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Si tratta di un’espressione idiomatica greca, per esprimere l’uso di una situazione a proprio vantaggio. Il sostantivo harpagmos (ἁρπαγμός) indica una realtà posseduta, conquistata anche con la forza o con il furto, che si vuole a tutti i costi conservare.
Il sostantivo schēma (σχῆμα) indica la forma esteriore e riconoscibile di qualcosa o qualcuno. Quindi Cristo non solo fu come gli altri uomini, ma fu il suo comportamento a farlo riconoscere come tale.
Nel greco biblico, il verbo kenoō (κενόω) è usato sempre in senso metaforico. Questo è l’unico passo in cui è costruito con un pronome riflessivo, per mettere in risalto l’aspetto personale e libero dello svuotamento di Cristo, che consiste nell’assumere la condizione dello schiavo.
Questa è l’unica occorrenza del verbo huperupsoō (ὑπερυψόω) in tutto il NT e descrive un’esaltazione al massimo livello, che include implicitamente la risurrezione e l’ascensione di Cristo.
Letteralmente, significa “casa del povero”. Nome significativo rispetto a quanto si dirà in seguito su ciò che si sarebbe potuto dare ai “poveri”. Di fatto, già all’inizio del racconto della passione, Gesù sta in compagnia dei poveri, rappresentati da un lebbroso.
Il termine raro pistikos (πιστικός) può significare “di qualità eccellente”, ma anche “affidabile”, e quindi “genuino, non adulterato”, per la presenza della radice di pistis (πίστις), “fede, fiducia”. Il gesto di rompere (suntribō, συντρίβω) il vaso, invece cha semplicemente aprirlo, era necessario, secondo quanto è stato scoperto di vasi del genere ritrovati negli scavi archeologici. Certamente l’effetto è irrimediabile e forse vuole evocare la morte, come nell’ultimo poema del Qoelet: “Prima che si spezzi il filo d’argento, e la lucerna d’oro si infranga, e l’anfora si rompa (suntribō, συντρίβω) alla fonte…” (Qo 12,6). Letteralmente, apōleia (ἀπώλεια) significa “perdita, distruzione”. Il dono viene riletto come perdita: questa è l’incomprensione che il narratore evidenzia e che getta la sua ombra anche su tutto ciò che a breve accadrà, ancora in pura perdita. Letteralmente, “in me” (en emoi, ἐν ἐμοί), espressione densa che significa “per me”, ma anche “a causa di me” e “a mio riguardo”. Per dire che le cose veramente grandi e gratuite si possono fare per Dio perché si è già “in lui”. Alla lettera, “ha anticipato (prolambanō, προλαμβάνω) l’unzione del mio corpo”. Il senso di questa anticipazione è triplice: Gesù sarà giustiziato come un criminale, per il quale non può esserci l’unzione del corpo; non si avrà il tempo di ungerlo a causa dell’inizio del sabato; ma soprattutto non si potrà perché Gesù risorgerà prima che le donne giungano al sepolcro. Il susseguirsi di occorrenze del verbo hetoimàzō (ἑτοιμάζω) in questi versetti esprime l’ironia di Marco su chi detiene davvero l’iniziativa di “preparare”. Al v. 12, sembrano essere i discepoli a prendere in mano la situazione. Nel v. 15, Gesù li espone a una paradossale situazione: essi che volevano preparare, si sentono dire che tutto è già preparato (hètoimos, ἕτοιμος, unico caso in Marco). Eppure, Egli li invita a fare dei preparativi a favore di un “noi” che i discepoli non avevano preso in considerazione all’inizio, mentre quel pasto li unirà fra loro e con lui, il Maestro. Infine, al v. 16, l’atto di preparare la Pasqua si riferisce al pasto pasquale vero e proprio. Il susseguirsi di occorrenze del verbo hetoimàzō (ἑτοιμάζω) in questi versetti esprime l’ironia di