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Il verbo eleèō (ἐλεέω) è di uso piuttosto raro in Marco: se ne trova una sola altra occorrenza in 5,19, dove Gesù lo riferisce a come Dio ha avuto compassione dell’indemoniato. È un verbo che appartiene al linguaggio tecnico della preghiera, ai salmi e alla liturgia. Qui, nell’incontro con la pietà di Gesù, Bartimeo sperimenta la salvezza, non solo la guarigione.
Il verbo eleèō (ἐλεέω) è di uso piuttosto raro in Marco: se ne trova una sola altra occorrenza in 5,19, dove Gesù lo riferisce a come Dio ha avuto compassione dell’indemoniato. È un verbo che appartiene al linguaggio tecnico della preghiera, ai salmi e alla liturgia. Qui, nell’incontro con la pietà di Gesù, Bartimeo sperimenta la salvezza, non solo la guarigione.
Il verbo apobàllō (ἀποβάλλω) esprime il gesto con cui il cieco “abbandona” il suo mantello per correre da Gesù che lo chiama, atteggiamento tipico del discepolo perfetto che per seguire Gesù lascia tutto. Gettare via il mantello, inoltre, richiama questa totalità riferendola alla Legge di Mosè, secondo la quale il mantello è la sola ricchezza del povero (Es 22,25-26).
Letteralmente, il verbo anablèpō (ἀναβλέπω) significa “alzare lo sguardo”, ma qui assume il senso di “acquistare la vista” o “tornare a vedere”, “vedere di nuovo”. Implica quindi che il cieco chieda e ottenga di recuperare una funzione che nel passato deve avere avuto e poi perso. La risposta di Gesù lascia intendere che è la fede a permettergli di vedere veramente. Il vedere, poi, nei capitoli centrali del Vangelo di Marco (8-10) coincide con il comprendere l’identità di Gesù, primo passo della sequela.
Letteralmente, il verbo anablèpō (ἀναβλέπω) significa “alzare lo sguardo”, ma qui assume il senso di “acquistare la vista” o “tornare a vedere”, “vedere di nuovo”. Implica quindi che il cieco chieda e ottenga di recuperare una funzione che nel passato deve avere avuto e poi perso. La risposta di Gesù lascia intendere che è la fede a permettergli di vedere veramente. Il vedere, poi, nei capitoli centrali del Vangelo di Marco (8-10) coincide con il comprendere l’identità di Gesù, primo passo della sequela.
Commento alla Liturgia
Giovedì della VIII settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Sir 42,15-26
15Ricorderò ora le opere del Signore e descriverò quello che ho visto. Per le parole del Signore sussistono le sue opere, e il suo giudizio si compie secondo il suo volere. 16Il sole che risplende vede tutto, della gloria del Signore sono piene le sue opere. 17Neppure ai santi del Signore è dato di narrare tutte le sue meraviglie, che il Signore, l'Onnipotente, ha stabilito perché l'universo stesse saldo nella sua gloria. 18Egli scruta l'abisso e il cuore, e penetra tutti i loro segreti. L'Altissimo conosce tutta la scienza e osserva i segni dei tempi, 19annunciando le cose passate e future e svelando le tracce di quelle nascoste. 20Nessun pensiero gli sfugge, neppure una parola gli è nascosta. 21Ha disposto con ordine le meraviglie della sua sapienza, egli solo è da sempre e per sempre: nulla gli è aggiunto e nulla gli è tolto, non ha bisogno di alcun consigliere. 22Quanto sono amabili tutte le sue opere! E appena una scintilla se ne può osservare. 23Tutte queste cose hanno vita e resteranno per sempre per tutte le necessità, e tutte gli obbediscono. 24Tutte le cose sono a due a due, una di fronte all'altra, egli non ha fatto nulla d'incompleto. 25L'una conferma i pregi dell'altra: chi si sazierà di contemplare la sua gloria?
Salmo Responsoriale
Dal Sal 32(33)
R. Dalla parola del Signore furono fatti i cieli.
Lodate il Signore con la cetra,
con l’arpa a dieci corde a lui cantate.
Cantate al Signore un canto nuovo,
con arte suonate la cetra e acclamate. R.
