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Questo racconto paolino dell’istituzione dell’eucaristia è il più antico del NT. Venti anni dopo viene messo per iscritto da Luca nel suo Vangelo.
Paolo attinge probabilmente alla tradizione della comunità cristiana di Antiochia, in cui aveva vissuto per un anno dopo l’incontro con il Signore risorto. Paolo “trasmette” (paradidōmi, παραδίδωμι) l’intenzione di Gesù di portare a compimento la promessa fatta da Dio di un’alleanza nuova con il popolo di Israele.
Non menziona né la Pasqua né Giuda, forse per evocare che l’atto di “tradire” o “consegnare” (paradidōmi, παραδίδωμι) Gesù sia stato assunto liberamente da Cristo stesso: con i gesti eucaristici, Gesù anticipa la propria auto-consegna sulla croce. Il termine hōra (ὥρα) attraversa il vangelo di Giovanni fin dalle nozze di Cana e tutte le sue occorrenze conducono fino a questo versetto. Il termine e il tema dell’“ora” sono apocalittici, risalgono cioè alle visioni e agli enigmi del profeta Daniele, che con l’espressione “l’ora della fine” intende l’ora imminente della morte. Il quarto evangelista articola hōra con tèlos, per dire che l’ora di Gesù è l’ora del “compimento” dell’amore, più che della sua “fine”. L’espressione eis telos (εἰς τέλος) può avere un significato sia temporale – fino alla fine della vita – sia qualitativo – fino al massimo, fino all’estremo. Qui occorre combinare le due accezioni: Gesù ama i suoi amici fino al dono totale della vita, che si realizzerà con la sua morte in croce. Il termine deipnon (δεῖπνον) connota l’ultima cena di Gesù come un banchetto cultuale, come quello proprio della Pasqua. L’evangelista, tuttavia, non la fa coincidere con la cena pasquale, perché nella sua visione l’ora in cui si immolavano gli agnelli nel tempio, coincide con la morte in croce di Gesù. Per indicare il togliere (tithēmi, τίθημι) e rimettere (lambanō, λαμβάνω) le vesti, Giovanni utilizza gli stessi verbi che usa nel cap. 10 per indicare il deporre e riprendere la vita da parte di Gesù. Associa così la lavanda dei piedi con la sua morte e risurrezione: lavare i piedi degli ospiti era un gesto consueto nel mondo antico, compiuto solitamente dagli schiavi come accoglienza delle persone nella casa, ma qui diventa un’azione profetica, con cui Gesù – il Signore – capovolge ogni ruolo e pone il fondamento della comunità cristiana. Questa espressione vuol dire che tra due persone non vi è più nulla di comune, che tutti i rapporti sono infranti.
L’aggettivo katharos (καθαρός) ricorre solo qui e in 15,3: “Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato”. Dunque Pietro e gli altri discepoli sono già puri grazie alla parola di Gesù, per dire che la rivelazione ha già avuto luogo. Il gesto della lavanda dei piedi ne è il compimento, come segno che anticipa l’offerta che Gesù fa della propria vita. Per indicare il togliere (tithēmi, τίθημι) e rimettere (lambanō, λαμβάνω) le vesti, Giovanni utilizza gli stessi verbi che usa nel cap. 10 per indicare il deporre e riprendere la vita da parte di Gesù. Associa così la lavanda dei piedi con la sua morte e risurrezione: lavare i piedi degli ospiti era un gesto consueto nel mondo antico, compiuto solitamente dagli schiavi come accoglienza delle persone nella casa, ma qui diventa un’azione profetica, con cui Gesù – il Signore – capovolge ogni ruolo e pone il fondamento della comunità cristiana. La preposizione kathōs (καθώς) non indica un modello da seguire dall’esterno e in modo servile. Il “come” in Giovanni non è in chiave di imitazione, ma di fondazione, come a dire: “sul fondamento di ciò che io ho fatto, agite anche voi”. Lo stesso schema si ripresenterà poco più avanti, quando Gesù dona il comandamento nuovo dell’amore vicendevole, possibile solo sul fondamento di un Dio che ama così e abilita ad amare così.
