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L’aggettivo verbale dektòs (δεκτός, da dèchomai, δέχομαι), esprime l’annuncio di Gesù al v. 19 di un anno “di grazia” (dektòs) del Signore. Qui invece indica che il profeta è male accolto nella sua città natale. La Bibbia dei LXX, che segna lo stile di Luca, stabilisce un forte legame tra l’anno giubilare e la terra natale: durante quest’anno di liberazione e di benedizione, ognuno ritornerà alla sua terra (cf. Lv 25,10). È in conformità alle Scritture, quindi, che Gesù comincia nella sua città l’annuncio dell’anno di grazia, che però non viene accolto.
È un verbo “teologico” porèuomai (πορεύομαι), che significa “andare, camminare”, poiché è il verbo che Luca usa per la salita di Gesù dalla Galilea a Gerusalemme (cf. 9,51) e per i momenti decisivi della storia della salvezza. Assume dunque un significato tecnico a indicare non un semplice spostamento, ma il procedere di Gesù ordinato al portare avanti la sua missione di annuncio.
Commento alla Liturgia
Lunedì della III settimana di Quaresima
Prima lettura
2Re 5,1-15a
1Naamàn, comandante dell'esercito del re di Aram, era un personaggio autorevole presso il suo signore e stimato, perché per suo mezzo il Signore aveva concesso la salvezza agli Aramei. Ma quest'uomo prode era lebbroso. 2Ora bande aramee avevano condotto via prigioniera dalla terra d'Israele una ragazza, che era finita al servizio della moglie di Naamàn. 3Lei disse alla padrona: "Oh, se il mio signore potesse presentarsi al profeta che è a Samaria, certo lo libererebbe dalla sua lebbra". 4Naamàn andò a riferire al suo signore: "La ragazza che proviene dalla terra d'Israele ha detto così e così". 5Il re di Aram gli disse: "Va' pure, io stesso invierò una lettera al re d'Israele". Partì dunque, prendendo con sé dieci talenti d'argento, seimila sicli d'oro e dieci mute di abiti. 6Portò la lettera al re d'Israele, nella quale si diceva: "Orbene, insieme con questa lettera ho mandato da te Naamàn, mio ministro, perché tu lo liberi dalla sua lebbra". 7Letta la lettera, il re d'Israele si stracciò le vesti dicendo: "Sono forse Dio per dare la morte o la vita, perché costui mi ordini di liberare un uomo dalla sua lebbra? Riconoscete e vedete che egli evidentemente cerca pretesti contro di me". 8Quando Eliseo, uomo di Dio, seppe che il re d'Israele si era stracciate le vesti, mandò a dire al re: "Perché ti sei stracciato le vesti? Quell'uomo venga da me e saprà che c'è un profeta in Israele". 9Naamàn arrivò con i suoi cavalli e con il suo carro e si fermò alla porta della casa di Eliseo. 10Eliseo gli mandò un messaggero per dirgli: "Va', bàgnati sette volte nel Giordano: il tuo corpo ti ritornerà sano e sarai purificato". 11Naamàn si sdegnò e se ne andò dicendo: "Ecco, io pensavo: "Certo, verrà fuori e, stando in piedi, invocherà il nome del Signore, suo Dio, agiterà la sua mano verso la parte malata e toglierà la lebbra". 12Forse l'Abanà e il Parpar, fiumi di Damasco, non sono migliori di tutte le acque d'Israele? Non potrei bagnarmi in quelli per purificarmi?". Si voltò e se ne partì adirato. 13Gli si avvicinarono i suoi servi e gli dissero: "Padre mio, se il profeta ti avesse ordinato una gran cosa, non l'avresti forse eseguita? Tanto più ora che ti ha detto: "Bàgnati e sarai purificato"". 14Egli allora scese e si immerse nel Giordano sette volte, secondo la parola dell'uomo di Dio, e il suo corpo ridivenne come il corpo di un ragazzo; egli era purificato. 15Tornò con tutto il seguito dall'uomo di Dio; entrò e stette davanti a lui dicendo: "Ecco, ora so che non c'è Dio su tutta la terra se non in Israele. Adesso accetta un dono dal tuo servo".
Salmo Responsoriale
Dal Sal 41 (42)
R. L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente.
Come la cerva anèla
ai corsi d’acqua,
così l’anima mia
anèla a te, o Dio. R.
