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Letteralmente, le “campagne, contrade” di Giudea e Samaria, evocano il mandato affidato dal Risorto ai suoi discepoli in 1,8. Luca rilegge teologicamente la sofferenza della persecuzione e della dispersione come la realizzazione provvidenziale delle promesse del Risorto.
Unica occorrenza del termine nel Nuovo Testamento, kopetòs (κοπετός) indica il lamento funebre, consistente secondo l’uso orientale in pianti e colpi sul petto (dal verbo colpire: kòptō, κόπτω). Da notare anche che gli uomini timorati di Dio che compiono il rito funebre, vietato proprio in caso di lapidazione ufficiale, sono secondo Luca giudei simpatizzanti.
A Filippo è riservata questa espressione, che non ricorre altrove negli Atti, e per la prima volta compare il verbo kērussō (κηρύσσω), proclamare. La predicazione di Filippo ai samaritani è messianica: proclama Gesù come il Cristo, che compie le promesse di Dio, orientando a lui la speranza messianica samaritana sulla venuta di un profeta come Mosè.
Il verbo prosechō (προσέχω) gioca un ruolo importante nei versetti che seguono. Si potrebbe tradurre con “volgere (sottinteso: la mente) verso, aderire a”. In questo caso, i samaritani aderiscono non a Filippo, ma alle sue parole. Luca infatti introduce il binomio udire/vedere, per cui la visione dei segni legittima la parola udita e questa interpreta i segni.
Sir 24,19-21 (“Quanti si nutrono di me avranno ancora fame”) sembra contraddire le parole di Gesù in questo versetto. In realtà, Giovanni dichiara che il pane della sapienza fa cessare la fame di qualunque altra cosa e il libro del Siracide proclama che il desiderio di quel cibo non avrà mai più fine.
Secondo il quarto evangelista, avere la vita non è una conseguenza della risurrezione, ma il suo presupposto. In questo senso, nel versetto si trovano combinate sia la prospettiva escatologica realizzata – evocata già nel v. 37 con l’espressione “non lo caccerò”, che si riferisce al presente e non alla fine dei tempi – sia quella futura (io lo risusciterò).
Commento alla Liturgia
Mercoledì della III settimana di Pasqua
Prima lettura
At 8,1-8
1Saulo approvava la sua uccisione. In quel giorno scoppiò una violenta persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme; tutti, ad eccezione degli apostoli, si dispersero nelle regioni della Giudea e della Samaria. 2Uomini pii seppellirono Stefano e fecero un grande lutto per lui. 3Saulo intanto cercava di distruggere la Chiesa: entrava nelle case, prendeva uomini e donne e li faceva mettere in carcere. 4Quelli però che si erano dispersi andarono di luogo in luogo, annunciando la Parola. 5Filippo, sceso in una città della Samaria, predicava loro il Cristo. 6E le folle, unanimi, prestavano attenzione alle parole di Filippo, sentendolo parlare e vedendo i segni che egli compiva. 7Infatti da molti indemoniati uscivano spiriti impuri, emettendo alte grida, e molti paralitici e storpi furono guariti. 8E vi fu grande gioia in quella città.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 65(66)
R. Acclamate Dio, voi tutti della terra.
oppure:
R. Alleluia, alleluia, alleluia.
Acclamate Dio, voi tutti della terra,
cantate la gloria del suo nome,
dategli gloria con la lode.
Dite a Dio: «Terribili sono le tue opere!». R.
«A te si prostri tutta la terra,
a te canti inni, canti al tuo nome».
Venite e vedete le opere di Dio,
terribile nel suo agire sugli uomini. R.
Egli cambiò il mare in terraferma;
passarono a piedi il fiume:
per questo in lui esultiamo di gioia.
Con la sua forza dòmina in eterno. R.
Vangelo
Gv 6,35-40
35Gesù rispose loro: "Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai! 36Vi ho detto però che voi mi avete visto, eppure non credete. 37Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, 38perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. 39E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell'ultimo giorno. 40Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno".
Note
Approfondimenti
L’espressione si può tradurre anche “il pane della vita sono io”, per evidenziare che il pane, secondo la cristologia dell’incarnazione propria di Giovanni, riproduce le caratteristiche di chi lo dona, in particolare il fatto di avere un’origine celeste (6,33) e la capacità di trasmettere la vita divina (zōē, ζωή). Il cibo di cui Gesù sta parlando è la sua persona: egli è il pane che Dio, suo Padre, dona al presente.
Si possono individuare due ispirazioni della cristologia giovannea:
Già da ora
Che cosa vuole donarci Dio? Qual è il Suo sogno per ciascuno di noi? Il Vangelo di oggi sembra rispondere proprio a questa domanda:
“Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”.
Ma è sbagliato pensare che la vita eterna è una questione solo dell’aldilà. La vita eterna è una questione anche dell’al di qua. È qui che inizia questa vita eterna. È qui che per noi inizia o il paradiso o l’inferno. E il paradiso non è non avere problemi. Il paradiso è sapersi amati e di Qualcuno. E ugualmente l’inferno è non sentirsi amati e di nessuno. Se ti sai amato tutto è paradiso anche i problemi. Ma se non ti senti amato tutto è inferno anche le cose belle. Dopo la morte ciò che abbiamo scelto con la nostra libertà diventa definitivo. Ma è qui che facciamo le nostre scelte. È qui che scegliamo o no Cristo. Ecco allora perché forse dovremmo riformulare le parole di Gesù in modo da comprendere fino in fondo che cos’è la resurrezione. La resurrezione è avere una vita nuova che ti viene donata dall’amore, dal saperti amato. Persino la morte fugge davanti all’amore. “L’amore è più forte della morte” si legge del Cantico dei cantici. Allora non dobbiamo leggere “lo risusciterò nell’ultimo giorno”, ma “lo risusciterò ogni giorno, fino all’ultimo”. Ecco perché allora dovremmo imparare a considerare due aspetti della nostra fede: uno che ha a che fare con il presente e uno che ha che fare con il destino ultimo. Tutto ciò che è destino ultimo non è semplicemente dopo, ma è già qui. È qui nascosto nel segno. La realtà è già carica del nostro destino ultimo, ma lo è come un sacramento. Dobbiamo quindi sempre decifrare quel destino nelle cose di questo mondo. Ma ciò non basta perché dobbiamo ricordarci che alla fine questo fatto emergerà con evidenza, sarà appunto un fatto e non più semplicemente segno di qualcosa che verrà. Il futuro diverrà presente e ognuno di noi vivrà per sempre di ciò che ha scelto ogni giorno già da ora.
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