Marco su chi detiene davvero l’iniziativa di “preparare”. Al v. 12, sembrano essere i discepoli a prendere in mano la situazione. Nel v. 15, Gesù li espone a una paradossale situazione: essi che volevano preparare, si sentono dire che tutto è già preparato (hètoimos, ἕτοιμος, unico caso in Marco). Eppure, Egli li invita a fare dei preparativi a favore di un “noi” che i discepoli non avevano preso in considerazione all’inizio, mentre quel pasto li unirà fra loro e con lui, il Maestro. Infine, al v. 16, l’atto di preparare la Pasqua si riferisce al pasto pasquale vero e proprio. Il susseguirsi di occorrenze del verbo hetoimàzō (ἑτοιμάζω) in questi versetti esprime l’ironia di Marco su chi detiene davvero l’iniziativa di “preparare”. Al v. 12, sembrano essere i discepoli a prendere in mano la situazione. Nel v. 15, Gesù li espone a una paradossale situazione: essi che volevano preparare, si sentono dire che tutto è già preparato (hètoimos, ἕτοιμος, unico caso in Marco). Eppure, Egli li invita a fare dei preparativi a favore di un “noi” che i discepoli non avevano preso in considerazione all’inizio, mentre quel pasto li unirà fra loro e con lui, il Maestro. Infine, al v. 16, l’atto di preparare la Pasqua si riferisce al pasto pasquale vero e proprio. Il susseguirsi di occorrenze del verbo hetoimàzō (ἑτοιμάζω) in questi versetti esprime l’ironia di Marco su chi detiene davvero l’iniziativa di “preparare”. Al v. 12, sembrano essere i discepoli a prendere in mano la situazione. Nel v. 15, Gesù li espone a una paradossale situazione: essi che volevano preparare, si sentono dire che tutto è già preparato (hètoimos, ἕτοιμος, unico caso in Marco). Eppure, Egli li invita a fare dei preparativi a favore di un “noi” che i discepoli non avevano preso in considerazione all’inizio, mentre quel pasto li unirà fra loro e con lui, il Maestro. Infine, al v. 16, l’atto di preparare la Pasqua si riferisce al pasto pasquale vero e proprio. Gli stessi discepoli che sono stati testimoni del potere di Gesù sulla morte (risuscitando una bambina, la figlia di Giairo) e della sua gloria divina sul monte della Trasfigurazione siano testimoni anche della sua agonia al Getsemani. A conferma che per Marco Gesù è al tempo stesso il Messia e colui che doveva soffrire, l’uomo e il Figlio di Dio. Che la croce e la gloria, la sofferenza umana e la vittoria gloriosa sono inseparabili. Che Gesù è stato solidale con la nostra condizione fino in fondo. Secondo la scuola tradizionale della preghiera ebraica, prima di chiedere qualsiasi cosa, l’orante loda e confessa chi è Dio. La stessa formula si ritrova in Ger 32,17 (nulla ti è impossibile!) e in Gb 42,2, nelle ultime parole che Giobbe rivolge a Dio (alla lettera, io so che tu puoi tutto e che nulla è impossibile per te). Dunque Gesù in preghiera si comprende e si colloca nella tradizione del suo popolo.
Unico caso in Marco, prothumos (πρόθυμος) significa “ben disposto, desideroso, premuroso di fare il bene”. Mentre la carne è l’umano lasciato a se stesso, lo spirito è lo stesso essere umano che si apre a una realtà più grande e riesce a spostare il proprio baricentro fuori da sé. Il verbo eggizō (ἐγγίζω) era apparso al perfetto solo in 1,15, per dire che “il regno di Dio si è fatto vicino”. Questo accostamento rileva una certa ironia ma anche la piena accettazione, da parte di Gesù, del suo destino. Qui chi si avvicina è il traditore, nella sua libertà, nello stesso momento in cui è giunta l’ora della consegna “necessaria” di Gesù.
