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L’intera espressione “Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei nostri padri” è una formula biblica che si trova anzitutto nel testo fondamentale di Es 3,6.15.16. gli ascoltatori vengono posti davanti al Dio delle origini, il Dio dei patriarchi, promotore della storia santa e autore delle promesse di salvezza.
Il linguaggio dell’esaltazione – Gesù è esaltato, glorificato, riconosciuto Signore (doxazō, δοξάζω) – è uno dei tre linguaggi di Pasqua nel Nuovo Testamento. Gli altri due linguaggi sono quello del risveglio (Gesù è rialzato o risvegliato dai morti), e quello della vita (Gesù è il Vivente). Nel NT, Luca è il maggiore utilizzatore del vocabolario della conversione: metanoeō (μετανοέω), “cambiare opinione, rammaricarsi”, corrisponde al pentimento che prende le distanze dall’errore; epistrephō (ἐπιστρέφω), “volgersi verso”, rende l’idea dell’orientarsi nuovamente verso Dio e traduce l’ebraico shouv, che è il verbo con cui i profeti scongiurano Israele di ritornare a Dio. La formula è ereditata dalla Bibbia ebraica, ma dal v. 18 riceve un’applicazione cristologica: il ritorno a Dio, che è la conversione, avviene mediante il riconoscimento di Gesù come Messia.
In greco questa espressione suona “io sono lui” (ἐγώ εἰμι αὐτός), probabilmente l’equivalente della formula di rivelazione ricorrente nell’Antico Testamento, e altrettanto intraducibile, “ani hu” (io sono lui), in genere resa con “io lo sono”. Luca esprime così il salto della fede a cui Gesù invita i discepoli: riconoscere Gesù nel risorto, il loro maestro nella persona che ha fatto irruzione in mezzo a loro. Ma anche riconoscere in “lui” Dio stesso, nel quale colui che parla si sta immedesimando. Luca usa qui, unica occorrenza nel suo Vangelo, il verbo psēlaphàō (ψηλαφάω), un verbo piuttosto insolito e plastico, che significa “palpeggiare, tastare, maneggiare”. Vi si può cogliere un riferimento all’Antico Testamento, all’autorivelazione del Signore Dio sul monte Sinai, avvenuta attraverso manifestazioni tangibili, che potevano essere percepite o toccate con il coinvolgimento di tutti i sensi. I màrtures (μάρτυρες) non sono ancora i martiri della tarda antichità e non sono testimoni oculari passivi, poiché sono diventati attivamente “servitori della parola” (cf. 1,2). Inoltre, le cose di cui sono testimoni non sono tutte visibili. Questo aspetto rimanda all’uso del termine negli Atti, dove i testimoni sono affidabili perché vincolati a una duplice fedeltà: alla storia perché hanno conosciuto il Gesù storico, e alla verità perché conoscono il kèrigma cristiano e il senso delle Scritture. Di più, hanno bisogno dello Spirito Santo perché la loro testimonianza sia efficace.
Il linguaggio dell’esaltazione – Gesù è esaltato, glorificato, riconosciuto Signore (doxazō, δοξάζω) – è uno dei tre linguaggi di Pasqua nel Nuovo Testamento. Gli altri due linguaggi sono quello del risveglio (Gesù è rialzato o risvegliato dai morti), e quello della vita (Gesù è il Vivente). Nel NT, Luca è il maggiore utilizzatore del vocabolario della conversione: metanoeō (μετανοέω), “cambiare opinione, rammaricarsi”, corrisponde al pentimento che prende le distanze dall’errore; epistrephō (ἐπιστρέφω), “volgersi verso”, rende l’idea dell’orientarsi nuovamente verso Dio e traduce l’ebraico shouv, che è il verbo con cui i profeti scongiurano Israele di ritornare a Dio. La formula è ereditata dalla Bibbia ebraica, ma dal v. 18 riceve un’applicazione cristologica: il ritorno a Dio, che è la conversione, avviene mediante il riconoscimento di Gesù come Messia.
