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Il verbo sumplēroō (συμπληρόω) compare nel Nuovo Testamento solo sotto la penna di Luca e significa “riempire interamente, compiere”. La stessa formula è usata in Lc 9,51, al momento cruciale della salita di Gesù a Gerusalemme: questo particolare indica che l’intento del narratore, con questo termine, è porre un segno di cesura, la fine di un’attesa e l’inizio di un nuovo periodo.
La costruzione epì tò autò (ἐπὶ τὸ αὐτό), che letteralmente significa “sulla stessa cosa”, ha un sapore biblico: nella Settanta traduce infatti l’ebraico yahad (insieme), utilizzato nei Salmi come avverbio della vita comunitaria. Il gruppo di credenti è riunito intorno ai dodici apostoli che, fra il tempo di Gesù e il tempo della Chiesa, sono i garanti della continuità.
Il verbo sugcheō (συγχέω), “gettare nella confusione”, è lo stesso verbo usato, nella traduzione di Gen 11,9 da parte della Settanta, per indicare la confusione delle lingue provocata da Dio nell’episodio della torre di Babele. Nel Nuovo Testamento, solo Luca lo usa.
Il “come”, pōs (πῶς), non riguarda la modalità, ma l’origine di questa sorprendente capacità di comprendersi, che trascende i limiti e raggiunge ognuno nella sua cultura nativa.
Il verbo odēghèō (ὁδηγέω) contiene il sostantivo “hodòs, via” e può essere tradotto con “farà camminare”. Rimandando a Gesù, il Figlio, che è la “via” (cf. 14,6), qui è lo Spirito di Gesù (lo Spirito della verità che è Gesù) diventa il cammino.
Questo è un punto controverso per gli interpreti. Letteralmente, l’espressione en tē alēthèia (ἐν τῇ ἀληθείᾳ πάσῃ) significa “in” tutta la verità, nel senso che la verità non è una mèta da raggiungere ma una vita già in parte donata. Tuttavia lo Spirito ne darà piena intelligenza.
Il verbo anaggèllō (ἀναγγέλλω) assume, nella Bibbia greca, il significato di “svelare il senso nascosto di una visione, di un mistero”. In questo senso, ripreso dal Quarto Vangelo, spiega come lo Spirito “introdurrà alla verità tutta intera”: dopo la rivelazione definitiva avvenuta con Cristo, che è già la verità, verrà il tempo dell’interpretazione, in cui questa rivelazione sarà spiegata dallo Spirito. Questo verbo ricorre solo 3 volte nel Vangelo di Giovanni (qui e in 4,25, 5,15) e vuole esprimere l’appropriazione, da parte dei discepoli, delle “cose” dello Spirito. Per questo una buona traduzione è “comunicare”.
Il verbo anaggèllō (ἀναγγέλλω) assume, nella Bibbia greca, il significato di “svelare il senso nascosto di una visione, di un mistero”. In questo senso, ripreso dal Quarto Vangelo, spiega come lo Spirito “introdurrà alla verità tutta intera”: dopo la rivelazione definitiva avvenuta con Cristo, che è già la verità, verrà il tempo dell’interpretazione, in cui questa rivelazione sarà spiegata dallo Spirito. Questo verbo ricorre solo 3 volte nel Vangelo di Giovanni (qui e in 4,25, 5,15) e vuole esprimere l’appropriazione, da parte dei discepoli, delle “cose” dello Spirito. Per questo una buona traduzione è “comunicare”.
Il verbo anaggèllō (ἀναγγέλλω) assume, nella Bibbia greca, il significato di “svelare il senso nascosto di una visione, di un mistero”. In questo senso, ripreso dal Quarto Vangelo, spiega come lo Spirito “introdurrà alla verità tutta intera”: dopo la rivelazione definitiva avvenuta con Cristo, che è già la verità, verrà il tempo dell’interpretazione, in cui questa rivelazione sarà spiegata dallo Spirito. Questo verbo ricorre solo 3 volte nel Vangelo di Giovanni (qui e in 4,25, 5,15) e vuole esprimere l’appropriazione, da parte dei discepoli, delle “cose” dello Spirito. Per questo una buona traduzione è “comunicare”.
