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L’epiteto kardiognōstēs (καρδιογνώστης) è un neologismo lucano e compare solo qui e in At 1,24. Esprime l’insistenza teologica sull’accesso di Dio alla verità intima di ogni essere umano, un tema ampiamente conosciuto dall’Antico Testamento, soprattutto dai Salmi (cf. Sal 17, 44, 94, 139).
Dal verbo exēgeomai (ἐξηγέομαι) deriva “esegesi”, termine tecnico applicato alla spiegazione delle Scritture, che qualifica anche la lettura cristologica dell’Antico Testamento enunciata da Cristo ai pellegrini di Emmaus prima che lo riconoscessero (Lc 24,35). Si tratta di un verbo tipico di Luca, che significa “esporre, spiegare, raccontare”.
Il testo greco recita “Dio ha visitato le nazioni per prendere un popolo”: il verbo visitare (episkèptomai, ἐπισκέπτομαι) traduce il verbo ebraico pâqad, che indica la venuta di Dio nel suo popolo, per il suo bene o per il suo male. In Luca si applica alla visita messianica, come qui, in cui l’effetto è benefico: prendere un popolo “per il suo nome”, formulazione semitica indicante “che gli appartiene”.
Con la metafora della tenda, il profeta Amos citato in questi versetti non annuncia più la rinascita di Gerusalemme, ma l’avvento di un popolo universale adoratore del Dio di Gesù Cristo. È un testo fondamentale per l’ecclesiologia degli Atti: la conversione di non giudei a Cristo realizza la promessa dell’universalità della salvezza fatta in passato al popolo ebraico. Dunque, i pagani convertiti non sono un’entità accanto a Israele né al posto di Israele: la loro venuta corrisponde alla restaurazione davidica annunciata dal profeta. Insieme ai giudeo cristiani costituiscono l’Israele escatologico.
Il sostantivo pornèia (πορνεία) indica l’impurità, l’immoralità, la dissolutezza. Nel linguaggio biblico, copre tutte le relazioni sessuali illegittime. Poichè le immagini sessuali sono state utilizzate dai profeti come metafora della fedeltà all’alleanza, pornèia è stata applicata anche all’idolatria, considerata come prostituzione agli dèi stranieri.
Il divieto di consumare sangue (haima, αἷμα) è costante nella pratica ebraica e fissato dai codici del Levitico e del Deuteronomio. La chiave è l’associazione del sangue e della vita. Ma la perdita di sangue può essere compresa anche come effusione del sangue nel senso di omicidio. In questo senso, il divieto non riguarderebbe la consumazione di carni non private del sangue, ma l’attentato alla vita altrui.
Commento alla Liturgia
Giovedì della V settimana di Pasqua
Prima lettura
At 15,7-21
7Sorta una grande discussione, Pietro si alzò e disse loro: "Fratelli, voi sapete che, già da molto tempo, Dio in mezzo a voi ha scelto che per bocca mia le nazioni ascoltino la parola del Vangelo e vengano alla fede. 8E Dio, che conosce i cuori, ha dato testimonianza in loro favore, concedendo anche a loro lo Spirito Santo, come a noi; 9e non ha fatto alcuna discriminazione tra noi e loro, purificando i loro cuori con la fede. 10Ora dunque, perché tentate Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri né noi siamo stati in grado di portare? 11Noi invece crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati, così come loro". 12Tutta l'assemblea tacque e stettero ad ascoltare Bàrnaba e Paolo che riferivano quali grandi segni e prodigi Dio aveva compiuto tra le nazioni per mezzo loro. 13Quando essi ebbero finito di parlare, Giacomo prese la parola e disse: "Fratelli, ascoltatemi. 14Simone ha riferito come fin da principio Dio ha voluto scegliere dalle genti un popolo per il suo nome. 15Con questo si accordano le parole dei profeti, come sta scritto: 16Dopo queste cose ritornerò e riedificherò la tenda di Davide, che era caduta; ne riedificherò le rovine e la rialzerò, 17perché cerchino il Signore anche gli altri uomini e tutte le genti sulle quali è stato invocato il mio nome, dice il Signore, che fa queste cose, 18note da sempre. 19Per questo io ritengo che non si debbano importunare quelli che dalle nazioni si convertono a Dio, 20ma solo che si ordini loro di astenersi dalla contaminazione con gli idoli, dalle unioni illegittime, dagli animali soffocati e dal sangue. 21Fin dai tempi antichi, infatti, Mosè ha chi lo predica in ogni città, poiché viene letto ogni sabato nelle sinagoghe".
Salmo Responsoriale
Dal Sal 95(96)
R. Annunciate a tutti i popoli le meraviglie del Signore.
Oppure:
R. Alleluia, alleluia, alleluia.
Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
Cantate al Signore, benedite il suo nome. R.
Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie. R.
Dite tra le genti: «Il Signore regna!».
È stabile il mondo, non potrà vacillare!
Egli giudica i popoli con rettitudine. R.
Vangelo
Gv 15,9-11
9Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Note
Approfondimenti
Il dativo tē pìstei (τῇ πίστει) può essere interpretato in due modi:
Questo termine evidenzia un paradosso: le nazioni, non più Israele, vengono dichiarate “popolo (laòs, λαός) per il suo nome”. Luca usa questo termine più di ogni altro autore del Nuovo Testamento (84 occorrenze in Lc-At su 142 totali nel Nuovo Testamento), e lo usa nel significato teologico di appartenenza a Dio, quasi esclusivamente per indicare Israele come popolo eletto. Con due eccezioni: qui e in 18,10, dove la definizione del laòs si apre alle dimensioni del mondo: le nazioni condividono la dignità di popolo eletto con Israele, partner storico dell’alleanza.
Inoltre, l’assenza di articolo definito davanti a laòs induce l’idea che questo popolo nuovo non rimpiazza semplicemente l’antico, ma ne costituisce la continuità e il compimento.
Rimanere
Gli Atti degli apostoli ci raccontano il delicato epilogo della prima lunga discussione che la Chiesa ha dovuto affrontare quando i pagani hanno iniziato a convertirsi al vangelo, diventando membri di una comunità fino a quel momento esclusivamente giudaica. L’esito di quel drammatico ma indispensabile confronto resta un’acquisizione fondamentale per la fede cristiana, che ci ricorda qual è, in fondo, l’unica vera condizione per essere in comunione con Dio e in pace con i fratelli: rimanere in ascolto della parola di Gesù, più che fedeli a tutte le prescrizioni derivanti dalla Legge di Mosè. L’apostolo Giacomo adopera tutta la sua autorità per dichiarare ciò che lo Spirito sta inequivocabilmente lasciando intendere:
«Io ritengo che non si debbano importunare quelli che dalle nazioni si convertono a Dio, ma solo che si ordini loro di astenersi dalla contaminazione con gli idoli, dalle unioni illegittime, dagli animali soffocati e dal sangue» (At 15,19-20).
Per giungere a questa “formulazione dogmatica” per la vita della Chiesa, gli apostoli sono dovuti giungere prima a una certa sincerità con se stessi, spogliandosi di quelle illusioni a cui ogni vita religiosa non può che esporre:
«Ora dunque, perché tentate Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri né noi siamo stati in grado di portare? Noi invece crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati, così come loro» (At 15,10-11).
Non è per nulla scontato avere un cuore libero e pacificato che rinuncia a chiedere agli altri quello che non si è (più) capaci di pretendere nemmeno da se stessi. Occorre essere passati attraverso la distruzione di ogni falsa immagine di sé e aver accettato di poter restare in un rapporto con Dio fondato sulla fedeltà del suo amore e non sulla logica dei meriti (e dei sensi di colpa). Gesù non sembra voler comunicare nient’altro che questo tipo di libertà, quando propone ai discepoli di non fare altro se non rimanere uniti a lui:
«Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore» (Gv 15,10).
Rimanere è un verbo statico e povero, eppure è l’atteggiamento più necessario da assumere di fronte a un Dio che ha già fatto tutto quello che ci serviva per essere salvati dal peccato e dalla morte. Tutti noi, con molta facilità, preferiamo invece darci da fare e affannarci, alla ricerca di indizi, conferme, segni di stima e di fiducia. Arriviamo persino a elemosinare anche solo un sorriso, una piccola attenzione nei nostri confronti, accettando mezze misure e compromessi pur di stringere tra le mani una caparra di affetto, il calore fugace di una carezza. Ci dimentichiamo che, donando la sua vita per noi, il Signore ha voluto assicurare al nostro cuore la certezza di un affetto fedele e appassionato:
«Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,9).
Per rimanere in questa relazione d’amore è necessario — ma non sufficiente — dimorare quotidianamente nelle parole, nelle preghiere, nella liturgia della Chiesa, dove il vangelo di Dio è celebrato, vissuto e testimoniato. È altrettanto imprescindibile guardare con interesse e sincera apertura verso il mondo, per essere pronti — e disposti — a riconoscere con quanta fantasia e quanto amore lo Spirito del risorto riesce a suscitare ovunque e comunque la fede nelle meraviglie operate dal Signore:
«E Dio, che conosce i cuori, ha dato testimonianza in loro favore, concedendo anche a loro lo Spirito Santo, come a noi; e non ha fatto alcuna discriminazione tra noi e loro, purificando i loro cuori con la fede» (At 15,8-9).
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