Il termine raro pistikos (πιστικός) può significare “di qualità eccellente”, ma anche “affidabile”, e quindi “genuino, non adulterato”, per la presenza della radice di pistis (πίστις), “fede, fiducia”. Il gesto di rompere (suntribō, συντρίβω) il vaso, invece cha semplicemente aprirlo, era necessario, secondo quanto è stato scoperto di vasi del genere ritrovati negli scavi archeologici. Certamente l’effetto è irrimediabile e forse vuole evocare la morte, come nell’ultimo poema del Qoelet: “Prima che si spezzi il filo d’argento, e la lucerna d’oro si infranga, e l’anfora si rompa (suntribō, συντρίβω) alla fonte…” (Qo 12,6). Letteralmente, apōleia (ἀπώλεια) significa “perdita, distruzione”. Il dono viene riletto come perdita: questa è l’incomprensione che il narratore evidenzia e che getta la sua ombra anche su tutto ciò che a breve accadrà, ancora in pura perdita. Letteralmente, “in me” (en emoi, ἐν ἐμοί), espressione densa che significa “per me”, ma anche “a causa di me” e “a mio riguardo”. Per dire che le cose veramente grandi e gratuite si possono fare per Dio perché si è già “in lui”. Alla lettera, “ha anticipato (prolambanō, προλαμβάνω) l’unzione del mio corpo”. Il senso di questa anticipazione è triplice: Gesù sarà giustiziato come un criminale, per il quale non può esserci l’unzione del corpo; non si avrà il tempo di ungerlo a causa dell’inizio del sabato; ma soprattutto non si potrà perché Gesù risorgerà prima che le donne giungano al sepolcro. Il susseguirsi di occorrenze del verbo hetoimàzō (ἑτοιμάζω) in questi versetti esprime l’ironia di Marco su chi detiene davvero l’iniziativa di “preparare”. Al v. 12, sembrano essere i discepoli a prendere in mano la situazione. Nel v. 15, Gesù li espone a una paradossale situazione: essi che volevano preparare, si sentono dire che tutto è già preparato (hètoimos, ἕτοιμος, unico caso in Marco). Eppure, Egli li invita a fare dei preparativi a favore di un “noi” che i discepoli non avevano preso in considerazione all’inizio, mentre quel pasto li unirà fra loro e con lui, il Maestro. Infine, al v. 16, l’atto di preparare la Pasqua si riferisce al pasto pasquale vero e proprio. Il susseguirsi di occorrenze del verbo hetoimàzō (ἑτοιμάζω) in questi versetti esprime l’ironia di Marco su chi detiene davvero l’iniziativa di “preparare”. Al v. 12, sembrano essere i discepoli a prendere in mano la situazione. Nel v. 15, Gesù li espone a una paradossale situazione: essi che volevano preparare, si sentono dire che tutto è già preparato (hètoimos, ἕτοιμος, unico caso in Marco). Eppure, Egli li invita a fare dei preparativi a favore di un “noi” che i discepoli non avevano preso in considerazione all’inizio, mentre quel pasto li unirà fra loro e con lui, il Maestro. Infine, al v. 16, l’atto di preparare la Pasqua si riferisce al pasto pasquale vero e proprio. Il susseguirsi di occorrenze del verbo hetoimàzō (ἑτοιμάζω) in questi versetti esprime l’ironia di Marco su chi detiene davvero l’iniziativa di “preparare”. Al v. 12, sembrano essere i discepoli a prendere in mano la situazione. Nel v. 15, Gesù li espone a una paradossale situazione: essi che volevano preparare, si sentono dire che tutto è già preparato (hètoimos, ἕτοιμος, unico caso in Marco). Eppure, Egli li invita a fare dei preparativi a favore di un “noi” che i discepoli non avevano preso in considerazione all’inizio, mentre quel pasto li unirà fra loro e con lui, il Maestro. Infine, al v. 16, l’atto di preparare la Pasqua si riferisce al pasto pasquale vero e proprio. Il susseguirsi di occorrenze del verbo hetoimàzō (ἑτοιμάζω) in questi versetti esprime l’ironia