Il verbo dimostrare traduce il greco ἐλέγχω (elenchō). I suoi principali significati sono:
- “convincere qualcuno di qualcosa”;
- “illuminare o esporre qualcosa”
- “correggere o punire qualcuno.”
La terza possibilità sembra indicare, in questo contesto, il significato meno appropriato, dal momento che Gesù non sta parlando di punizione. Il significato più ampiamente accolto è quello di un'opera di convincimento interiore, da parte del Paraclito, in modo che il mondo si accorga del suo errore e se ne possa anche pentire. Tuttavia, il verbo ἐλέγχω non implica necessariamente la conversione dei costumi da parte della parte accusata. Ciò significa che lo Spirito può limitarsi a mostrare l'accusa, ma non aspettarsi il gesto della conversione.
Una conferma di questa interpretazione la possiamo vedere in Gv 14,17, dove il mondo non può ricevere il Paraclito e in Gv 3,20, dove chi compie il male rifiuta di venire alla luce, perché altrimenti le sue opere verrebbero manifestate per quello che realmente sono. In sintesi l'opera dello Spirito non è quella di provare la colpa, ma l'errore, affinché poi uno nella libertà possa rendersene conto e pentirsene, in vista di un cambiamento di vita.
Commento alla Liturgia
Martedì della VI settimana di Pasqua
Prima lettura
At 16,22-34
22La folla allora insorse contro di loro e i magistrati, fatti strappare loro i vestiti, ordinarono di bastonarli 23e, dopo averli caricati di colpi, li gettarono in carcere e ordinarono al carceriere di fare buona guardia. 24Egli, ricevuto quest'ordine, li gettò nella parte più interna del carcere e assicurò i loro piedi ai ceppi. 25Verso mezzanotte Paolo e Sila, in preghiera, cantavano inni a Dio, mentre i prigionieri stavano ad ascoltarli. 26D'improvviso venne un terremoto così forte che furono scosse le fondamenta della prigione; subito si aprirono tutte le porte e caddero le catene di tutti. 27Il carceriere si svegliò e, vedendo aperte le porte del carcere, tirò fuori la spada e stava per uccidersi, pensando che i prigionieri fossero fuggiti. 28Ma Paolo gridò forte: "Non farti del male, siamo tutti qui". 29Quello allora chiese un lume, si precipitò dentro e tremando cadde ai piedi di Paolo e Sila; 30poi li condusse fuori e disse: "Signori, che cosa devo fare per essere salvato?". 31Risposero: "Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia". 32E proclamarono la parola del Signore a lui e a tutti quelli della sua casa. 33Egli li prese con sé, a quell'ora della notte, ne lavò le piaghe e subito fu battezzato lui con tutti i suoi; 34poi li fece salire in casa, apparecchiò la tavola e fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per avere creduto in Dio.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 137(138)
R. La tua destra mi salva, Signore.
Oppure:
R. Signore, il tuo amore è per sempre.
Oppure:
R. Alleluia, alleluia, alleluia.
Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:
hai ascoltato le parole della mia bocca.
Non agli dèi, ma a te voglio cantare,
mi prostro verso il tuo tempio santo. R.
Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà:
hai reso la tua promessa più grande del tuo nome.
Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto,
hai accresciuto in me la forza. R.
La tua destra mi salva.
Il Signore farà tutto per me.
Signore, il tuo amore è per sempre:
non abbandonare l’opera delle tue mani. R.
Vangelo
Gv 16,5-11
5Ora però vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: "Dove vai?". 6Anzi, perché vi ho detto questo, la tristezza ha riempito il vostro cuore. 7Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi. 8E quando sarà venuto, dimostrerà la colpa del mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. 9Riguardo al peccato, perché non credono in me; 10riguardo alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; 11riguardo al giudizio, perché il principe di questo mondo è già condannato.
Note
Approfondimenti
Il verbo dimostrare traduce il greco ἐλέγχω (elenchō). I suoi principali significati sono:
La terza possibilità sembra indicare, in questo contesto, il significato meno appropriato, dal momento che Gesù non sta parlando di punizione. Il significato più ampiamente accolto è quello di un'opera di convincimento interiore, da parte del Paraclito, in modo che il mondo si accorga del suo errore e se ne possa anche pentire. Tuttavia, il verbo ἐλέγχω non implica necessariamente la conversione dei costumi da parte della parte accusata. Ciò significa che lo Spirito può limitarsi a mostrare l'accusa, ma non aspettarsi il gesto della conversione.
Una conferma di questa interpretazione la possiamo vedere in Gv 14,17, dove il mondo non può ricevere il Paraclito e in Gv 3,20, dove chi compie il male rifiuta di venire alla luce, perché altrimenti le sue opere verrebbero manifestate per quello che realmente sono. In sintesi l'opera dello Spirito non è quella di provare la colpa, ma l'errore, affinché poi uno nella libertà possa rendersene conto e pentirsene, in vista di un cambiamento di vita.
Bene per noi
I discepoli non sembravano affatto contenti della notizia. Ma il Maestro non si lascia turbare e non modifica i suoi progetti. Anzi, si mette persino a tessere l’elogio di quel prossimo, amaro addio.
«È bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi» (Gv 16,7).
Il Signore non ha avuto timore di indicare il miglior bene ai suoi amici, per quanto potesse immaginare quali sentimenti nei loro cuori si agitassero. Ci sono delle distanze tra la nostra debolezza e la forza di Dio che, spesso, ci rendono tristi, eppure sono foriere di vita e gioia. Talvolta, quando è ormai venuto il momento per noi di crescere nell’esperienza e nell’accoglienza dello Spirito, ci sembra di subire una perdita. Abbiamo l’impressione di sanguinare. Poi, scopriamo che il vuoto innanzi a noi è, in realtà, uno spazio percorribile. Anzi, è proprio lo spazio di dignità della nostra vita chiamata a donarsi pienamente. Quella sera il Signore ha dichiarato ai suoi amici che anche loro erano pronti a diventare dimora del suo stesso Spirito, della sua forza per scegliere, decidere, amare. Che era giunto il momento di diventare cristiani — altri cristi — chiamati a percorrere le medesime strade di libertà solcate e calcate dal Maestro. Gli Atti degli Apostoli ci raccontano di quando un momento di prigionia si è trasformato in libertà, attraverso la potenza della lode al Dio vivo e risorto.
Verso mezzanotte Paolo e Sila, in preghiera, cantavano inni a Dio, mentre i prigionieri stavano ad ascoltarli. D’improvviso venne un terremoto così forte che furono scosse le fondamenta della prigione; subito si aprirono tutte le porte e caddero le catene di tutti (At 16,25-26).
Questo improvviso mutamento non si trasforma nell’occasione di fuggire subito dalla scomoda situazione in cui gli apostoli si trovano. Il carcere ormai privo di catene e lucchetti non incute più timore a chi porta nel cuore un canto di salvezza. Il terremoto suscitato dalla preghiera non è tanto l’abolizione delle situazioni che ci opprimono, ma la creazione di una profonda libertà dentro di esse. Quando il male perde le sue fondamenta, noi scopriamo di poter trarre profitto anche dalle paralisi e dai vicoli ciechi, che si mutano in occasioni di salvezza per noi e per gli altri, momenti pieni di gioia per il semplice fatto di «aver creduto in Dio» (16,34).
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