Paolo attinge probabilmente alla tradizione della comunità cristiana di Antiochia, in cui aveva vissuto per un anno dopo l’incontro con il Signore risorto. Paolo “trasmette” (paradidōmi, παραδίδωμι) l’intenzione di Gesù di portare a compimento la promessa fatta da Dio di un’alleanza nuova con il popolo di Israele.
Non menziona né la Pasqua né Giuda, forse per evocare che l’atto di “tradire” o “consegnare” (paradidōmi, παραδίδωμι) Gesù sia stato assunto liberamente da Cristo stesso: con i gesti eucaristici, Gesù anticipa la propria auto-consegna sulla croce. Il termine hōra (ὥρα) attraversa il vangelo di Giovanni fin dalle nozze di Cana e tutte le sue occorrenze conducono fino a questo versetto. Il termine e il tema dell’“ora” sono apocalittici, risalgono cioè alle visioni e agli enigmi del profeta Daniele, che con l’espressione “l’ora della fine” intende l’ora imminente della morte. Il quarto evangelista articola hōra con tèlos, per dire che l’ora di Gesù è l’ora del “compimento” dell’amore, più che della sua “fine”. L’espressione eis telos (εἰς τέλος) può avere un significato sia temporale – fino alla fine della vita – sia qualitativo – fino al massimo, fino all’estremo. Qui occorre combinare le due accezioni: Gesù ama i suoi amici fino al dono totale della vita, che si realizzerà con la sua morte in croce. Il termine deipnon (δεῖπνον) connota l’ultima cena di Gesù come un banchetto cultuale, come quello proprio della Pasqua. L’evangelista, tuttavia, non la fa coincidere con la cena pasquale, perché nella sua visione l’ora in cui si immolavano gli agnelli nel tempio, coincide con la morte in croce di Gesù. Per indicare il togliere (tithēmi, τίθημι) e rimettere (lambanō, λαμβάνω) le vesti, Giovanni utilizza gli stessi verbi che usa nel cap. 10 per indicare il deporre e riprendere la vita da parte di Gesù. Associa così la lavanda dei piedi con la sua morte e risurrezione: lavare i piedi degli ospiti era un gesto consueto nel mondo antico, compiuto solitamente dagli schiavi come accoglienza delle persone nella casa, ma qui diventa un’azione profetica, con cui Gesù – il Signore – capovolge ogni ruolo e pone il fondamento della comunità cristiana. Questa espressione vuol dire che tra due persone non vi è più nulla di comune, che tutti i rapporti sono infranti.
L’aggettivo katharos (καθαρός) ricorre solo qui e in 15,3: “Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato”. Dunque Pietro e gli altri discepoli sono già puri grazie alla parola di Gesù, per dire che la rivelazione ha già avuto luogo. Il gesto della lavanda dei piedi ne è il compimento, come segno che anticipa l’offerta che Gesù fa della propria vita. Per indicare il togliere (tithēmi, τίθημι) e rimettere (lambanō, λαμβάνω) le vesti, Giovanni utilizza gli stessi verbi che usa nel cap. 10 per indicare il deporre e riprendere la vita da parte di Gesù. Associa così la lavanda dei piedi con la sua morte e risurrezione: lavare i piedi degli ospiti era un gesto consueto nel mondo antico, compiuto solitamente dagli schiavi come accoglienza delle persone nella casa, ma qui diventa un’azione profetica, con cui Gesù – il Signore – capovolge ogni ruolo e pone il fondamento della comunità cristiana. La preposizione kathōs (καθώς) non indica un modello da seguire dall’esterno e in modo servile. Il “come” in Giovanni non è in chiave di imitazione, ma di fondazione, come a dire: “sul fondamento di ciò che io ho fatto, agite anche voi”. Lo stesso schema si ripresenterà poco più avanti, quando Gesù dona il comandamento nuovo dell’amore vicendevole, possibile solo sul fondamento di un Dio che ama così e abilita ad amare così.