Commento alla Liturgia
Pentecoste
Prima lettura
At 2,1-11
1Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. 2Venne all'improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. 3Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, 4e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. 5Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. 6A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. 7Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: "Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? 8E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? 9Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, 10della Frìgia e della Panfìlia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, 11Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio".
Salmo Responsoriale
Dal Sal 103(104)
R. Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra.
Oppure:
R. Alleluia, alleluia, alleluia.
Benedici il Signore, anima mia!
Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
Quante sono le tue opere, Signore!
Le hai fatte tutte con saggezza;
la terra è piena delle tue creature. R.
Togli loro il respiro: muoiono,
e ritornano nella loro polvere.
Mandi il tuo spirito, sono creati,
e rinnovi la faccia della terra. R.
Sia per sempre la gloria del Signore;
gioisca il Signore delle sue opere.
A lui sia gradito il mio canto,
io gioirò nel Signore. R.
Seconda Lettura
Gal 5,16-25
16Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. 17La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. 18Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. 19Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, 20idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, 21invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. 22Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; 23contro queste cose non c'è Legge. 24Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. 25Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito.
Vangelo
Gv 15,26-27.16,12-15
26Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; 27e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. 12Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.
Note
Approfondimenti
Luca costruisce intorno al termine glōssa (γλῶσσα) una colta polisemia, indicando al tempo stesso la lingua di fuoco e il linguaggio e tessendo un gioco sottile tra totalità e individuazione: tutti sono toccati ma la lingua si posa “su ciascuno”, conferendo a ciascuno un’identità particolare, legata a un dono proprio, ma non separato dagli altri.
Luca redige questo testo in stile biblico (imitatio) riprendendo la Settanta quando descrivere la teofania di Dio al Sinai e il dono della Legge, che sarebbe stata proclamata nelle lingue dei 70 popoli del mondo. L’uso di questo vocabolario indica che Luca propone in quella teofania fondatrice il codice interpretativo della prima Pentecoste della Chiesa conservando, della festa ebraica della Pentecoste (shavuot o festa delle Settimane), l’idea di un’alleanza fondatrice.
Da notare che At 2 non annulla Gen 11: la pluralità delle lingue di Babele è annunciata come una decisione di Dio come freno a ogni ideologia totalitaria, a ogni pensiero unico. La Pentecoste non ripristina un linguaggio unico ma invita a discernere l’unità nell’irriducibile pluralità delle lingue.
Luca costruisce intorno al termine glōssa (γλῶσσα) una colta polisemia, indicando al tempo stesso la lingua di fuoco e il linguaggio e tessendo un gioco sottile tra totalità e individuazione: tutti sono toccati ma la lingua si posa “su ciascuno”, conferendo a ciascuno un’identità particolare, legata a un dono proprio, ma non separato dagli altri.
Luca redige questo testo in stile biblico (imitatio) riprendendo la Settanta quando descrivere la teofania di Dio al Sinai e il dono della Legge, che sarebbe stata proclamata nelle lingue dei 70 popoli del mondo. L’uso di questo vocabolario indica che Luca propone in quella teofania fondatrice il codice interpretativo della prima Pentecoste della Chiesa conservando, della festa ebraica della Pentecoste (shavuot o festa delle Settimane), l’idea di un’alleanza fondatrice.
Da notare che At 2 non annulla Gen 11: la pluralità delle lingue di Babele è annunciata come una decisione di Dio come freno a ogni ideologia totalitaria, a ogni pensiero unico. La Pentecoste non ripristina un linguaggio unico ma invita a discernere l’unità nell’irriducibile pluralità delle lingue.
Luca costruisce intorno al termine glōssa (γλῶσσα) una colta polisemia, indicando al tempo stesso la lingua di fuoco e il linguaggio e tessendo un gioco sottile tra totalità e individuazione: tutti sono toccati ma la lingua si posa “su ciascuno”, conferendo a ciascuno un’identità particolare, legata a un dono proprio, ma non separato dagli altri.