In greco questa espressione suona “io sono lui” (ἐγώ εἰμι αὐτός), probabilmente l’equivalente della formula di rivelazione ricorrente nell’Antico Testamento, e altrettanto intraducibile, “ani hu” (io sono lui), in genere resa con “io lo sono”. Luca esprime così il salto della fede a cui Gesù invita i discepoli: riconoscere Gesù nel risorto, il loro maestro nella persona che ha fatto irruzione in mezzo a loro. Ma anche riconoscere in “lui” Dio stesso, nel quale colui che parla si sta immedesimando. Luca usa qui, unica occorrenza nel suo Vangelo, il verbo psēlaphàō (ψηλαφάω), un verbo piuttosto insolito e plastico, che significa “palpeggiare, tastare, maneggiare”. Vi si può cogliere un riferimento all’Antico Testamento, all’autorivelazione del Signore Dio sul monte Sinai, avvenuta attraverso manifestazioni tangibili, che potevano essere percepite o toccate con il coinvolgimento di tutti i sensi. I màrtures (μάρτυρες) non sono ancora i martiri della tarda antichità e non sono testimoni oculari passivi, poiché sono diventati attivamente “servitori della parola” (cf. 1,2). Inoltre, le cose di cui sono testimoni non sono tutte visibili. Questo aspetto rimanda all’uso del termine negli Atti, dove i testimoni sono affidabili perché vincolati a una duplice fedeltà: alla storia perché hanno conosciuto il Gesù storico, e alla verità perché conoscono il kèrigma cristiano e il senso delle Scritture. Di più, hanno bisogno dello Spirito Santo perché la loro testimonianza sia efficace.
Commento alla Liturgia
Giovedì fra l'Ottava di Pasqua
Prima lettura
At 3,11-26
11Mentre egli tratteneva Pietro e Giovanni, tutto il popolo, fuori di sé per lo stupore, accorse verso di loro al portico detto di Salomone. 12Vedendo ciò, Pietro disse al popolo: "Uomini d'Israele, perché vi meravigliate di questo e perché continuate a fissarci come se per nostro potere o per la nostra religiosità avessimo fatto camminare quest'uomo? 13Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo; 14voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino. 15Avete ucciso l'autore della vita, ma Dio l'ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni. 16E per la fede riposta in lui, il nome di Gesù ha dato vigore a quest'uomo che voi vedete e conoscete; la fede che viene da lui ha dato a quest'uomo la perfetta guarigione alla presenza di tutti voi. 17Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, come pure i vostri capi. 18Ma Dio ha così compiuto ciò che aveva preannunciato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo doveva soffrire. 19Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati 20e così possano giungere i tempi della consolazione da parte del Signore ed egli mandi colui che vi aveva destinato come Cristo, cioè Gesù. 21Bisogna che il cielo lo accolga fino ai tempi della ricostituzione di tutte le cose, delle quali Dio ha parlato per bocca dei suoi santi profeti fin dall'antichità. 22Mosè infatti disse: Il Signore vostro Dio farà sorgere per voi, dai vostri fratelli, un profeta come me; voi lo ascolterete in tutto quello che egli vi dirà. 23E avverrà: chiunque non ascolterà quel profeta, sarà estirpato di mezzo al popolo. 24E tutti i profeti, a cominciare da Samuele e da quanti parlarono in seguito, annunciarono anch'essi questi giorni. 25Voi siete i figli dei profeti e dell'alleanza che Dio stabilì con i vostri padri, quando disse ad Abramo: Nella tua discendenza saranno benedette tutte le nazioni della terra. 26Dio, dopo aver risuscitato il suo servo, l'ha mandato prima di tutto a voi per portarvi la benedizione, perché ciascuno di voi si allontani dalle sue iniquità".
Salmo Responsoriale
Dal Sal 8
R. O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!
Oppure:
R. Alleluia, alleluia, alleluia.
O Signore, Signore nostro,
quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!
Che cosa è mai l'uomo perché di lui ti ricordi,
il figlio dell'uomo, perché te ne curi? R.
Davvero l'hai fatto poco meno di un dio,
di gloria e di onore lo hai coronato.
Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi. R.
Tutte le greggi e gli armenti,
e anche le bestie della campagna,
gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
ogni essere che percorre le vie dei mari. R.
Vangelo
Lc 24,35-48
35Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane. 36Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". 37Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. 38Ma egli disse loro: "Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho". 40Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. 41Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: "Avete qui qualche cosa da mangiare?". 42Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; 43egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. 44Poi disse: "Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi". 45Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture 46e disse loro: "Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni.
Note
Approfondimenti
Pietro attribuisce a Gesù un titolo tradizionale, poco utilizzato, proveniente dal giudaismo ellenistico: archēgos (ἀρχηγός), la cui polisemia complica la scelta di traduzione.
