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Il tempo della promessa di risurrezione di questi versetti, accompagnata da una gioia duratura, viene precisato non più in termini di “ora” (hōra, ὥρα), associata al momento della fine, della tristezza, della prova, ma in termini di “giorno” (hēmèra, ἡμέρα) escatologico, che è il tempo dello Spirito in cui i discepoli non avranno più bisogno di chiedere perché sarà lo Spirito a operare in loro e a comunicare una gioia compiuta.
Commento alla Liturgia
Sabato della VI settimana di Pasqua
Prima lettura
At 18,23-28
23Trascorso là un po' di tempo, partì: percorreva di seguito la regione della Galazia e la Frìgia, confermando tutti i discepoli. 24Arrivò a Èfeso un Giudeo, di nome Apollo, nativo di Alessandria, uomo colto, esperto nelle Scritture. 25Questi era stato istruito nella via del Signore e, con animo ispirato, parlava e insegnava con accuratezza ciò che si riferiva a Gesù, sebbene conoscesse soltanto il battesimo di Giovanni. 26Egli cominciò a parlare con franchezza nella sinagoga. Priscilla e Aquila lo ascoltarono, poi lo presero con sé e gli esposero con maggiore accuratezza la via di Dio. 27Poiché egli desiderava passare in Acaia, i fratelli lo incoraggiarono e scrissero ai discepoli di fargli buona accoglienza. Giunto là, fu molto utile a quelli che, per opera della grazia, erano divenuti credenti. 28Confutava infatti vigorosamente i Giudei, dimostrando pubblicamente attraverso le Scritture che Gesù è il Cristo.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 46(47)
R. Dio è re di tutta la terra.
Oppure:
R. Alleluia, alleluia, alleluia.
Popoli tutti, battete le mani!
Acclamate Dio con grida di gioia,
perché terribile è il Signore, l'Altissimo,
grande re su tutta la terra. R.
Perché Dio è re di tutta la terra,
cantate inni con arte.
Dio regna sulle genti,
Dio siede sul suo trono santo. R.
I capi dei popoli si sono raccolti
come il popolo del Dio di Abramo.
Sì, a Dio appartengono i poteri della terra;
egli è eccelso. R.
Vangelo
Gv 16,23b-28
23Quel giorno non mi domanderete più nulla. In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. 24Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena. 25Queste cose ve le ho dette in modo velato, ma viene l'ora in cui non vi parlerò più in modo velato e apertamente vi parlerò del Padre. 26In quel giorno chiederete nel mio nome e non vi dico che pregherò il Padre per voi: 27il Padre stesso infatti vi ama, perché voi avete amato me e avete creduto che io sono uscito da Dio. 28Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre".
Note
Il tuo nome è Franchezza, alleluia!
A giudicare da ciò che avviene nella sinagoga di Efeso, possiamo dire che non basta la «franchezza» (At 18,26), che non è neppure sufficiente conoscere ed esporre le cose con «accuratezza» (18,25), ma è necessaria una «maggiore accuratezza» nel conoscere e nell’annunciare «la via di Dio» (18,26). Eppure, dal punto di vista delle capacità intellettuali, non c’è dubbio che «Apollo, nativo di Alessandria, uomo colto, esperto nelle Scritture» (18,24), abbia una preparazione intellettuale e una capacità espositiva ben più spiccata di quanta ne potessero avere i coniugi Priscilla e Aquila, che sappiamo essere dei «fabbricatori di tende» (18,3). Eppure, vi è un livello di comprensione del Vangelo e una capacità di farsene testimoni e annunciatori, che va ben aldilà della preparazione e delle capacità intellettuali. Che queste siano utili e necessarie alla comprensione e all’annuncio del mistero di Cristo è indubbio, nondimeno bisogna essere sempre molto vigilanti nel non trasformare l’annuncio del Vangelo in una semplice dottrina, per quanto elaborata e convincente.
Di Priscilla e Aquila gli Atti degli Apostoli ci fanno intuire una storia ben diversa da quella di Apollo. Questi viene da un ambiente raffinato e colto come Alessandria, ma sembra essere più un accademico che un uomo della strada, e per questo, meno adatto a parlare con l’«accuratezza» e «franchezza» intellettuali, come pure a partire da un’esperienza di vita formatasi non solo attraverso l’apprendimento di teorie, bensì forgiata alla scuola della vita, che spesso è una scuola di dolore. Priscilla e Aquila, dal canto loro, sono degli artigiani e, prima di tutto, sono degli esuli che si ritrovano in Asia dopo essere stati scacciati da Roma. La loro esperienza del Vangelo è passata – sarebbe meglio dire che è stata triturata - nel crogiolo di una sofferenza che permette loro «maggiore accuratezza» sia nella comprensione del mistero di Cristo che nel suo annuncio.
Tutto ciò ci fa comprendere meglio la lunga catechesi che il Signore fa ai suoi discepoli durante la cena pasquale, alla vigilia della sua passione. In essa non vengono trasmessi dei semplici per quanto fondamentali concetti, né delle verità astratte, ma viene comunicata la duplice esperienza di intimità di Gesù con il Padre e il dramma del rifiuto, da parte del mondo, della sua testimonianza di amore. Una promessa ci prepara alla solennità dell’Ascensione:
«Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena» (Gv 16,24).
E cosa mai possiamo chiedere se non di essere sempre più inseriti nella stessa vita di Dio, che non è una sapienza, ma una vera esperienza? La nostra preghiera si fa oggi non solo insistente, ma anche concorde: chiediamo al Signore la grazia e la gioia di poter imparare sempre di più, e sempre meglio, il mistero della nostra vita alla luce del mistero pasquale. In questo lavoro di intelligenza del cuore, non bastano le conoscenze intellettuali e le convinzioni accademiche, ma è necessario saper leggere insieme nel libro dell’esperienza, per trovarvi la traccia del passaggio della grazia.
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