Commento alla Liturgia
CENA del Signore
Prima lettura
Es 12,1-8.11-14
1Il Signore disse a Mosè e ad Aronne in terra d'Egitto: 2"Questo mese sarà per voi l'inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell'anno. 3Parlate a tutta la comunità d'Israele e dite: "Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. 4Se la famiglia fosse troppo piccola per un agnello, si unirà al vicino, il più prossimo alla sua casa, secondo il numero delle persone; calcolerete come dovrà essere l'agnello secondo quanto ciascuno può mangiarne. 5Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell'anno; potrete sceglierlo tra le pecore o tra le capre 6e lo conserverete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l'assemblea della comunità d'Israele lo immolerà al tramonto. 7Preso un po' del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull'architrave delle case nelle quali lo mangeranno. 8In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. 11Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la Pasqua del Signore! 12In quella notte io passerò per la terra d'Egitto e colpirò ogni primogenito nella terra d'Egitto, uomo o animale; così farò giustizia di tutti gli dèi dell'Egitto. Io sono il Signore! 13Il sangue sulle case dove vi troverete servirà da segno in vostro favore: io vedrò il sangue e passerò oltre; non vi sarà tra voi flagello di sterminio quando io colpirò la terra d'Egitto. 14Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 115 (116)
R. Il tuo calice, Signore, è dono di salvezza.
Che cosa renderò al Signore,
per tutti i benefici che mi ha fatto?
Alzerò il calice della salvezza
e invocherò il nome del Signore. R.
Agli occhi del Signore è preziosa
la morte dei suoi fedeli.
Io sono tuo servo, figlio della tua schiava:
tu hai spezzato le mie catene. R.
A te offrirò un sacrificio di ringraziamento
e invocherò il nome del Signore.
Adempirò i miei voti al Signore
davanti a tutto il suo popolo. R.
Seconda Lettura
1Cor 11,23-26
23Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane 24e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me". 25Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me". 26Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.
Vangelo
Gv 13,1-15
1Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. 2Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, 3Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. 5Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugamano di cui si era cinto. 6Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: "Signore, tu lavi i piedi a me?". 7Rispose Gesù: "Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo". 8Gli disse Pietro: "Tu non mi laverai i piedi in eterno!". Gli rispose Gesù: "Se non ti laverò, non avrai parte con me". 9Gli disse Simon Pietro: "Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!". 10Soggiunse Gesù: "Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti". 11Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: "Non tutti siete puri". 12Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: "Capite quello che ho fatto per voi? 13Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. 14Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. 15Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi.
Note
Paolo attinge probabilmente alla tradizione della comunità cristiana di Antiochia, in cui aveva vissuto per un anno dopo l’incontro con il Signore risorto. Paolo “trasmette” (paradidōmi, παραδίδωμι) l’intenzione di Gesù di portare a compimento la promessa fatta da Dio di un’alleanza nuova con il popolo di Israele.
Non menziona né la Pasqua né Giuda, forse per evocare che l’atto di “tradire” o “consegnare” (paradidōmi, παραδίδωμι) Gesù sia stato assunto liberamente da Cristo stesso: con i gesti eucaristici, Gesù anticipa la propria auto-consegna sulla croce.
Approfondimenti
Questo racconto paolino dell’istituzione dell’eucaristia è il più antico del NT. Venti anni dopo viene messo per iscritto da Luca nel suo Vangelo.
Paolo attinge probabilmente alla tradizione della comunità cristiana di Antiochia, in cui aveva vissuto per un anno dopo l’incontro con il Signore risorto. Paolo “trasmette” (paradidōmi, παραδίδωμι) l’intenzione di Gesù di portare a compimento la promessa fatta da Dio di un’alleanza nuova con il popolo di Israele.
Non menziona né la Pasqua né Giuda, forse per evocare che l’atto di “tradire” o “consegnare” (paradidōmi, παραδίδωμι) Gesù sia stato assunto liberamente da Cristo stesso: con i gesti eucaristici, Gesù anticipa la propria auto-consegna sulla croce.
Vi sono due possibili interpretazioni di questa frase: se Giuda è al genitivo, l’espressione suona “quando il diavolo aveva già messo nel cuore di Giuda di tradirlo”; se Giuda è al nominativo, “quando il diavolo si era già messo nel cuore – cioè aveva già deciso – che Giuda lo tradisse”.
