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Pur essendo tradotto al maschile plurale, letteralmente il termine è υἱοθεσία (uiothesìa), che esprime l’idea dell’adozione, composto com’è da υἱός (uiòs, figlio maschio) e τίθημι (tìthemi, porre, qui meglio costituire). Si tratta di un termine tecnico con sfumature giuridiche, ma negli scritti di Paolo assume il senso traslato di una relazione filiale tra Dio e gli uomini, senza distinzione di sesso. Una filiazione non naturale, ma mediata da Gesù Cristo, il Figlio: partecipi del suo mistero di incarnazione, passione e resurrezione, anche noi acquisiamo lo status di figli legittimi, eredi dei beni e delle promesse del Padre.
Il verbo κατέλαβεν (katelaben) non è facile da tradurre. È formato dal verbo «afferrare» (λαμβάνω), preceduto da un prefisso che intensifica il valore del verbo (κατά). Ne risulta una forte ambivalenza che oscilla dal significato di «accogliere» a quello di «sopraffare». Il prologo sembra così dire che, di fronte al sorgere della luce vera (il Verbo di Dio), le tenebre della nostra umanità hanno solo due scelte: accogliere o respingere. Ma nemmeno la nostra indifferenza può spegnere il desiderio di Dio di raggiungerci.
Letteralmente, il termine è al plurale e questa lezione è unica nel corpus giovanneo: “non da sangui”. Secondo alcuni studiosi, la Bibbia usa il singolare finché il sangue circola all’interno della persona ed è quindi segno di vita, e il plurale quando è versato con la morte. Lo stesso termine al plurale si applica al ciclo mestruale della donna, tanto che ricorre nel libro del Levitico in riferimento alle norme per la purificazione rituale dopo il parto. È importante osservarlo perché il plurale svincola l’appartenenza “ai suoi” – al popolo eletto – dall’ascendenza di una madre giudea e la associa invece alla fede.
Questo verbo finale del prologo, exēghèomai (ἐξηγέομαι), ha un duplice significato: quello abituale di “condurre da un luogo a un altro” assumendosi la responsabilità della guida, e l’altro di “far comprendere”, nel senso che Gesù come Figlio è l’esegeta e l’esegesi del Padre, la guida e la via. Il verbo ricorre nel NT 6 volte, di cui 5 nell'opera lucana per lo più in questo significato di "narrare". Il verbo invita dunque a rileggere l’insieme del testo nella prospettiva della relazione unica di Gesù col Padre, grazie alla quale il Figlio si comunica in noi (cf. v. 14), “trascinandoci” con sé, secondo un’evocativa traduzione di exēghèomai.
Commento alla Liturgia
Domenica della II settimana di Natale
Prima lettura
Sir 24,1-2.8-12
1La sapienza fa il proprio elogio, in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria. 2Nell'assemblea dell'Altissimo apre la bocca, dinanzi alle sue schiere proclama la sua gloria: 8Allora il creatore dell'universo mi diede un ordine, colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda e mi disse: "Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele". 9Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato, per tutta l'eternità non verrò meno. 10Nella tenda santa davanti a lui ho officiato e così mi sono stabilita in Sion. 11Nella città che egli ama mi ha fatto abitare e in Gerusalemme è il mio potere. 12Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso, nella porzione del Signore è la mia eredità.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 147
R. Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezzo a noi.
Celebra il Signore, Gerusalemme,
loda il tuo Dio, Sion,
perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,
in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli. R.
Egli mette pace nei tuoi confini
e ti sazia con fiore di frumento.
Manda sulla terra il suo messaggio:
la sua parola corre veloce. R.
Annuncia a Giacobbe la sua parola,
i suoi decreti e i suoi giudizi a Israele.
Così non ha fatto con nessun’altra nazione,
non ha fatto conoscere loro i suoi giudizi. R.
Seconda Lettura
Ef 1,3-6.15-18
3Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. 4In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, 5predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d'amore della sua volontà, 6a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. 15Perciò anch'io, avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell'amore che avete verso tutti i santi, 16continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, 17affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; 18illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi
Vangelo
Gv 1,1-18
1In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. 2Egli era, in principio, presso Dio: 3tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. 4In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; 5la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta. 6Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. 7Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. 8Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. 9Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. 10Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. 11Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. 12A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, 13i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. 14E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. 15Giovanni gli dà testimonianza e proclama: "Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me". 16Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. 17Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. 18Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.
Note
Approfondimenti
Il verbo all’imperfetto, in greco e in italiano, non rimanda a un passato concluso. Trattandosi del verbo essere, l’imperfetto assume il significato di un passato che influisce sul presente: “in principio c’era/c’è la parola”. La parola è sempre stata in principio e vi rimane per sempre. L’affermazione si applica a tutto ciò che comincia. La parola instaura così uno spazio-tempo umano, quindi relazionale e culturale. Il verbo “era” richiama anche il nome divino che si trova in Es 3,14: “Io sono colui che sono”.
