www.nellaparola.it
L’espressione eirēnē hymīn (εἰρήνη ὑμῖν) corrisponde al saluto ebraico shālōm alēkem. Tuttavia, qui non si tratta di un semplice saluto nè di un augurio ma di un dono, frutto della vittoria della vita sulla morte. Quando nell’AT il saluto della pace è rivolto da un essere celeste, esso si rivela efficace e salutare (cf. Gdc 6,23; Dn 10,19). Anche il dono della pace portato da Gesù susciterà nei discepoli il coraggio di uscire e intraprendere la missione.
Letteralmente, il verbo kratèō (κρατέω), qui tradotto con “perdonare”, significa “trattenere”, nelle molteplici sfumature dell’esercizio di un potere: “raggiungere un obiettivo”, “afferrare, prendere il controllo di qualcuno o qualcosa”, “impedire”, ma anche “aderire, attenersi”. All’interno di questa gamma di significati si può cogliere l’azione di “far sì che una condizione persista, sia tenuta in piedi”: che il peccato dei fratelli resti tale dipende da una parola dei discepoli, da una nostra parola.
Letteralmente, il verbo kratèō (κρατέω), qui tradotto con “perdonare”, significa “trattenere”, nelle molteplici sfumature dell’esercizio di un potere: “raggiungere un obiettivo”, “afferrare, prendere il controllo di qualcuno o qualcosa”, “impedire”, ma anche “aderire, attenersi”. All’interno di questa gamma di significati si può cogliere l’azione di “far sì che una condizione persista, sia tenuta in piedi”: che il peccato dei fratelli resti tale dipende da una parola dei discepoli, da una nostra parola.
Si tratta della seconda e ultima beatitudine del Quarto Vangelo, dopo quella di 13,17: “Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica”. Di tutte le beatitudini del NT, solo questa e quella di Lc 1,45 – “E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”– dipendono dal “credere”.
Forma diminutiva di biblos (βίβλος), il termine biblion (βιβλίον) viene adoperato nella stessa accezione. È utilizzato anche in riferimento alla Legge o all’insieme degli scritti dell’AT. Per la prima volta nel NT, qui viene usato il termine “libro” per designare il contenuto della rivelazione neotestamentaria.
Commento alla Liturgia
II Domenica di Pasqua (o della Divina Misericordia)
Prima lettura
At 4,32-35
32La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. 33Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore. 34Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto 35e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 117(118)
R. Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre.
Oppure:
R. Alleluia, alleluia, alleluia.
Dica Israele:
«Il suo amore è per sempre».
Dica la casa di Aronne:
«Il suo amore è per sempre».
Dicano quelli che temono il Signore:
«Il suo amore è per sempre». R.
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.
Questo è il giorno che ha fatto il Signore:
rallegriamoci in esso ed esultiamo! R.
Ti preghiamo, Signore: Dona la salvezza!
Ti preghiamo, Signore: Dona la vittoria!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Vi benediciamo dalla casa del Signore.
Il Signore è Dio, egli ci illumina. R.
Seconda Lettura
1Gv 5,1-6
1Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato. 2In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti. 3In questo infatti consiste l'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi. 4Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede. 5E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? 6Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l'acqua soltanto, ma con l'acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità.
Vangelo
Gv 20,19-31
19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: "Pace a voi!". 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi". 22Detto questo, soffiò e disse loro: "Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati". 24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: "Abbiamo visto il Signore!". Ma egli disse loro: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo". 26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: "Pace a voi!". 27Poi disse a Tommaso: "Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!". 28Gli rispose Tommaso: "Mio Signore e mio Dio!". 29Gesù gli disse: "Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!". 30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Note
Approfondimenti
Unica occorrenza nel NT, il verbo emphusàō (ἐμφυσάω) è usato in assoluto, senza complemento, con il significato di "soffiare, alitare": Gesù “è” il suo soffio e la sua parola è performativa, è un atto.
Raro nell’Antico Testamento, questo verbo implica un senso di creazione legato al dono della vita (Gen 2,7 e Sap 15,11), oppure l'atto di ridare la vita dopo la morte (Ez 37,9; 1Re 17,21).