La traduzione corrente opta per la prima versione perché il verbo ballō (βάλλω), che vuol dire “gettare, mettere”, seguito dalla preposizione eis (εἰς), esige un agente esterno al soggetto. Inoltre, l’espressione “mettere nel cuore di qualcuno” è un semitismo che equivale a “ispirare qualcuno” a fare qualcosa.
Tuttavia, la seconda versione offre uno spunto ulteriore di riflessione sulla libertà di Giuda e sull’estremo, appassionato tentativo di Gesù di strapparlo alla tentazione del tradimento.
Convertire... il diavolo
Il triduo pasquale comincia, attraverso la lezione del Vangelo che ne segna le coordinate fondamentali, con due note apparentemente così contrastanti da sembrare inconciliabili. La prima suona così:
«Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13,1).
A questo sfondo, dominato da un amore la cui immensità pare travolgere la storia, sembra che l’evangelista Giovanni abbia bisogno subito di da dare una pennellata di scuro per farcene percepire tutta la profondità: «Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo…» (13,2). Il gesto della lavanda dei piedi e quello del dono di un pezzo di pane e di un sorso di vino diventano così il modo con cui Gesù dichiara guerra al Maligno e alla sua logica di tradimento dell’amore. Una guerra dichiarata senza smettere di amare «fino alla fine» perfino e, prima di tutto, quel discepolo che lo consegna illudendosi di diventare così protagonista della storia e placando così il suo complesso di inesistenza a motivo della sua reale inconsistenza. Il modo di reagire del Signore a ciò che «il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda» è un di più di amore, un eccesso assoluto di amore che si esprime nel gesto di «lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto» (13,5).
Vale per il gesto del lavare i piedi ciò che Paolo riferisce all’altro gesto eucaristico dello spezzare il pane e versare il vino:
«Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga» (1Cor 11,26).
Possiamo applicare questa parola alla nostra vita quotidiana dicendo che «ogni volta» che sentiamo nel nostro cuore la morsa della tentazione che ci spinge a chiuderci all’amore, l’unica via è quella di aprirci a un amore ancora più grande. Infatti solo l’eccesso e l’esagerazione possono arginare l’opera del «diavolo» che lavora sempre nella linea del risparmio (non si poteva vendere per trecento denari) per arrivare a far trionfare la morte delle relazioni più belle e più significative. Simon Pietro lo intuirà cogliendo nella reazione del Maestro la posta in gioco di un passaggio fondamentale: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!» (Gv 13,9). Il salmista ci aiuta a non dimenticare, perché la dimenticanza rischia sempre di essere l’inizio di un’insensibilità e per questo si interroga:
«Che cosa renderò al Signore per tutti i benefici che mi ha fatto?» (Sal 115,3).
Potremmo entrare nella celebrazione dei santi misteri cercando di fare l’elenco dei benefici che abbiamo ricevuto nella nostra vita. Solo questa memoria ci potrà rendere immuni dalla tentazione del «diavolo» di cedere all’oblio e concentrarci per questo sulle nostre paure e sui nostri bisogni più immediati e passeggeri. La prescrizione rituale dell’Esodo assumerebbe così un valore assai particolare:
«Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell’anno» (Es 12,5).
L’agnello è Cristo, l’agnello dobbiamo essere noi resistendo a ogni tentazione di trasformarci in lupi. L’Esodo continua con le sue note rituali che sono, in realtà, orientamenti esistenziali:
«Ecco in quale modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la Pasqua del Signore!» (Es 12,12).
Celebriamo la Pasqua per imparare l’arte di vivere che è sempre l’arte di amare, così antica e così magnificamente nuova perché richiede di ricominciare ogni momento:
«Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13,15).
Tutto ciò è pane per il cammino e vino per non perdere il ritmo e l’ebbrezza della marcia.
Secondo l’esortazione dell’apostolo, prima di comunicare ancora una volta al mistero pasquale, esaminiamo rigorosamente noi stessi. Per questo non mandiamo troppo in fretta Giuda all’inferno… teniamo presente che l’amore non è facile e può incontrare degli ostacoli. Cerchiamo dunque di comunicare all’amore per servire nell’amore, facendo memoria che l’amore travolgente di Cristo, con il suo eccesso di compassione, travolge il male senza mai lasciarsene travolgere.
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