Più precisamente, con il primo "era" non si dice che il Logos sia stato creato ma che esisteva in eterno. Tuttavia, il Logos non va identificato con Dio: nel terzo "era", davanti alla parola "Dio" non vi è articolo, e questo non autorizza la traduzione "era uguale a Dio" o "era simile a Dio", piuttosto l'assenza dell'articolo mantiene la distinzione delle due realtà, che mantengono una comunione personale d'amore. Si potrebbe tradurre "ciò che era Dio lo era anche il Verbo".
Il concetto di logos (λόγος) del quarto vangelo deriva dalla letteratura ebraica più che dalla filosofia greca, in particolare dai concetti teologici di Parola e di Sapienza. A partire dai racconti di creazione, si sviluppa in Israele una profonda riflessione sul concetto di “parola di Dio” come potenza che crea e sostiene il mondo.
I libri sapienziali (cf. Pr 8, Gb 28, Sir 24, Sap 7-9) descrivono la Sapienza come la prima delle creature, che ha cooperato con Dio nella creazione dell’universo come archetipo o come architetto. La Sapienza ha cercato una dimora stabile in mezzo agli uomini e, dopo essere stata rifiutata, avrebbe ricevuto ordine da Dio di stabilirsi in Israele, nella città santa di Gerusalemme.
In ogni caso, il prologo non usa il termine greco sophìa ma quello di Logos, che linguisticamente si avvicina di più al concetto di “parola”. Inoltre, nel giudaismo, le ipostasi bibliche della Sapienza, della Parola, della Torah, non diventano mai delle personalizzazioni, come invece avviene nel prologo.
Dal seno del Padre
Nella II domenica dopo Natale la liturgia della Parola ci permette di gustare la bellezza dell’ingresso del Figlio di Dio nel mondo, il suo mettere radici nella storia dell’umanità e la grazia che ci ha accordato nel condividere con noi il tesoro della sua stessa figliolanza.
Per contemplare il mistero dell’incarnazione, l’evangelista Giovanni ci fa oltrepassare la soglia del tempo, per andare a ritroso fino a mettere a fuoco il proposito eterno di Dio. Ci porta «in principio» (Gv 1,1) – espressione con cui si aprono le Scritture ebraico-cristiane (Gen 1,1) –, laddove tutto ha origine e, accompagnandoci lì, non ci conduce in un luogo ma ci fa conoscere una relazione: ci porta nel «seno» di Dio (Gv 1,18) dove si può contemplare l’amore che circola tra il Padre e il Figlio e che vuole riversarsi copioso sugli uomini e le donne. Da questo seno il Figlio unigenito di Dio esce per venire nel mondo, accogliendo l’amorevole invito del Padre, in cui riecheggia quello che il Creatore rivolge alla sapienza:
«Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele, affonda le tue radici tra i miei eletti» (Sir 24,13).
Il Padre invia suo Figlio, sapienza incarnata, mosso dal suo amore viscerale per l’umanità: egli è il Dio “in uscita” che non ha scelto di confinarsi nei cieli ma ha deciso di rivelarsi, di esporre tutto se stesso per farsi conoscere alle sue creature. Dio ha scelto di comunicarsi legandosi all’umanità con un’alleanza eterna, con un impegno di natura nuziale che ha come conseguenza il suo abitare in mezzo agli uomini e alle donne che egli ama. Dio desidera abitare fianco a fianco con le sue creature predilette, fissando la sua tenda sulla terra, affondando le radici nella storia del popolo eletto. Per questo Giovanni annuncia solennemente nel suo prologo poetico l’evento che ha cambiato la storia:
«il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14).
Dio si comunica attraverso la carne umana per instaurare una relazione d’amore con il suo popolo: facendosi uomo, si fa vedere, ascoltare, toccare (cf. 1Gv 1,1) e, al tempo stesso, vede, ascolta, tocca. Dio si fa corpo, relazione. Attraverso parole e azioni, la carne del Verbo comunica vita e luce, manifesta grazia e verità, porta salvezza.
Giovanni spiega l’incarnazione come il piantare la sua tenda nella storia da parte di Dio per dirci che egli non abita sontuosi edifici costruiti da mani d’uomo, ma un corpo che ha le caratteristiche di una tenda che è mobile e adattabile. La carne di Gesù è la tenda dell’incontro tra Dio e l’uomo, prefigurata dalla tenda nel deserto e dal tempio di Gerusalemme. In Gesù Dio si fa itinerante, nomade tra i nomadi, pellegrino come il popolo e con il popolo, compagno di viaggio di ogni essere umano. Nel Figlio suo egli viene a dirci tutta la sua prossimità e soprattutto a farsi conoscere in verità, detergendo le incrostazioni e le impurità che offuscano il suo volto:
«Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato» (Gv 1,18).
L’esegesi, cioè la rivelazione autentica del Padre, la fa solo il Figlio: è lui che ci presenta Dio non come un sovrano algido e distante, non come un padrone che governa imponendosi, ma come un Padre amorevole che si compiace delle sue creature. Questo Padre
«ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo» (Ef 1,4-5).
È in Cristo, Verbo fatto carne, che possiamo contemplare la nostra vocazione e il nostro destino di figli del Padre chiamati alla santità, a una vita nel segno dell’amore che genera gli altri alla vita filiale.
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