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Il verbo utilizzato corrisponde al medio passivo di peithō (πείθω), che nella forma attiva significa “persuadere, convincere”. Al medio passivo vuol dire “credere, essere certo”, e al perfetto, come in questo versetto, anche “avere fiducia”. Non si tratta qui di una fiducia legittima in se stessi, ma di quella fragile arroganza che sopravvive solo criticando gli altri.
Etimologicamente, il verbo exoutheneō (ἐξουθενέω) significa “considerare come niente” (oudèn), quindi “disprezzare a morte”. Luca userà questo verbo forte anche nel racconto della passione, in cui il re Erode infligge a Gesù il medesimo tipo di disprezzo.
Siamo in presenza di un’ambiguità caratteristica del Vangelo di Luca: l’espressione pròs eautòn (πρὸς ἑαυτὸν) potrebbe collegarsi a uno o l’altro verbo della frase, e quindi assumere il significato di “stando in piedi da solo” da parte del fariseo, in parallelismo all’esattore che si tiene a distanza, oppure il significato di “pregava nel suo intimo”, un modo ironico, tipico dell’espressione greca corrente, per dire che la preghiera, destinata a Dio, non va oltre colui che la pronuncia. Mantenendo questa ambiguità, Luca vuole suggerire che il fariseo si isola dagli altri e da Dio.
Nella forma media, il verbo hilàskomai (ἱλάσκομαι) significa “placare gli dei, renderseli propizi”. Al passivo come qui significa “essere favorevole, propizio, clemente”. Nella tradizione biblica, questo passivo implica l’attività di Dio stesso e non degli uomini. Come verbo, l’unica altra occorrenza nel Nuovo Testamento è in Eb 2,17, mentre i sostantivi collegati compaiono sempre in relazione con il sacrificio di Cristo. L’imperativo presente in questo versetto non equivale all’espressione “abbi pietà di me” (eleēsòn me), poiché suggerisce non tanto la compassione quanto la fine di una condanna e il ristabilimento di una relazione, che il Vangelo definisce alternativamente giustizia, perdono, salvezza.
Commento alla Liturgia
Sabato della III settimana di Quaresima
Prima lettura
Os 6,1-6
1"Venite, ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà. 2Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare, e noi vivremo alla sua presenza. 3Affrettiamoci a conoscere il Signore, la sua venuta è sicura come l'aurora. Verrà a noi come la pioggia d'autunno, come la pioggia di primavera che feconda la terra". 4Che dovrò fare per te, Èfraim, che dovrò fare per te, Giuda? Il vostro amore è come una nube del mattino, come la rugiada che all'alba svanisce. 5Per questo li ho abbattuti per mezzo dei profeti, li ho uccisi con le parole della mia bocca e il mio giudizio sorge come la luce: 6poiché voglio l'amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 50(51)
R. Voglio l’amore e non il sacrificio.
oppure:
R. Tu gradisci, o Dio, gli umili di cuore.
Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro. R.
Tu non gradisci il sacrificio;
se offro olocàusti, tu non li accetti.
Uno spirito contrito è sacrificio a Dio;
un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi. R.
Nella tua bontà fa’ grazia a Sion,
ricostruisci le mura di Gerusalemme.
Allora gradirai i sacrifici legittimi,
l’olocàusto e l’intera oblazione. R.
Vangelo
Lc 18,9-14
9Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10"Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: "O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo". 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: "O Dio, abbi pietà di me peccatore". 14Io vi dico: questi, a differenza dell'altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato".
Note
Convertire... in fasce
Il profeta Osea non ha dubbi sull’atteggiamento fondamentale del Signore nei nostri confronti: «egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà» (Os 6,1). Il Signore Gesù non lascia alcun dubbio:
«Io vi dico: questi a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato» (Lc 18,14).
Così esorta Giovanni Crisostomo: «Rivela la tua coscienza in presenza di Dio, mostragli le tue piaghe e implora da lui i rimedi; rivolgiti all’Altissimo non come giudice, ma come medico» (GIOVANNI CRISOSTOMO, L’incomprensibilità di Dio, 5).
Ormai a metà del cammino quaresimale e mentre la marcia verso la Pasqua si fa corsa ardente e appassionata per reimmergerci nel mistero pasquale di Cristo Signore, siamo chiamati a fare sempre più ricorso alle fasce della misericordia senza dimenticare di essere i primi ad averne bisogno. Se, infatti, le fasce del giudizio stritolano la possibilità di conversione e di crescita dei nostri fratelli, le fasce della misericordia fanno sentire al caldo e al sicuro quanti sono ancora neonati nel cammino di fede, tanto da dare loro il coraggio del cambiamento. Così pure le fasce della misericordia permettono a quanti sono feriti a causa della debolezza della volontà e della fragilità nelle proprie scelte, di avere il tempo di lasciare che le piaghe non si infettino e possano gradualmente guarire fino a essere perfettamente risanate. L’atteggiamento del fariseo è fasciato nelle bende di una mummificazione che non ammette crescita e quindi non spera nelle possibilità della vita.
Il pubblicano è così consapevole della propria fragilità da essere capace di chiedere aiuto, tanto che «si batteva il petto» (18,13). Con questo gesto, che spesso ripetiamo all’inizio della celebrazione eucaristica, si manifesta una conoscenza umile e vera del proprio cuore, nemica di ogni mistificazione irrealistica che è il primo passo della superbia. La «conoscenza di Dio» (Os 6,6) reclamata dal profeta comincia sempre con un passo di lucidità su noi stessi che esige la capacità di andare oltre noi stessi per aprirci a un incontro così intimo con il Signore capace di mettere in luce la verità del nostro cuore senza che questo ci spezzi interiormente, ma, al contrario, ci rimetta in piedi senza cedere alla vanagloria. A ben pensarci, la boria di questo povero fariseo che non solo elenca davanti a Dio tutte le sue prodezze spirituali ma ha un bisogno incontrollabile di elencare pure le malefatte del suo vicino, nasconde un disagio che lo porta a moltiplicare le parole tradendo, così, le sue inquietudini più profonde, seppur ben mascherate. Il Signore predilige chiaramente l’atteggiamento del pubblicano non perché preferisca la trasgressione alla giustizia, ma perché ama di più una relazione fatta di verità piuttosto che un modo di porsi davanti a lui mascherando il proprio bisogno di essere accolti e di essere sempre perdonati e amati. La conoscenza di Dio, di cui ci parla il profeta, passa sempre attraverso la conoscenza di noi stessi che non può mai essere presuntuosa, ma sempre umile perché desiderosa di un contatto vero, che comporta sempre la capacità di assumere la nostra povertà di creature davanti alla bontà del nostro Creatore, che continuamente ci fascia con la sua misericordia.
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