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Letteralmente, il testo suona “essendoci un conflitto/un dissenso… non piccolo”: il sostantivo stàsis (στάσις) indica negli Atti un conflitto di opinione oppure una sommossa, in ogni caso una turbolenza. Etimologicamente, il termine evoca la posizione in piedi (dal verbo ìstēmi, stare, nelle sue molteplici sfumature di senso): nel tribunale ebraico antico, la persona giudicata si alza in piedi per presentare richieste o accuse.
Con i termini “taglia”, “pota”, “puri”, assistiamo in greco a un gioco di parole, fatto di verbi composti e di assonanze: àirō (αἴρω), nel senso di “togliere via, eliminare”; kathàirō (καθαίρω), qui nel senso di “rimuovere il superfluo”, ma ha anche il significato di “pulire”; katharòs (καθαρός), che vuol dire genericamente “pulito” ma anche moralmente puro, cioè libero dal peccato. Sembra di poter essere puri per il solo ascolto di una Parola (lògon) e allo stesso tempo liberi di usare la parola, che così manifesta una sorprendente efficacia (cf. v. 7, hrēma).
Con i termini “taglia”, “pota”, “puri”, assistiamo in greco a un gioco di parole, fatto di verbi composti e di assonanze: àirō (αἴρω), nel senso di “togliere via, eliminare”; kathàirō (καθαίρω), qui nel senso di “rimuovere il superfluo”, ma ha anche il significato di “pulire”; katharòs (καθαρός), che vuol dire genericamente “pulito” ma anche moralmente puro, cioè libero dal peccato. Sembra di poter essere puri per il solo ascolto di una Parola (lògon) e allo stesso tempo liberi di usare la parola, che così manifesta una sorprendente efficacia (cf. v. 7, hrēma).
Con i termini “taglia”, “pota”, “puri”, assistiamo in greco a un gioco di parole, fatto di verbi composti e di assonanze: àirō (αἴρω), nel senso di “togliere via, eliminare”; kathàirō (καθαίρω), qui nel senso di “rimuovere il superfluo”, ma ha anche il significato di “pulire”; katharòs (καθαρός), che vuol dire genericamente “pulito” ma anche moralmente puro, cioè libero dal peccato. Sembra di poter essere puri per il solo ascolto di una Parola (lògon) e allo stesso tempo liberi di usare la parola, che così manifesta una sorprendente efficacia (cf. v. 7, hrēma).
Commento alla Liturgia
Mercoledì della V settimana di Pasqua
Prima lettura
At 15,1-6
1Ora alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: "Se non vi fate circoncidere secondo l'usanza di Mosè, non potete essere salvati". 2Poiché Paolo e Bàrnaba dissentivano e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Bàrnaba e alcuni altri di loro salissero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione. 3Essi dunque, provveduti del necessario dalla Chiesa, attraversarono la Fenicia e la Samaria, raccontando la conversione dei pagani e suscitando grande gioia in tutti i fratelli. 4Giunti poi a Gerusalemme, furono ricevuti dalla Chiesa, dagli apostoli e dagli anziani, e riferirono quali grandi cose Dio aveva compiuto per mezzo loro. 5Ma si alzarono alcuni della setta dei farisei, che erano diventati credenti, affermando: "È necessario circonciderli e ordinare loro di osservare la legge di Mosè". 6Allora si riunirono gli apostoli e gli anziani per esaminare questo problema.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 121(122)
R. Andremo con gioia alla casa del Signore.
Oppure:
R. Alleluia, alleluia, alleluia.
Quale gioia, quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore!».
Già sono fermi i nostri piedi
alle tue porte, Gerusalemme! R.
Gerusalemme è costruita
come città salda e compatta.
È là che salgono le tribù,
le tribù del Signore. R.
Là sono posti i troni del giudizio,
i troni della casa di Davide.
Chiedete pace per Gerusalemme:
vivano sicuri quelli che ti amano. R.
Vangelo
Gv 15,1-8
1"Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.
Note
Approfondimenti
La vite (ampelos, ἄμπελος), insieme all’ulivo, fa parte della vegetazione della terra di Canaan e per il suo intrinseco valore assume nella Scrittura un forte significato simbolico: viene menzionata subito dopo il diluvio come indizio di vita nuova (Gen 9,20), e come primo frutto che gli Israeliti trovano al momento dell’ingresso nella terra promessa (Nm 13,23).