L’anima mia ha sete di Dio,
del Dio vivente:
quando verrò e vedrò
il volto di Dio? R.
Manda la tua luce e la tua verità:
siano esse a guidarmi,
mi conducano alla tua santa montagna,
alla tua dimora. R.
Verrò all’altare di Dio,
a Dio, mia gioiosa esultanza.
A te canterò sulla cetra,
Dio, Dio mio. R.
Vangelo
Lc 4,24-30
24Poi aggiunse: "In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. 25Anzi, in verità io vi dico: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. 27C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro". 28All'udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. 29Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. 30Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
Note
Senza sdegno
Il racconto evangelico non è certo ricco di dettagli per capire e approfondire le ragioni del forte «sdegno» (Lc 4,28) che assale gli abitanti di Nazaret, quando Gesù torna «nella sua patria» (4,24) per condividere con le persone più familiari l’esperienza del Regno di Dio. La reazione di coloro che nella sinagoga hanno ascoltato la predicazione del Maestro esplode improvvisa senza nemmeno passare per una fase interlocutoria:
«All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù» (Lc 4,28-29).
Certo, potremmo dire che l’intervento di Gesù a commento delle Scritture di Israele non sia stato un compendio di diplomazia. Forse percependo una scarsa accoglienza nei suoi confronti come autorevole inviato di Dio, Gesù cita due episodi biblici nei quali due stranieri – una vedova e un comandante – si sono aperti all’incontro con Dio senza troppa reticenza. Appare evidente l’intenzione di voler sottolineare come uno straniero possa manifestare un’apertura a Dio meglio di una persona che ritiene di essergli molto familiare. Ma ciò che probabilmente scatena il nervosismo degli abitanti di Nazaret è la denuncia implicita del loro bisogno di essere risanati da qualche forma di impurità profonda:
«C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro» (Lc 4,27).
La prima lettura di oggi ci offre l’occasione di comprendere meglio la provocazione che il Signore Gesù cerca di offrire a Nazaret attraverso il suo insegnamento. La figura di Naamàn, che era «comandante dell’esercito del re di Aram» è emblematica perché, pur essendo «un personaggio autorevole» e «stimato, perché per suo mezzo il Signore aveva concesso la salvezza agli Aramèi», quest’uomo «prode» aveva un problema insormontabile: «era lebbroso» (2Re 5,1). Venuto a sapere che in Israele esiste un «profeta che è a Samarìa» (5,3) che potrebbe liberarlo dalla lebbra, si presenta a lui con una lettera da parte del re di Aram insieme a una sostanziosa offerta economica. Il re di Israele, tuttavia, si accende di sdegno non appena riceve la richiesta, pensando che si tratti di «pretesti» per avviare una guerra nei suoi confronti. Ma anche lo stesso Naamàn si manifesta risentito, quando Elisèo, senza nemmeno riceverlo, gli manda semplicemente un messaggio, dicendogli di immergersi sette volte nel Giordano per essere purificato. È necessaria la parola e la ragionevolezza dei servi per riportare il comandante delle truppe di Aram alla dovuta ragionevolezza:
«Padre mio, se il profeta ti avesse ordinato una gran cosa, non l’avresti forse eseguita? Tanto più ora che ti ha detto: “Bagnati e sarai purificato”» (2Re 5,13).
In questi due episodi possiamo scorgere forse un certo aiuto perché il nostro itinerario quaresimale possa portare i frutti di guarigione che speriamo. Dobbiamo però essere disposti a riconoscere che il nostro desiderio di voler essere guariti spesso è superato dal desiderio di essere apprezzati, a conferma che, dietro ogni ferita e sofferenza, c’è sempre un grande problema di riconoscimento da risolvere, il grido della nostra solitudine che ancora fatichiamo ad ascoltare e riconoscere. Per questo ci sdegniamo così facilmente, quando le manovre di salvataggio non sono ad alta risoluzione e con effetti speciali, o almeno proporzionate alle nostre aspettative. La parola di Dio oggi piega il nostro cuore al fascino della realtà e all’ordinarietà con cui il Signore si prende cura di noi, per nutrire il nostro bisogno profondo e curare le ferite presenti sul nostro corpo. Senza clamore e senza sensazionalismi. Senza sedurci, né farsi sedurre. Con la stessa, silenziosa agilità con cui la fedeltà del suo amore si rimette in cammino, anche se noi non siamo ancora capaci di accoglierla:
«Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino» (Lc 4,30).
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