La Scrittura così chiamata in causa esprime la risurrezione in termini di creazione. Per Giovanni, spetta a Gesù Cristo comunicare lo Spirito, e così si compie la sua mediazione: Colui che “consegna” lo spirito sulla croce è colui che abilita i discepoli a “ricevere, prendere” lo Spirito. Come la passione morte e risurrezione, si tratta di un unico mistero.
Il tuo nome è Cuore, alleluia!
L’inizio della liturgia della parola di questa domenica che conclude l’Ottava di Pasqua è una memoria di ciò che sta alla radice della nostra esperienza di comunità, riunita non solo attorno al Crocifisso Risorto, ma riunita dal Crocifisso Risorto:
«La moltitudine di coloro che erano diventati credenti avevano un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32).
Certo, questo si riferisce al legame di comunione e di carità che permette ai credenti di essere, veramente e fino in fondo, fratelli e sorelle nella fede e in umanità, tanto da essere riconosciuti da tutti non tanto come un modello da seguire, quanto piuttosto come una possibile speranza da sentire. Se è vero che «fra loro tutto era comune», questo non si riferisce di certo solo ai beni materiale né esclusivamente ai beni spirituali, ma a tutto ciò che segna e caratterizza la vita nei suoi punti più forti come nei punti più deboli. Luca ci mette di fronte a un quadro ideale della vita della prima comunità senza cedere a false idealità. Non bisogna infatti dimenticare che l’intero libro degli Atti degli Apostoli è costellato dalla memoria di momenti difficili e talora persino duri.
Ciò che il mistero pasquale vuole comunicare, a ciascuno dei credenti come pure alla Chiesa, è una coscienza profondissima di ciò che «vince il mondo» (1Gv 5,4). Si tratta del mondo che ci portiamo dentro e che pure siamo chiamati ad assumere in tutte le sue contraddizioni attraverso una «fede» che non è cieca, ma al contrario è un modo di guardare prima di tutto dentro se stessi con occhi spalancati, per imparare ad abitare il mondo a occhi aperti. Per l’apostolo Giovanni, credere e amare sono la stessa cosa, eppure non solo la stessa cosa, perché solo chi «crede che Gesù è il Cristo» (5,1) diventa sempre più capace di «amare i figli di Dio» (5,2), impossibile senza il primo passo di amarsi come figli di Dio. Tutto ciò è il dono pasquale per eccellenza che ci viene dalla morte del Signore Gesù, che non ha nessuna paura di mostrare ai discepoli «le mani e il fianco» (Gv 20,20). La «pace» (20,19) che viene dal Risorto non ha nulla a che vedere con l’oblio, ma è frutto di una passione interiore che non nega nulla del proprio fallimento e che pure lo vince.
Allora non possiamo che dire, dal profondo del cuore, un grande grazie a Tommaso che è il «gemello» di ciascuno di noi quando cerchiamo di essere persone autentiche e credenti nella verità del cuore. I suoi amici gli dicono con entusiasmo:
«Abbiamo visto il Signore!» (Gv 20,25).
Tommaso non nega che questo sia vero per loro, ma desidera che ciò divenga profondamente vero anche per se stesso in un modo unico e personale. Certo la Chiesa ci trasmette la fede, ma solo nel nostro cuore possiamo patire fino a sentire fino in fondo il fuoco trasformante di una consapevolezza di relazione che sia capace di cambiare la vita. Dobbiamo dire grazie all’apostolo Tommaso perché ha costretto il Signore a tornare ancora una volta «Otto giorni dopo» (20,26). Il fatto che Tommaso sia riuscito a far ritornare ancora il Signore Risorto per poterlo incontrare personalmente ci dà la speranza che questo possa avvenire anche per noi… sì, per ciascuno di noi chiamato a dire non solo in modo vero, ma in modo intimo… di tutto cuore:
«Mio Signore e mio Dio» (Gv 20,28).
Cerca nei commenti