giovanni sin dal grembo di sua madre (cf. Lc 1,44) tanto da renderlo «testimone», un uomo cioè marcato a fuoco dall’impatto col Signore:
«Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui» (Gv 1,7).
Testimone è chi porta i segni di un incontro che ha toccato la sua vita per sempre e che non può non essere raccontato ad altri, così come sarà per la comunità dei credenti dopo la risurrezione del Signore:
«Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi» (1Gv 1,3).
Giovanni è testimone della luce del Verbo, testimone cioè di un Dio dal volto solare che entra nel mondo come «la luce vera che illumina ogni uomo» (Gv 1,9). Egli ci insegna che testimoniare la luce significa accoglierla dentro di sé per poterla riflettere, significa rinunciare alle tenebre del compromesso con il peccato ed essere trasparente a Dio per farlo vedere agli altri vivo e operante.
Illuminato da questa luce, Giovanni può illuminare. Gesù stesso, infatti, dirà di lui:
«Egli era la lampada che arde e risplende» (Gv 5,35).
Giovanni testimonia la luce perché non frappone nulla tra sé e il Signore. È così libero e decentrato da sé che non vive per se stesso e tutto ciò che fa è in funzione di un altro, di Cristo-luce, perché chi lo ascolta possa rivolgere il suo cuore a Cristo e credere in lui. Per questo attira le folle, e le autorità religiose, sorprese dal “fenomeno”, aprono un’indagine su di lui e lo fanno interrogare. Per loro Giovanni è un caso da risolvere, non una porta sul mistero.
Il testimone però non ha titoli da sfoggiare davanti a chi lo interroga: sa di essere nient’altro che «la voce» che invita a raddrizzare i sentieri del cuore per accogliere la Parola. Come la voce è a servizio della Parola, così Giovanni è a servizio di colui al quale non è degno di slegare il laccio del sandalo, perché è lui lo sposo che solo può riscattare il popolo e unirlo a sé in un’alleanza nuziale (cf. Rt 4,7-8).
Giovanni è testimone perché sa fare spazio a quel Signore che conosce intimamente. Per questo può dire:
«Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv 3,30).
L’umile conosce Gesù, mentre chi pretende di sapere sempre tutto e desidera rinchiudere ogni cosa, persino Dio, nello spazio asfittico delle sue definizioni superficiali non può conoscerlo. Conosce Gesù solo chi spogliandosi di sé si riveste della sua luce e fa luce agli altri, chi vive una sequela fatta non di sforzi ma d’amore.
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