www.nellaparola.it
Questa espressione può avere un senso metaforico e indicare l’autorità di chi insegna, come si dice, ex cathedra (kathedra, καθέδρα), e quindi riferirsi a Mosè, oppure un senso reale, perché in alcune sinagoghe, sebbene tardive rispetto al testo evangelico, vi erano seggi speciali per la presidenza dell’assemblea. Probabilmente, scribi e farisei sono descritti qui come coloro che non solo custodivano la Torah ma la trasmettevano nelle liturgie sinagogali.
Il sostantivo phortion (φορτίον), “carico, fardello”, è lo stesso che Gesù definisce “leggero” in 11,30, riferendosi al “suo” peso. In senso proprio, il sostantivo significa “carico” della nave, mentre qui si parla dei pesi che derivano dall’osservanza della Torah. Forse la differenza tra il carico di Gesù e quello di scribi e farisei è che questi ultimi non aiutano la gente a portarlo, mentre Gesù condivide il “giogo” con chi si trova a portarlo.
Il termine kathēgētēs (καθηγητής) ricorre solo qui in tutto il Nuovo Testamento, e significa “guida, tutore, precettore”.
Il verbo diakoneō (διακονέω), da cui ha origine il sostantivo diakonos (διάκονος), nella maggior parte delle occorrenze in Matteo conferma il significato principale del verbo, quello di “servire a tavola”, ma Gesù amplia questo servizio fino a esprimere la più alta delle opere: la diaconia di Gesù, che riassume ciò per cui è venuto, è quella che arriva a dare la vita per il riscatto di molti (cf. 20,28).
Commento alla Liturgia
Martedì della II settimana di Quaresima
Prima lettura
Is 1,10.16-20
10Ascoltate la parola del Signore, capi di Sòdoma; prestate orecchio all'insegnamento del nostro Dio, popolo di Gomorra! 16Lavatevi, purificatevi, allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni. Cessate di fare il male, 17imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l'oppresso, rendete giustizia all'orfano, difendete la causa della vedova". 18"Su, venite e discutiamo - dice il Signore. Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana. 19Se sarete docili e ascolterete, mangerete i frutti della terra. 20Ma se vi ostinate e vi ribellate, sarete divorati dalla spada, perché la bocca del Signore ha parlato".
Salmo Responsoriale
Dal Sal 49(50)
R. A chi cammina per la retta via mostrerò la salvezza di Dio.
oppure:
R. Mostraci, Signore, la via della salvezza.
Non ti rimprovero per i tuoi sacrifici,
i tuoi olocàusti mi stanno sempre davanti.
Non prenderò vitelli dalla tua casa
né capri dai tuoi ovili. R.
Perché vai ripetendo i miei decreti
e hai sempre in bocca la mia alleanza,
tu che hai in odio la disciplina
e le mie parole ti getti alle spalle? R.
Hai fatto questo e io dovrei tacere?
Forse credevi che io fossi come te!
Ti rimprovero: pongo davanti a te la mia accusa.
Chi offre la lode in sacrificio, questi mi onora;
a chi cammina per la retta via
mostrerò la salvezza di Dio. R.
Vangelo
Mt 23,1-12
1Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2dicendo: "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6si compiacciono dei posti d'onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati "rabbì" dalla gente. 8Ma voi non fatevi chiamare "rabbì", perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9E non chiamate "padre" nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10E non fatevi chiamare "guide", perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.
Note
Approfondimenti
Il verbo kathizō (καθίζω) compare qui come un aoristo gnomico, di solito usato per sentenze e proverbi, e implica il fatto che i farisei sono ancora seduti, come se fosse un perfetto.
Questa non è un’affermazione critica, anzi rappresenta forse l’unica valutazione positiva del loro ruolo in tutto il vangelo. Anche studi recenti portano ugualmente a riabilitare i farisei e la loro ricchissima tradizione. In particolare, qui si descrive la correttezza del loro insegnamento, che anche Gesù riconosce. Vengono rimproverati, invece, perché non hanno una prassi corrispondente all’interpretazione che danno della Torah.
Infatti, diversamente da quanto comunemente di crede, l’esegesi farisaica della Scrittura non era letterale, ma cercava di adattare e rendere praticabili le norme della Torah. Tuttavia, come le parole di Gesù al v. 5 mostrano, i farisei si concentravano troppo su dettagli minimi, rischiando di perdere di vista il cuore della rivelazione di Dio.