di Marco su chi detiene davvero l’iniziativa di “preparare”. Al v. 12, sembrano essere i discepoli a prendere in mano la situazione. Nel v. 15, Gesù li espone a una paradossale situazione: essi che volevano preparare, si sentono dire che tutto è già preparato (hètoimos, ἕτοιμος, unico caso in Marco). Eppure, Egli li invita a fare dei preparativi a favore di un “noi” che i discepoli non avevano preso in considerazione all’inizio, mentre quel pasto li unirà fra loro e con lui, il Maestro. Infine, al v. 16, l’atto di preparare la Pasqua si riferisce al pasto pasquale vero e proprio. Gli stessi discepoli che sono stati testimoni del potere di Gesù sulla morte (risuscitando una bambina, la figlia di Giairo) e della sua gloria divina sul monte della Trasfigurazione siano testimoni anche della sua agonia al Getsemani. A conferma che per Marco Gesù è al tempo stesso il Messia e colui che doveva soffrire, l’uomo e il Figlio di Dio. Che la croce e la gloria, la sofferenza umana e la vittoria gloriosa sono inseparabili. Che Gesù è stato solidale con la nostra condizione fino in fondo. Secondo la scuola tradizionale della preghiera ebraica, prima di chiedere qualsiasi cosa, l’orante loda e confessa chi è Dio. La stessa formula si ritrova in Ger 32,17 (nulla ti è impossibile!) e in Gb 42,2, nelle ultime parole che Giobbe rivolge a Dio (alla lettera, io so che tu puoi tutto e che nulla è impossibile per te). Dunque Gesù in preghiera si comprende e si colloca nella tradizione del suo popolo.
Unico caso in Marco, prothumos (πρόθυμος) significa “ben disposto, desideroso, premuroso di fare il bene”. Mentre la carne è l’umano lasciato a se stesso, lo spirito è lo stesso essere umano che si apre a una realtà più grande e riesce a spostare il proprio baricentro fuori da sé. Il verbo eggizō (ἐγγίζω) era apparso al perfetto solo in 1,15, per dire che “il regno di Dio si è fatto vicino”. Questo accostamento rileva una certa ironia ma anche la piena accettazione, da parte di Gesù, del suo destino. Qui chi si avvicina è il traditore, nella sua libertà, nello stesso momento in cui è giunta l’ora della consegna “necessaria” di Gesù.
Commento alla Liturgia
Domenica delle Palme
Prima lettura
Is 50,4-7
4Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. 5Il Signore Dio mi ha aperto l'orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. 6Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. 7Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 21(22)
R. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Si fanno beffe di me quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:
«Si rivolga al Signore; lui lo liberi,
lo porti in salvo, se davvero lo ama!». R.
Un branco di cani mi circonda,
mi accerchia una banda di malfattori;
hanno scavato le mie mani e i miei piedi.
Posso contare tutte le mie ossa. R.
Si dividono le mie vesti,
sulla mia tunica gettano la sorte.
Ma tu, Signore, non stare lontano,
mia forza, vieni presto in mio aiuto. R.
Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli,
ti loderò in mezzo all'assemblea.
Lodate il Signore, voi suoi fedeli,
gli dia gloria tutta la discendenza di Giacobbe,
lo tema tutta la discendenza d'Israele. R.
Seconda Lettura
Fil 2,6-11
6egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, 7ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall'aspetto riconosciuto come uomo, 8umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. 9Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, 10perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, 11e ogni lingua proclami: "Gesù Cristo è Signore!", a gloria di Dio Padre.