Luca redige questo testo in stile biblico (imitatio) riprendendo la Settanta quando descrivere la teofania di Dio al Sinai e il dono della Legge, che sarebbe stata proclamata nelle lingue dei 70 popoli del mondo. L’uso di questo vocabolario indica che Luca propone in quella teofania fondatrice il codice interpretativo della prima Pentecoste della Chiesa conservando, della festa ebraica della Pentecoste (shavuot o festa delle Settimane), l’idea di un’alleanza fondatrice.
Da notare che At 2 non annulla Gen 11: la pluralità delle lingue di Babele è annunciata come una decisione di Dio come freno a ogni ideologia totalitaria, a ogni pensiero unico. La Pentecoste non ripristina un linguaggio unico ma invita a discernere l’unità nell’irriducibile pluralità delle lingue.
Il tuo nome è Desiderio, alleluia!
Il dono dello Spirito porta a pienezza i doni pasquali e, al contempo, apre il tempo di un desiderio di compimento che fa di ogni giorno una piccola e irrinunciabile tappa verso una pienezza che è già totalmente ricevuta ma che è anche da ricevere e da impetrare ogni giorno. Per questo l’apostolo esorta con forza:
«Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito» (Gal 5,25).
Come ricordava Agostino, il desiderio si amplia con il suo protrarsi, perché l’attesa invece di spegnere non fa che approfondire il desiderio e la passione interiore di portare a compimento i piccoli passi di conversione che ogni giorno cerchiamo di compiere. Questo ci viene assicurato solennemente dalla parola di Gesù, il quale ci rassicura:
«lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità» (Gv 16,13).
Me è lo stesso Signore Gesù che, con misericordia materna, ci consola del fatto che egli conosce la debolezza delle nostre spalle, tanto da sapere quanto e come non siamo «capaci di portarne il peso» (16,12).
Come ricorda Ireneo di Lione: «Ecco perché questa rugiada ci è necessaria, perché non siamo sfiniti e resi sterili e perché là dove abbiamo un Accusatore (Ap 12,10), abbiamo anche un Consolatore. Poiché il Signore ha affidato allo Spirito Santo l'uomo, il suo bene, che era caduto nelle mani dei briganti (Lc 10,30). Il Signore “ha avuto compassione di lui, gli ha fasciato le ferite”; ha dato “due denari” (v. 35) con l'immagine del re affinché, dopo aver ricevuto dallo Spirito “l'immagine e l'iscrizione” (Lc 20,23) del Padre e del Figlio, facessimo fruttare questo denaro che ci è stato affidato e lo restituissimo al Signore moltiplicato (cf Mt 25,14s)». Il tempo che ancora ci è dato è per trafficare il dono che abbiamo ricevuto, rendendolo così fonte di grazia per noi stessi e per tutti gli altri, proprio come avviene davanti al Cenacolo, dove il silenzio e la paura si tramutano in condivisione coraggiosa e serena di una parola che ricrea la speranza di non temersi più gli uni gli altri, ma di riconoscersi in una fraternità che si estende lontano: «… Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio» (At 2,11).
In realtà, la grande opera di Dio siamo noi stessi come creature lavorate, animate e continuamente rinnovate dalla forza dello Spirito, che fa maturare in noi i frutti che servono non solo a nutrire la nostra speranza, ma pure quella di tutti:
«amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22).
La conseguenza di questa maturazione interiore è un senso di libertà inimmaginato e impagabile: «contro queste cose non c’è Legge» (5,23). La libertà è, infatti, quel dono che ci viene direttamente da Dio, mentre persino il dono del nostro stesso corpo è mediato dai meccanismi della natura. Il dono dello Spirito rinnova e radicalizza la presenza divina nel cuore di ogni uomo e donna e, in questo modo, trasforma le nostre relazioni rendendo possibile due cose essenziali: sentirsi figli, riconoscersi fratelli. Ci può essere un desiderio più grande? Si può chiedere un dono più grande?
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