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Letteralmente il testo greco recita “colui che lo consegnava”. Il verbo paradìdōmi (παραδίδωμι) è una forma rafforzata del verbo dìdōmi (dare), ma nei vangeli assume spesso un significato teologico in rapporto alla passione di Gesù e alla consegna da parte di Giuda. La resa “tradimento” deriva dal latino “tradere” (consegnare), finché Giuda arriva a essere identificato con questo verbo, diventando soltanto “il traditore”. Eppure, i vangeli attestano fino all’ultimo la libertà dei discepoli: tutti si chiedono se saranno loro a consegnare Gesù, perché tutti hanno intinto nello stesso piatto e tutti si riconoscono capaci di interrompere la comunione.
Commento alla Liturgia
Mercoledì Santo
Prima lettura
Is 50,4-9a
4Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. 5Il Signore Dio mi ha aperto l'orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. 6Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. 7Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso. 8È vicino chi mi rende giustizia: chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci. Chi mi accusa? Si avvicini a me. 9Ecco, il Signore Dio mi assiste: chi mi dichiarerà colpevole? Ecco, come una veste si logorano tutti, la tignola li divora.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 68 (69)
R. O Dio, nella tua grande bontà, rispondimi.
Oppure:
R. Nella tua fedeltà soccorrimi, Signore.
Per te io sopporto l'insulto
e la vergogna mi copre la faccia;
sono diventato un estraneo ai miei fratelli,
uno straniero per i figli di mia madre.
Perché mi divora lo zelo per la tua casa,
gli insulti di chi ti insulta ricadono su di me. R.
Mi sento venir meno.
Mi aspettavo compassione, ma invano,
consolatori, ma non ne ho trovati.
Mi hanno messo veleno nel cibo
e quando avevo sete mi hanno dato aceto. R.
Loderò il nome di Dio con un canto,
lo magnificherò con un ringraziamento.
Vedano i poveri e si rallegrino;
voi che cercate Dio, fatevi coraggio,
perché il Signore ascolta i miseri
e non disprezza i suoi che sono prigionieri. R.
Vangelo
Mt 26,14-25
14Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai capi dei sacerdoti 15e disse: "Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?". E quelli gli fissarono trenta monete d'argento. 16Da quel momento cercava l'occasione propizia per consegnarlo. 17Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: "Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?". 18Ed egli rispose: "Andate in città da un tale e ditegli: "Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli"". 19I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua. 20Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. 21Mentre mangiavano, disse: "In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà". 22Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: "Sono forse io, Signore?". 23Ed egli rispose: "Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. 24Il Figlio dell'uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell'uomo dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito! Meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!". 25Giuda, il traditore, disse: "Rabbì, sono forse io?". Gli rispose: "Tu l'hai detto".
Note
Convertire... in discepolo
La Parola di Dio ci fa fare un piccolo passo indietro per svelarci, attraverso il vangelo secondo Matteo, l’antefatto di ciò che ci viene raccontato per ben due volte in due giorni: il tradimento di Giuda, il quale
«andò dai capi dei sacerdoti e disse: “Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?» (Mt 26,14-15).
Siamo messi di fronte all’abisso, non solo del cuore umano, ma quello ancora più insondabile del cuore di un discepolo, del nostro cuore di discepoli. Non finiremo mai di riflettere e di interrogarci abbastanza sulle motivazioni profonde che hanno spinto Giuda a tradire il suo Maestro e, forse, persino a non accorgersi fino in fondo di tradirlo. Sono stati molti gli scrittori e gli artisti che hanno cercato di immaginare e di spiegare questo gesto di assoluta negazione di ogni relazione. La parola del Signore Gesù non interviene per prevenire o bloccare il tradimento di Giuda, ma semplicemente prende posizione per non lasciare il discepolo ignaro di ciò che veramente sta avvenendo, prima di tutto e innanzitutto, nel profondo del suo cuore.
Giuda si presenta ai sacerdoti con una proposta: «… perché io ve lo consegni» e ancora «cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù» (26,15-16). Il Signore Gesù, nella solenne e commovente cornice della cena pasquale preparata con una cura non solo particolare, ma unica, chiarisce a tutti - e soprattutto a Giuda - quello che veramente sta succedendo. In tal modo si rivela che ciò che sta accadendo è ciò che deve avvenire:
«In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà» (Mt 26,21).
Giuda pensa di consegnare il Maestro, il Signore Gesù rivela al discepolo che non può consegnare chi già si è consegnato liberamente. Per questo Giuda, nella confusione più totale del suo cuore smarrito e ottenebrato, pone con una certa ingenuità e sincerità la domanda:
«Rabbì, sono forse io?» (Mt 26,25).
Giuda pensa di consegnare – il gioco di parole nelle lingue antiche è strettissimo – e da Gesù viene a sapere di essere un traditore; Giuda pensa di essere il soggetto del suo atto di consegna, che sembra quasi un ultimo sussulto di protagonismo possibile contro il sempre più chiaro anti-protagonismo storico del Maestro, e scopre invece di essere soggetto, nel senso di prigioniero, della sua delusione e della sua rabbia che lo hanno reso una pedina più che un protagonista.
In realtà, il vero dramma di Giuda, che rischia di essere il nostro stesso dramma, è quello di non essere mai stato un vero discepolo, non avendo accettato il suo posto e il suo proprio ruolo. Ciò che il profeta Isaia indica come l’atteggiamento proprio del «discepolo» (Is 50,4) viene smarrito dall’apostolo Giuda, che in realtà si tira «indietro» nell’aprire «l’orecchio» (50,5) preferendo, almeno da un certo punto in avanti, di perdersi nell’illusione di poter persino dirigere il destino del suo Maestro. Il Signore Gesù chiarendo e rivelando che
«il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui» (Mt 26, 24)
fa crollare l’illusione di Giuda di avere assunto un ruolo nella storia. La parola di Dio ci parla di uno degli apostoli che a un certo punto decide di smettere di essere «discepolo»: il pericolo di cadere in questa medesima trappola non è da sottovalutare per ciascuno di noi, per la Chiesa stessa, chiamata a essere in tutto conforme al cuore del suo Sposo e Signore. Non dobbiamo mai dimenticare che quando si vende qualcuno, in realtà, non si fa altro che vendere se stessi. Giuda “vende” il suo Maestro al prezzo dello schiavo e della donna. Giuda ha bisogno di deprezzare il Maestro per sovrastimare se stesso, ma il Signore non è schiavo proprio perché vuole essere un servo. Quel terribile «Guai» che ci atterrisce sarebbe da tradurre con «poverino!». Giuda sceglie di consegnare Gesù senza rendersi conto che Gesù si consegna per lui per dargli ancora un po’ di tempo per ascoltare veramente.
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