Vangelo
Mc 14,1–15,47
1Mancavano due giorni alla Pasqua e agli Azzimi, e i capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di catturarlo con un inganno per farlo morire. 2Dicevano infatti: "Non durante la festa, perché non vi sia una rivolta del popolo". 3Gesù si trovava a Betània, nella casa di Simone il lebbroso. Mentre era a tavola, giunse una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo, di grande valore. Ella ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo sul suo capo. 4Ci furono alcuni, fra loro, che si indignarono: "Perché questo spreco di profumo? 5Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!". Ed erano infuriati contro di lei. 6Allora Gesù disse: "Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto un'azione buona verso di me. 7I poveri infatti li avete sempre con voi e potete far loro del bene quando volete, ma non sempre avete me. 8Ella ha fatto ciò che era in suo potere, ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura. 9In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto". 10Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai capi dei sacerdoti per consegnare loro Gesù. 11Quelli, all'udirlo, si rallegrarono e promisero di dargli del denaro. Ed egli cercava come consegnarlo al momento opportuno. 12Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: "Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?". 13Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: "Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d'acqua; seguitelo. 14Là dove entrerà, dite al padrone di casa: "Il Maestro dice: Dov'è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?". 15Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi". 16I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua. 17Venuta la sera, egli arrivò con i Dodici. 18Ora, mentre erano a tavola e mangiavano, Gesù disse: "In verità io vi dico: uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà". 19Cominciarono a rattristarsi e a dirgli, uno dopo l'altro: "Sono forse io?". 20Egli disse loro: "Uno dei Dodici, colui che mette con me la mano nel piatto. 21Il Figlio dell'uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell'uomo, dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito! Meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!". 22E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: "Prendete, questo è il mio corpo". 23Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. 24E disse loro: "Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti. 25In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio". 26Dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. 27Gesù disse loro: "Tutti rimarrete scandalizzati, perché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse. 28Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea". 29Pietro gli disse: "Anche se tutti si scandalizzeranno, io no!". 30Gesù gli disse: "In verità io ti dico: proprio tu, oggi, questa notte, prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai". 31Ma egli, con grande insistenza, diceva: "Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò". Lo stesso dicevano pure tutti gli altri. 32Giunsero a un podere chiamato Getsèmani ed egli disse ai suoi discepoli: "Sedetevi qui, mentre io prego". 33Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. 34Disse loro: " La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate". 35Poi, andato un po' innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell'ora. 36E diceva: "Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu". 37Poi venne, li trovò addormentati e disse a Pietro: "Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora? 38Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole". 39Si allontanò di nuovo e pregò dicendo le stesse parole. 40Poi venne di nuovo e li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti, e non sapevano che cosa rispondergli. 41Venne per la terza volta e disse loro: "Dormite pure e riposatevi! Basta! È venuta l'ora: ecco, il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. 42Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino". 43E subito, mentre ancora egli parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani. 44Il traditore aveva dato loro un segno convenuto, dicendo: "Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta". 45Appena giunto, gli si avvicinò e disse: "Rabbì" e lo baciò. 46Quelli gli misero le mani addosso e lo arrestarono. 47Uno dei presenti estrasse la spada, percosse il servo del sommo sacerdote e gli staccò l'orecchio. 48Allora Gesù disse loro: "Come se fossi un ladro siete venuti a prendermi con spade e bastoni. 49Ogni giorno ero in mezzo a voi nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Si compiano dunque le Scritture!". 50Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono. 51Lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso soltanto un lenzuolo, e lo afferrarono. 52Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo. 53Condussero Gesù dal sommo sacerdote, e là si riunirono tutti i capi dei sacerdoti, gli anziani e gli scribi. 54Pietro lo aveva seguito da lontano, fin dentro il cortile del palazzo del sommo sacerdote, e se ne stava seduto tra i servi, scaldandosi al fuoco. 55I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano. 56Molti infatti testimoniavano il falso contro di lui e le loro testimonianze non erano concordi. 57Alcuni si alzarono a testimoniare il falso contro di lui, dicendo: 58"Lo abbiamo udito mentre diceva: "Io distruggerò questo tempio, fatto da mani d'uomo, e in tre giorni ne costruirò un altro, non fatto da mani d'uomo"". 59Ma nemmeno così la loro testimonianza era concorde. 60Il sommo sacerdote, alzatosi in mezzo all'assemblea, interrogò Gesù dicendo: "Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?". 61Ma egli taceva e non rispondeva nulla. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: "Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?". 