Perché retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
Egli ama la giustizia e il diritto;
dell’amore del Signore è piena la terra. R.
Dalla parola del Signore furono fatti i cieli,
dal soffio della sua bocca ogni loro schiera.
Come in un otre raccoglie le acque del mare,
chiude in riserve gli abissi. R.
Tema il Signore tutta la terra,
tremino davanti a lui gli abitanti del mondo,
perché egli parlò e tutto fu creato,
comandò e tutto fu compiuto. R.
Vangelo
Mc 10,46-52
46E giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. 47Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!". 48Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!". 49Gesù si fermò e disse: "Chiamatelo!". Chiamarono il cieco, dicendogli: "Coraggio! Àlzati, ti chiama!". 50Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. 51Allora Gesù gli disse: "Che cosa vuoi che io faccia per te?". E il cieco gli rispose: "Rabbunì, che io veda di nuovo!". 52E Gesù gli disse: "Va', la tua fede ti ha salvato". E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
Note
Esattezza
La domanda di Bartimeo è interamente accolta e la sua preghiera completamente esaudita dal Signore Gesù. Alla domanda del Signore Gesù, il cieco risponde con sincerità ed esattezza:
«Rabbunì, che io veda di nuovo!» (Mc 10,51).
La risposta del Signore, più che un miracolo, non è altro che una constatazione liberante in cui il Maestro non fa nessun gesto, come avviene in altri casi, ma è come se riconsegnasse quest’uomo a se stesso: «Va’, la tua fede ti ha salvato». La conclusione è quanto mai semplice, ma altamente significativa: «E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada» (10,52). Con questo racconto, che chiude la prima parte del Vangelo di Marco portando a un livello di particolare chiarezza il magistero e l’esperienza del discepolato, l’evangelista è come se ci rimandasse a noi stessi e alla nostra piena responsabilità di sapere quello di cui manchiamo, chiedere al Signore di aiutarci a ritrovarlo «di nuovo» e rimetterci in cammino con una cresciuta consapevolezza. Con la sua risposta, il Signore Gesù sembra dire a questo cieco e a ciascuno di noi che egli non può fare per noi se non quello che noi vogliamo, con tutte le nostre forze e l’esattezza del nostro desiderio, veramente per noi stessi.
La prima lettura esordisce con delle parole che starebbero benissimo sulla bocca di Bartimèo:
«Ricorderò ora le opere del Signore e descriverò quello che ho visto» (Sir 42,15).
Il tempo della cecità, che può segnare anche il nostro cammino, deve diventare un momento propizio per vedere le cose dal di dentro, al fine di diventare capaci di guardare le cose di sempre con uno sguardo radicalmente «nuovo». La sapienza antica ci ricorda che «Tutte le cose sono a due a due, una di fronte all’altra, egli non ha fatto nulla d’incompleto» (42,24). Talora proprio la costrizione a guardarci dentro, essendoci preclusa la possibilità di guardare troppo fuori di noi, può diventare una tappa importante del nostro cammino di salvezza, che ci rimette così «lungo la strada» (Mc 10,52).
Bartimeo è cieco, però se non altro sa di esserlo: i discepoli credono di vedere, eppure non colgono l’identità del loro Maestro; sono ciechi e non lo sanno! Anche se non vede – forse proprio perché non vede – Bartimeo sa chi è chi lo chiama, in un modo che i discepoli ancora non hanno intuito: «Figlio di Davide». Gesù è il Messia, ma un Messia che si riconosce e si accoglie solo “di nuovo”, in continuità e in rottura con le attese di sempre. Bertimeo riconosce Gesù, ma conosce anche se stesso, tanto da dire in verità: «Abbi pietà di me», e questo fa sentire tutta la differenza dalla richiesta di Giacomo e Giovanni di avere un posto nella gloria del Messia, seguita dal mormorio di tutti gli altri dieci! Bartimeo cieco capisce dove porta la strada del Signore Gesù e, per questo, intuisce che può chiedere di essere aiutato così da poter esserci, forse, a Gerusalemme, quando tutti, proprio tutti, non esclusi gli apostoli, saranno accecati dalla cattiveria o dalla paura.
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