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Il binomio "tèrata kai sēmèia" (τέρατα καὶ σημεῖα) è una formula stereotipa degli Atti che indica, a partire dalla Pentecoste, i miracoli che lo Spirito di Dio produce attraverso i credenti. Questi miracoli erano concessi a Gesù e dopo di lui agli apostoli. La stessa espressione, applicata ora a Stefano, indica che come grazia divina egli non è inferiore ai Dodici.
Verbo unico nel Nuovo Testamento, hupoballō (ὑποβάλλω) significa letteralmente “gettare da sotto”, quindi “incitare in segreto”: contiene quindi l’idea di dissimulazione e indica una condotta suggerita o soffiata a qualcuno, in pratica un incitamento a mentire.
È una formulazione originale di Luca, che con il termine ethos (ἔθος) indica non la Torah in sé, la Legge scritta, ma le pratiche ebraiche, derivate in gran parte dalla Legge ma non identiche. Luca adotta un linguaggio greco-romano per evocare l’insieme delle osservanze identitarie dell’ebraismo.
Nella prima occorrenza, il verbo ergàzomai (ἐργάζομαι) esprime il significato di “acquisire mediante il lavoro”. Nella seconda occorrenza, lo stesso verbo è usato in un gioco di parole: “operare le opere” (èrga, ἔργα) di Dio, che in ultima analisi corrispondono alla vita eterna, al cibo che rimane, alla fede stessa. L’essenziale, dunque, è passare dalla nostra opera all’opera di Dio in noi, che è un dono. Gli ascoltatori sono semplicemente preparati all’affermazione che devono accettare ciò che è dato gratuitamente.
Nella prima occorrenza, il verbo ergàzomai (ἐργάζομαι) esprime il significato di “acquisire mediante il lavoro”. Nella seconda occorrenza, lo stesso verbo è usato in un gioco di parole: “operare le opere” (èrga, ἔργα) di Dio, che in ultima analisi corrispondono alla vita eterna, al cibo che rimane, alla fede stessa. L’essenziale, dunque, è passare dalla nostra opera all’opera di Dio in noi, che è un dono. Gli ascoltatori sono semplicemente preparati all’affermazione che devono accettare ciò che è dato gratuitamente.
Commento alla Liturgia
Lunedì della III settimana di Pasqua
Prima lettura
At 6,8-15
8Stefano intanto, pieno di grazia e di potenza, faceva grandi prodigi e segni tra il popolo. 9Allora alcuni della sinagoga detta dei Liberti, dei Cirenei, degli Alessandrini e di quelli della Cilìcia e dell'Asia, si alzarono a discutere con Stefano, 10ma non riuscivano a resistere alla sapienza e allo Spirito con cui egli parlava. 11Allora istigarono alcuni perché dicessero: "Lo abbiamo udito pronunciare parole blasfeme contro Mosè e contro Dio". 12E così sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, gli piombarono addosso, lo catturarono e lo condussero davanti al sinedrio. 13Presentarono quindi falsi testimoni, che dissero: "Costui non fa che parlare contro questo luogo santo e contro la Legge. 14Lo abbiamo infatti udito dichiarare che Gesù, questo Nazareno, distruggerà questo luogo e sovvertirà le usanze che Mosè ci ha tramandato". 15E tutti quelli che sedevano nel sinedrio, fissando gli occhi su di lui, videro il suo volto come quello di un angelo.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 118(119)
R. Beato chi cammina nella legge del Signore.
oppure:
R. Alleluia, alleluia, alleluia.
Anche se i potenti siedono e mi calunniano,
il tuo servo medita i tuoi decreti.
I tuoi insegnamenti sono la mia delizia:
sono essi i miei consiglieri. R.
Ti ho manifestato le mie vie e tu mi hai risposto;
insegnami i tuoi decreti.
Fammi conoscere la via dei tuoi precetti
e mediterò le tue meraviglie. R.
Tieni lontana da me la via della menzogna,
donami la grazia della tua legge.
Ho scelto la via della fedeltà,
mi sono proposto i tuoi giudizi. R.
Vangelo
Gv 6,22-29
22Il giorno dopo, la folla, rimasta dall'altra parte del mare, vide che c'era soltanto una barca e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma i suoi discepoli erano partiti da soli. 23Altre barche erano giunte da Tiberìade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signore aveva reso grazie. 24Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. 25Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: "Rabbì, quando sei venuto qua?". 26Gesù rispose loro: "In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. 27Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo". 28Gli dissero allora: "Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?". 29Gesù rispose loro: "Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato".
Note
Il tuo nome è Rabbì, alleluia!
La domanda che la folla rivolge al Signore Gesù rivela come la gente avverta la necessità della sua presenza:
«Rabbì, quando sei venuto qua?» (Gv 6,25).
Quando poniamo a qualcuno domande di questo tipo non facciamo che manifestare – tra le righe del nostro discorso – quanto abbiamo bisogno di questa presenza per vivere meglio, per sentirci più vivi e per avvertire quel conforto di cui abbiamo bisogno. Quello che avviene dopo la moltiplicazione e la condivisione dei pani e dei pesci è una sorta di inseguimento, tanto che «Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao alla ricerca di Gesù». Questa ricerca non è assolutamente vana perché «Lo trovarono al di là del mare» (6,24-25). Questo rincorrersi un po’ ci stupisce… sia da parte della folla, sia da parte del Signore Gesù che sembra giocare a nascondino. Il motivo di tutto questo movimento può essere colto come un simbolo della preoccupazione, da parte del Signore, che la gente sfamata con i pani e i pesci, tanto da essere rinfrancata e rafforzata da questo cibo, non si accomodi ma, al contrario, si metta in cammino; non si fermi nella sua ricerca, ma la porti avanti con passione e decisione.
Il nome con cui la gente indica il Signore è «Rabbì»! E il Signore come maestro si fa seguire fino a farsi inseguire, per obbligare ciascuno a fare un lungo e necessario percorso per verificare se e fino a che punto questa ricerca e questa devozione discepolare siano autentiche. Alla fine di questo lungo capitolo, il risultato più significativo sarà proprio la constatazione che, se tutti hanno mangiato, non tutti si aprono alla fede sapendone assumere tutte le esigenze connesse. Nel gran movimento di barche - tra gente che salpa e gente che approda - si inserisce la parola esigente del Signore: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati». Questo ha una conseguenza assai chiara, che fa la differenza:
«Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà» (Gv 6,26-27).
Potremmo tradurre tutto questo come una provocazione da parte del Signore: “se mi volete come rabbì, dovete imparare a essere docili e non semplicemente grati”.
La figura di «Stefano, pieno di grazia e di potenza» (At 6,8) diventa così icona del discepolo autentico che si fa in tutto conforme, non solo agli insegnamenti del maestro, ma soprattutto al suo stile e al suo modello di vita. Il segno di questa intima docilità, che si fa conformazione nella vita e nella morte, è la condivisione della stessa sorte che crea lo stesso atteggiamento di rifiuto: «Lo abbiamo udito pronunciare parole blasfeme contro Mosè e contro Dio» (6,11). In realtà, Stefano non ha mai detto – come del resto il suo Signore e Maestro – nessuna parola blasfema, ma ha messo in crisi quel sistema di controllo e di potere che è l’unica vera blasfemia, perché è il risultato dell’idolatria di se stessi.
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