62Gesù rispose: "Io lo sono! E vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo ". 63Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: "Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? 64Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?". Tutti sentenziarono che era reo di morte. 65Alcuni si misero a sputargli addosso, a bendargli il volto, a percuoterlo e a dirgli: "Fa' il profeta!". E i servi lo schiaffeggiavano. 66Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una delle giovani serve del sommo sacerdote 67e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo guardò in faccia e gli disse: "Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù". 68Ma egli negò, dicendo: "Non so e non capisco che cosa dici". Poi uscì fuori verso l'ingresso e un gallo cantò. 69E la serva, vedendolo, ricominciò a dire ai presenti: "Costui è uno di loro". 70Ma egli di nuovo negava. Poco dopo i presenti dicevano di nuovo a Pietro: "È vero, tu certo sei uno di loro; infatti sei Galileo". 71Ma egli cominciò a imprecare e a giurare: "Non conosco quest'uomo di cui parlate". 72E subito, per la seconda volta, un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola che Gesù gli aveva detto: "Prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai". E scoppiò in pianto. 1E subito, al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato. 2Pilato gli domandò: "Tu sei il re dei Giudei?". Ed egli rispose: "Tu lo dici". 3I capi dei sacerdoti lo accusavano di molte cose. 4Pilato lo interrogò di nuovo dicendo: "Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!". 5Ma Gesù non rispose più nulla, tanto che Pilato rimase stupito. 6A ogni festa, egli era solito rimettere in libertà per loro un carcerato, a loro richiesta. 7Un tale, chiamato Barabba, si trovava in carcere insieme ai ribelli che nella rivolta avevano commesso un omicidio. 8La folla, che si era radunata, cominciò a chiedere ciò che egli era solito concedere. 9Pilato rispose loro: "Volete che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?". 10Sapeva infatti che i capi dei sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. 11Ma i capi dei sacerdoti incitarono la folla perché, piuttosto, egli rimettesse in libertà per loro Barabba. 12Pilato disse loro di nuovo: "Che cosa volete dunque che io faccia di quello che voi chiamate il re dei Giudei?". 13Ed essi di nuovo gridarono: "Crocifiggilo!". 14Pilato diceva loro: "Che male ha fatto?". Ma essi gridarono più forte: "Crocifiggilo!". 15Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso. 16Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la truppa. 17Lo vestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo. 18Poi presero a salutarlo: "Salve, re dei Giudei!". 19E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui. 20Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo. 21Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo. 22Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa "Luogo del cranio", 23e gli davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese. 24Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse ciò che ognuno avrebbe preso. 25Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. 26La scritta con il motivo della sua condanna diceva: "Il re dei Giudei". 27Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua sinistra. [ 28] 29Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: "Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, 30salva te stesso scendendo dalla croce!". 31Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: "Ha salvato altri e non può salvare se stesso! 32Il Cristo, il re d'Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!". E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano. 33Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. 34Alle tre, Gesù gridò a gran voce: " Eloì, Eloì, lemà sabactàni? " , che significa: " Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? ". 35Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: "Ecco, chiama Elia!". 36Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere , dicendo: "Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere". 37Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. 38Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. 39Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: "Davvero quest'uomo era Figlio di Dio!". 40Vi erano anche alcune donne, che osservavano da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, 41le quali, quando era in Galilea, lo seguivano e lo servivano, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme. 42Venuta ormai la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato, 43Giuseppe d'Arimatea, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anch'egli il regno di Dio, con coraggio andò da Pilato e chiese il corpo di Gesù. 44Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, gli domandò se era morto da tempo. 45Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe. 46Egli allora, comprato un lenzuolo, lo depose dalla croce, lo avvolse con il lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare una pietra all'entrata del sepolcro. 47Maria di Màgdala e Maria madre di Ioses stavano a osservare dove veniva posto.
Note
Approfondimenti
Con la separazione di corpo e sangue si ratifica la morte, come nei sacrifici. Il sangue “versato” o “sparso” significa la morte accettata.
Gesù non invita certo i suoi a bere il suo sangue: ogni ebreo sa che è assolutamente vietato bere il sangue (cf. Levitico 1-7), e ugualmente sarà per la comunità cristiana (cf. At 15,29).
Il sangue dell’alleanza evoca il momento in cui Mosè conclude l’alleanza al Sinai, versando il sangue in parte sull’altare e in parte sul popolo, e così lo unisce a Dio.
In Marco l’espressione “il mio sangue dell’alleanza” qualifica l’atto del bere al calice come ingresso in un’alleanza decisiva con Dio: comunicando al dono che il Signore fa di sé, si comunica all’alleanza con Dio.