È anche immagine della Sapienza (Sir, 24,17) e metafora della sposa (Sal 128, 3; Ez 19,10; Ct 7,9-10; 8,12). La metafora della sposa viene applicata al rapporto tra Dio e Israele, la sposa che YHWH ha trapiantato dall’Egitto (Sal 80,9 e soprattutto gli scritti profetici, a cominciare da Os 10,1).
Nella stessa accezione simbolica la vigna compare spesso anche nei vangeli sinottici. Nel quarto vangelo, essa è applicata a Cristo, che si definisce “la vite, quella vera”. Non vi è alcuna contrapposizione tra Gesù – la vita autentica – e Israele – la vigna piantata e amata da Dio ma infedele – anzi la continuità tra la vigna Israele e la vite Cristo è confermata dal fatto che entrambe hanno il medesimo agricoltore: il Padre.
Esaminare
Il libro degli Atti costituisce una preziosa memoria per i discepoli del Risorto, perché impedisce di pensare all’esperienza di comunione ecclesiale al di fuori e al di là delle esigenze di profonde e libere relazioni. Il ritaglio narrativo assunto dalla liturgia odierna ricorda che
«Paolo e Bàrnaba dissentivano e discutevano animatamente contro» (At 15,2)
coloro che, in Giudea, dopo la Pasqua, continuavano a imporre l’osservanza della Torah per poter ottenere il dono della salvezza: «Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati» (15,1). Dissentire e discutere sono verbi fondamentali per costruire una comunione che non sia fondata su affinità elettive o su equilibri opportunistici. Anzi, sono i segni necessari che attestano come l’equilibrio dei rapporti interni alla chiesa si possa aprire al «rischio» della fraternità evangelica, senza concedere alcuno sconto né alle diverse personalità che la compongono, né all’unicità del dono di amore e di libertà garantito a tutti dalla Pasqua di Cristo. Quando il conflitto è portato alla luce ed è vissuto nel respiro – necessariamente grande – dello Spirito Santo, le diverse sensibilità del corpo di Cristo non vengono annullate, ma sono soltanto purificate ed esaltate, in vista della comunione e della testimonianza al vangelo.
Il punto di sospensione a cui approda il racconto degli Atti è da leggere, pertanto, non come un momento di debolezza della vita ecclesiale, ma come una tappa di squisito realismo nei confronti della realtà, dove l’espansione e l’approfondimento delle relazioni fraterne impongono a ciascuno di verificare con cura le proprie abitudini e le personali intenzioni:
«Allora si riunirono gli apostoli e gli anziani per esaminare questo problema» (At 15,6).
Considerare i problemi e le tensioni che si scatenano all’esterno come occasione per esaminare diligentemente le proprie convinzioni non è mai né facile né scontato. Anzi, proprio in questi passaggi ciascuno (di noi) tende a presentare come certo e indubitabile il proprio modo di vedere le cose, senza concedere generoso ascolto a quello dell’altro. È del tutto logico aspettarsi che «alcuni della setta dei farisei, che erano diventati credenti», non riescano ad aprirsi immediatamente alla novità evangelica, in cui le categorie di purità cultuale ed esistenziale sono totalmente ridefinite dall’incarnazione del Verbo di Dio:
«Voi siete già puri a causa della parola che vi ho annunciato» (Gv 15,3).
Ma è altrettanto ragionevole non provare a imporre agli altri la propria sensibilità, nemmeno quando si fa fatica a comprendere e a condividere la diversa o maggior apertura presente in un altro modo di concepire il rapporto con Dio e con la realtà: «È necessario circonciderli e ordinare loro di osservare la legge di Mosè» (At 15,5).
Tutto questo richiede un’incessante disponibilità da parte di ciascuno a lasciarsi purificare il cuore attraverso la terapia della circoncisione, di cui il segno nella carne era solo figura del più profondo e doloroso taglio interiore, indispensabile per entrare nello spazio di una vita di comunione fraterna in relazione all’unico Padre:
«Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto» (Gv 15,2).
La relazione, gioiosa o sofferta, che viviamo come «tralci» innestati sulla vera «vite» (15,5), sotto la premurosa custodia del divino «agricoltore» (15,1), merita e necessita di essere discussa, esaminata ed esposta al dolore del dissenso attraverso il percorso della storia, per essere sempre più autentica e feconda. E per diventare sempre più un riflesso di quella paternità di Dio che fa germogliare nella chiesa e nel mondo i frutti dell’amore più grande:
«In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli» (Gv 15,8).
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