Nell’ebraico biblico il termine rab (grande) appare soltanto in associazione ad altri nomi. Dopo la distruzione del Tempio, rabbì (ῥαββί) precede il nome dei maestri e così nelle fonti rabbiniche viene usato come appellativo assoluto per indicare il maestro di dottrina. I rabbì farisei si ritenevano depositari dell’interpretazione della Torah, utilizzando il titolo per designare il loro ruolo e le loro prerogative.
Al tempo in cui Matteo scrive il suo vangelo, il titolo di rabbì veniva probabilmente usato anche per definire gli scribi cristiani, forse conferito con una vera e propria investitura. Forse per questo Gesù proibisce ai discepoli di chiamarsi in questo modo – indicazione presente solo in questo vangelo – perché non diventi un modo per ricevere onori e potere.
Imparare
La parola del Signore, con cui oggi siamo chiamati a misurarci, toglie il fiato per il timbro di urgente correzione che il profeta Isaia è in grado di conferirle:
«Lavatevi, purificatevi, allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni. Cessate di fare il male» (Is 1,16).
Il male – lo sappiamo bene – si concretizza e si esprime in svariate forme, senza poter essere mai identificato fino in fondo con quelle «strutture di peccato» che nella storia ricorrono e si evolvono, come virus silenziosi e aggressivi di cui siamo tutti, al contempo, responsabili e vittime. Tuttavia, lo sguardo lucido e concreto del profeta ci costringe a riconoscere che, dietro a ogni male, si nasconde sempre un certo tentativo di negare quella paternità di Dio riconoscibile nella realtà di quello che siamo: «e voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8). Nella sua potente invettiva, Isaia non denuncia un male generico, ma affronta a viso aperto quella ordinaria violazione dei vincoli di solidarietà che dovrebbero essere maggiormente garantiti proprio nei confronti delle categorie di persone più deboli e indifese:
«Cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova» (Is 1,17).
Secondo la parola del Vangelo, la forma ordinaria con cui tentiamo di sfuggire alla logica dell’incarnazione – quindi alla Pasqua come forma di compimento della nostra umanità – coincide con l’illusione di vivere per «poter essere ammirati dalla gente» (Mt 23,5), anziché nella speranza di poter essere realmente utili alla loro vita. L’atteggiamento per cui scribi e farisei vengono denunciati dal Signore Gesù davanti alla folla è quello di chi non sente più il bisogno di rimanere seduto tra i banchi di scuola dei discenti, ma preferisce sedersi su una sedia dove si accarezza il sogno di essere migliore degli altri:
«Allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente» (Mt 23,5-7).
L’incapacità di restare nella posizione – in realtà così liberante – di coloro che devono ancora imparare, non è altro che una forma di ribellione alla nostra umanità, creata da Dio per raggiungere una sana autonomia, ma non certo per isolarsi in una falsa e inutile indipendenza. Di fronte a questo tentativo di fasulla emancipazione, il Signore Gesù traccia un destino che non lascia scampo a nessuno:
«Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato» (Mt 23,11-12).
La conclusione della lezione di Isaia ritagliata dalla liturgia odierna ha la capacità di rendere ancora più solenne e drammatica la conseguenza di un cuore sordo e duro: «Ma se vi ostinate e vi ribellate, sarete divorati dalla spada, perché la bocca del Signore ha parlato» (Is 1,20).
Se c’è un’ostinazione che possiamo provare a coltivare è semmai la rinuncia a ogni tentativo di porre «sulle spalle» degli altri quei pesi che, noi per primi, non sappiamo ancora assumere liberamente e fedelmente, anche a costo di dover alzare la voce per accogliere il più sconcertante degli inviti che Dio accorda alla nostra umanità: «Su, venite e discutiamo, dice il Signore» (Is 1,18). Quando è priva di collera e di risentimento, la discussione è l’unica strada per imparare a crescere con l’altro, senza dare per scontato che il bene possa esistere prima di essere cercato insieme. Per questo il Signore non si stanca mai di farci ripartire da ciò che è essenziale, anche quando i chilometri sul nostro cruscotto dovessero avere già molte cifre:
«Imparate a fare il bene…» (Is 1,17).
Come ricorda l’apostolo Paolo, si tratta di essere molto sinceri con noi stessi: «Non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi» (Rm 12,6). Del resto, la realtà che dobbiamo imparare ad accogliere, liberi e «docili» (Is 1,19), non fa male e non deve spaventare nessuno: noi siamo «tutti fratelli» e «uno solo è il Padre» nostro, «quello celeste» (Mt 23,8.9).
Cerca nei commenti