Nel NT è riservato al Cristo elevato. Nella Settanta, rende 15 volte l’ebraico rôsh, cioè “capo, notabile”.
Tradurlo con “fondatore della vita” tiene conto del valore di inizio presente in archē; “principe della vita” valorizza la nozione di autorità ugualmente presente in archē; “iniziatore della vita” esprime l’idea di condotta in sita nell’etimologia del termine: archē + agō (condurre).
Luca tuttavia non lo comprende così: la sua cristologia concepisce Gesù come il primo risorto dai morti, liberato da Dio.
Consolazione
I Padri definivano il tempo di Pasqua un laetissimum spatium (Tertulliano), perché in esso i neofiti, giunti al battesimo nella Veglia pasquale, venivano introdotti nelle profondità della grazia ricevuta attraverso il percorso delle catechesi mistagogiche. Pur essendo distanti dall’intensità di quei tempi originari, anche noi in questi giorni riceviamo dalla liturgia l’invito a compiere la conversione più difficile e bella. Mentre nella Quaresima abbiamo provato a convertirci alla verità di noi stessi, riconoscendoci fragili e bisognosi di salvezza, ora è il tempo di superare la mentalità della tristezza per aprirci alla gioia della vita risorta.
Tutti i racconti di apparizione testimoniano la delicata prudenza con cui il Risorto si mostra ai suoi amici e, al contempo, l’estrema fatica con cui i discepoli escono dal senso di colpa e dalla morsa della paura, per diventare finalmente coraggiosi testimoni della Pasqua. Prima di accedere alla gioia della vita nuova, coloro che hanno cercato di seguire il Signore Gesù nel suo cammino di morte e risurrezione devono superare il sospetto che egli sia solo «un fantasma» (Lc 24,37). Quando appare, il Signore risorto non si lascia certo intimorire dal pesante imbarazzo che lascia i discepoli ancora «stupiti e spaventati» (24,37), «turbati» e pieni di «dubbi» (24,38) di fronte al suo volto. La risurrezione del Signore è una «gioia» così «grande» (24,41) che sembra impossibile e inaccessibile al nostro cuore, spesso così avviluppato su se stesso. Per questo il Signore Gesù non trova altra via se non quella di percorrere con noi — ancora e sempre — la via calda e fraterna della convivialità: «Avete qui qualche cosa da mangiare?» (24,41). Solo quando le acque si sono calmate e il clima è diventato favorevole al dialogo, il Maestro ricomincia a insegnare:
«Allora aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture» (Lc 24,45)
e istruisce i suoi discepoli riguardo a tutte le cose che «nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi» si riferiscono a lui (24,46). Dopo aver offerto ai discepoli il dono della «consolazione» (At 3,20), il Signore li aiuta a diventare coscienti della testimonianza che ora sono chiamati a restituire a «tutte le famiglie della terra» (3,25). Senza alcuna presunzione, ma anche senza alcuna paura, come gli apostoli sperimenteranno dopo la Pentecoste:
«Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo» (At 3,13).
Dopo aver rinnegato il Signore, la voce di Pietro è svuotata di ogni presunzione, ricca soltanto di un universale vangelo di salvezza. Pietro è testimone di una «guarigione perfetta» (3,16) del cuore e non teme di annunciare la necessità di un radicale cambiamento di vita. Per compierlo è sufficiente voltare lo sguardo al mistero della croce, riconsiderare il fallimento della vita non più a partire dal proprio peccato (cf. 3,14-15) e dalla propria ignoranza (cf. 3,17) ma dall’amore di Dio, capace di colmare l’abisso del male e del peccato. La conversione è contemplare l’opera bella di Dio e davanti a essa imparare a deporre l’abitudine a ogni (facile) giudizio; lasciarsi guardare e spogliare dagli occhi pietosi dell’Autore della vita e credere che il crocifisso risorto è il definitivo nome di Dio che possiamo invocare e annunciare. Solo così possono «giungere i tempi della consolazione da parte del Signore» (3,20) ed egli può essere «accolto in cielo fino ai tempi della restaurazione di tutte le cose» (3,21).
In «questi giorni» santi di Pasqua, non c’è altra grazia e responsabilità per noi cristiani, se non quella di assimilare il mistero della Risurrezione, per poterne diventare gioiosi e inconsapevoli annunciatori, nella speranza che il Signore possa portare a tutti gli uomini «la benedizione e perché ciascuno si converta dalle sue iniquità» (3,26). Anche attraverso di noi.
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