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L’aggettivo pistikòs (πιστικός) è polisemico: può significare “mescolato con olio di pistacchio” oppure, in quanto derivante dalla fede (pìstis, πίστις), “affidabile”, e quindi “autentico, genuino, non adulterato”.
Polùtimos (πολύτιμος) è un aggettivo composto da polùs (molto) e timē (onore, valore), che esprime bene non solo la preziosità del profumo di nardo, ma anche quanto esso sia costoso. Le reminiscenze del Cantico dei Cantici sottolineano in positivo il gesto di Maria e il valore simbolico nuziale di quanto sta per avvenire e che culminerà il mattino di Pasqua.
Il passivo del verbo plēròō (πληρόω) nel vangelo di Giovanni richiama l’idea del compimento. Il verbo qui è usato in modo insolito rispetto alle altre occorrenze, che si riferiscono soprattutto al compimento della Scrittura, e in alcuni casi dell’ora di Gesù, della gioia o della tristezza dei discepoli. Solo in questo caso il verbo si riferisce a un luogo, la casa, anch’esso personalizzato, nel senso di “coloro che vi abitano”, ai quali viene anticipata, attraverso il gesto di Maria, la pienezza dell’offerta che Gesù sta per compiere sulla croce.
Commento alla Liturgia
Lunedì Santo
Prima lettura
Is 42,1-7
1Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni. 2Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, 3non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità. 4Non verrà meno e non si abbatterà, finché non avrà stabilito il diritto sulla terra, e le isole attendono il suo insegnamento. 5Così dice il Signore Dio, che crea i cieli e li dispiega, distende la terra con ciò che vi nasce, dà il respiro alla gente che la abita e l'alito a quanti camminano su di essa: 6"Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, 7perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 26 (27)
R. Il Signore è mia luce e mia salvezza.
Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura? R.
Quando mi assalgono i malvagi
per divorarmi la carne,
sono essi, avversari e nemici,
a inciampare e cadere. R.
Se contro di me si accampa un esercito,
il mio cuore non teme;
se contro di me si scatena una guerra,
anche allora ho fiducia. R.
Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore. R.
Vangelo
Gv 12,1-11
1Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. 2E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. 3Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell'aroma di quel profumo. 4Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: 5"Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?". 6Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. 7Gesù allora disse: "Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura. 8I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me". 9Intanto una grande folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. 10I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche Lazzaro, 11perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.
Note
In punta di piedi
Lazzaro era uscito vivo dal sepolcro. L’incontenibile gioia viene celebrata con un momento conviviale nel quale Gesù è il desideratissimo ospite d’onore. Una delle due sorelle di colui che da morto è stato riportato in vita, Maria, letteralmente fuori di sé, decide a un tratto di trasformare la sua intima gioia in un’esagerata manifestazione di gratitudine:
«Prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli» (Gv 12,3).
«Sei giorni prima della Pasqua» (12,1), il cammino della settimana santa inizia così, con una libagione di profumo invadente ed eccedente — trecento denari di profumo erano circa un anno di stipendio — in cui si prefigura e si intuisce tutto il significato della passione del Signore Gesù. Il linguaggio della Pasqua si esprime e si comprende solo nell’orizzonte dell’amore audace, dove la ragionevolezza, il calcolo prudente, la convenienza devono cedere il passo alla lucida follia del dono gratuito. Maria ha colto la segreta bellezza di Cristo e compie un gesto con cui riconosce nella sua persona il cuore stesso di Dio, il quale «distende la terra con ciò che vi nasce, dà il respiro alla gente che la abita e l’alito a quanti camminano su di essa» (Is 42,5).
Nel singolare modo in cui Gesù ha dimostrato i sentimenti di amicizia nei confronti di Lazzaro — attendendo la sua morte per poi restituirlo alla vita (cf. Gv 11,6) — Maria ha saputo intuire la mitezza con cui il servo di Dio è chiamato a salvare il mondo, secondo quanto già annunciava il misterioso canto del profeta:
«Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità» (Is 42,3).
La generosità di Maria e la mitezza del Signore dispongono i nostri cuori ad accogliere la prossima festa di Pasqua come fosse un profumo, impalpabile realtà capace di giungere ovunque e di raggiungere chiunque, e di arricchire ogni cosa senza alterare nulla. La salvezza cristiana, infatti, non è l’abolizione dei limiti creaturali né la rimozione delle conseguenze causate dal cattivo uso della nostra libertà, ma è amore che cosparge di speranza ogni paura di vivere e di morire. È profumo (shemen, in ebraico), voce mite ed eloquente in grado di restituire il nome (shem) a ogni cosa. Persino all’assurdità del peccato e alla smentita della morte.
Il discepolo Giuda, però, punta i piedi di fronte a questa libera e fragrante manifestazione simbolica dell’amore pasquale e della sua inerme potenza:
«Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?» (Gv 12,5).
Al di là del fatto di essere «un ladro» (12,6) — secondo l’annotazione dell’evangelista — Giuda è figura di ogni nostra incapacità di guardare la povertà non come un problema da risolvere, ma come un’occasione per entrare nella logica del dono e del servizio.
Il Signore rivolge la parola al suo amareggiato discepolo, che sembra non riuscire a contemplare colei che, spingendo il suo desiderio di adorazione fino ai piedi del Signore, sta prefigurando la totalità del dono d’amore con cui Dio ha deciso di salvare il mondo:
«Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura» (Gv 12,7).
Solo obbedendo a questo imperativo si può entrare nella gioia e nel mistero della Pasqua: posando le armi, scaricando la rabbia, rinunciando ai giudizi, disobbedendo alle proteste del cuore. In punta di piedi.
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