Slegare
La Domenica delle Palme è una tappa di grande rilievo e di forte impatto per il cammino quaresimale verso la Pasqua del Signore Gesù Cristo. La liturgia che la Chiesa oggi celebra è straordinariamente ricca di simboli, atmosfere e forti contrasti. Una vera e propria sinfonia drammatica che, partendo dal festoso ingresso di Gesù nella città santa, si conclude poi con il racconto della sua passione fino alla morte in croce, in cui si svela finalmente il «segreto» della sua identità, riconosciuta paradossalmente da un soldato romano:
«Davvero quest’uomo era Figlio di Dio» (Mc 15,38).
È molto antica la tradizione di iniziare la celebrazione di questa domenica attraverso una processione, con la quale i fedeli fanno memoria dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, non solo attraverso l’ascolto e la contemplazione del cuore, ma anche muovendo i piedi e agitando le mani, coinvolgendo così sia il corpo sia la mente nella ricchezza dell’esperienza liturgica. Prima di entrare nella città santa, per vivere il suo mistero di passione, morte e risurrezione, Gesù manifesta ai suoi discepoli una singolare richiesta:
«Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui» (Mc 11,2).
La commissione da compiere non sembra solo una questione formale, volta ad adempiere antiche profezie messianiche che annunciavano la mitezza del Salvatore: «Umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina» (Zc 9,9). Il desiderio di entrare nella città santa sopra un semplice puledro, per Gesù, si impone come una vera e propria necessità:
«E se qualcuno vi dirà: “Perché fate questo?”, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà subito”» (Mc 11,3).
L’indicazione fornita ai discepoli va ben al di là del suo immediato contesto e diventa una nota di iniziazione per ciascuno di noi, chiamato in questa domenica a congedarsi dai giorni della quaresima per varcare i battenti che introducono nella festa di Pasqua. Ciò di cui il Signore ha sempre bisogno, per favorire il miracolo della nostra conversione e, quindi, donarci la salvezza, non è altro che la nostra disponibilità a offrire la nostra povertà per consentire all’Onnipotente di far brillare nel mondo la luce vera, quella dell’amore e del servizio. Quel puledro su cui nessuno è mai salito — in un certo senso nemmeno noi — rappresenta bene la nostra capacità di donare e servire, sapendo andare oltre il peso e il segno di tutte le ferite che ancora ci tengono avvolti e legati nella paura. Affermare che il Signore ha bisogno del nostro dorso per vivere la sua Pasqua, significa accettare l’idea che la nostra vita può realmente cambiare — e far cambiare le cose — non tanto a partire dal frutto del nostro impegno, ma dal seme della nostra capacità di lasciarci assumere e salvare. Non in un modo ideale o astratto, ma proprio così come siamo e come la grazia di questo tempo quaresimale ci ha permesso di riconoscerci.
La Domenica delle Palme ci invita a credere che siamo ancora in tempo per gettare il nostro mantello — cioè la nostra vita — sulla strada scelta da Gesù, facendola diventare nostra attraverso la fiamma del nostro desiderio, purificato da questi giorni penitenziali di preghiera, digiuno e carità più consapevoli. Il grido Osanna – «Orsù, salvaci» –, che in questa liturgia dovremmo pronunciare con più partecipazione del solito, può diventare un’invocazione a Dio affinché ci aiuti a non confidare in forme di sussistenza o di affermazione incompatibili con la logica mite e umile del vangelo.
Se accettiamo di slegare e ricondurre a Gesù quanto rimane ancora estraneo al dinamismo della Pasqua, potremo ancora incamminarci lungo la via della croce. Anche se ci scopriremo incapaci di seguire la povertà di Cristo, magari fuggendo – persino nudi, cioè spogliati – come quel ragazzo nel Getsemani (cf. Mc 14,50-52), avremo sempre la speranza di poter riprendere la sequela, inconsapevoli come il Cireneo, coraggiosi come Giuseppe d’Arimatèa, sinceri quanto il centurione. Ma soprattutto irriducibili, come quelle donne che non fuggono da nessuno e non pretendono nulla. Semplicemente, rimangono:
«stavano a osservare dove veniva posto» (Mc 15,47).
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