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L’effetto paradossale della repressione è quello di creare una diaspora cristiana e diaspèirō (διασπείρω), che significa disseminare, è il verbo della diaspora. Qui si profila il tema molto lucano del fallimento provvidenziale: la persecuzione si trasforma in benedizione, perché la diaspora intraprende un’evangelizzazione.
Letteralmente, “annunciando il Signore Gesù” (tòn kurion Iēsoun, τὸν κύριον Ἰησοῦν): Luca ha scelto una formula tipica degli ellenisti. Si tratta del credo più sintetico della cristianità ellenistica. Che attribuisce a Gesù la signoria escludendo ogni altro potere (cf Rm 10,9: Gesù è il Signore).
Una traduzione più fedele al testo è “con l’intenzione del cuore”: il termine utilizzato, infatti, cioè pròthesis (πρόθεσις) assume, in questo passaggio e in pochissimi altri nel Nuovo Testamento, il significato antropologico di “intenzione, disegno, volontà”, mentre altrimenti esprime la volontà di Dio. Il cuore qui non rappresenta i sentimenti, ma riveste il significato ebraico di sede della decisione.
Il verbo chrēmatìzō (χρηματίζω) ha come significato proprio “fare affari” (da chrēmata: i beni). Nel Nuovo Testamento può significare “dare un’istruzione”, con Dio come autore (cf. Lc 2.26). Ma a partire dal II sec. a.C. ha assunto il significato particolare di “prendere/portare un nome, essere chiamato in questo o quel modo”, come in questo versetto. L’attribuzione di un nome specifico alla comunità segnala che è ormai distinta dalla sinagoga e che il numero dei suoi membri è sufficientemente elevato per considerarla un’entità. Nell’opera di Luca, questo nome ritorna solo in 26,28, il che indica chiaramente che non è stata un’auto-designazione da parte dei cristiani.
Il Padre mette le pecore nella mano del Figlio senza cessare di tenerle nella sua, perché la mano indica qui la potenza, comune al Padre e al Figlio. In linea con la Torah, i testi sapienziali e gli scritti profetici, anche Giovanni con il termine cheir (χείρ) sembra indicare Dio stesso come distinto da Dio. La sua mano è intesa come la sua provvidenza, il suo disegno.
Il Padre mette le pecore nella mano del Figlio senza cessare di tenerle nella sua, perché la mano indica qui la potenza, comune al Padre e al Figlio. In linea con la Torah, i testi sapienziali e gli scritti profetici, anche Giovanni con il termine cheir (χείρ) sembra indicare Dio stesso come distinto da Dio. La sua mano è intesa come la sua provvidenza, il suo disegno.
Non si tratta di un’affermazione di uguaglianza: Gesù, che riceve tutto dal Padre suo, può essere “uno (ἕν) con lui” solo restituendogli tutto ciò che da lui riceve. Inoltre, si esprime qui l’unità dell’uomo e di Dio nel linguaggio, nella parola personale – pienamente umana e pienamente divina – di Gesù che, dicendo “io”, rimanda al Prologo, al Verbo incarnato del Dio vivente.
Commento alla Liturgia
Martedì della IV settimana di Pasqua
Prima lettura
At 11,19-26
19Intanto quelli che si erano dispersi a causa della persecuzione scoppiata a motivo di Stefano erano arrivati fino alla Fenicia, a Cipro e ad Antiòchia e non proclamavano la Parola a nessuno fuorché ai Giudei. 20Ma alcuni di loro, gente di Cipro e di Cirene, giunti ad Antiòchia, cominciarono a parlare anche ai Greci, annunciando che Gesù è il Signore. 21E la mano del Signore era con loro e così un grande numero credette e si convertì al Signore. 22Questa notizia giunse agli orecchi della Chiesa di Gerusalemme, e mandarono Bàrnaba ad Antiòchia. 23Quando questi giunse e vide la grazia di Dio, si rallegrò ed esortava tutti a restare, con cuore risoluto, fedeli al Signore, 24da uomo virtuoso qual era e pieno di Spirito Santo e di fede. E una folla considerevole fu aggiunta al Signore. 25Bàrnaba poi partì alla volta di Tarso per cercare Saulo: 26lo trovò e lo condusse ad Antiòchia. Rimasero insieme un anno intero in quella Chiesa e istruirono molta gente. Ad Antiòchia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 86(87)
R. Genti tutte, lodate il Signore.
Oppure:
R. Alleluia, alleluia, alleluia.
Sui monti santi egli l'ha fondata;
il Signore ama le porte di Sion
più di tutte le dimore di Giacobbe.
Di te si dicono cose gloriose,
città di Dio! R.
Iscriverò Raab e Babilonia
fra quelli che mi riconoscono;
ecco Filistea, Tiro ed Etiopia:
là costui è nato.
Si dirà di Sion:
«L'uno e l'altro in essa sono nati
e lui, l'Altissimo, la mantiene salda». R.
Il Signore registrerà nel libro dei popoli:
«Là costui è nato».
E danzando canteranno:
«Sono in te tutte le mie sorgenti». R.
Vangelo
Gv 10,22-30
22Ricorreva allora a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. 23Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. 24Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: "Fino a quando ci terrai nell'incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente". 25Gesù rispose loro: "Ve l'ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. 26Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. 27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola".
Note
Relazione salvifica
«Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente».
Sarebbe interessante capire in che senso i Giudei del vangelo di oggi intendano certezza e chiarezza. Se per avere una certezza o ricercare la chiarezza vogliono qualcosa che spenga completamente le loro domande, allora rimarranno delusi, perché Dio sa rispondere alle nostre domande senza cancellarle. È questo per la Sua capacità di lasciarci liberi e di fidarsi della nostra capacità di discernimento:
“Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore»”.
Ecco allora svelato il segreto: il vero discernimento ci viene dall’essere suoi. Solo quando sentiamo un forte senso di appartenenza a Gesù allora riusciamo anche a capire in mezzo alla confusione della vita ciò che è certo e affidabile da ciò che non lo è:
“Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre”.
Sarebbe bello domandarci in che modo noi sentiamo questo senso di appartenenza nei confronti di Gesù. E soprattutto se ci è chiaro che la nostra chiamata è vivere la nostra relazione con Cristo esattamente come Egli vive la Sua relazione con il Padre.
“Io e il Padre siamo una cosa sola”.
Solo quando ci faremo una cosa sola con Cristo allora non avremo più bisogno di essere rassicurati e di trovare certezze alla maniera dei Giudei, perché ciò che conta lo avremo non come spiegazione, ne come emozione, ma come relazione su cui fondare tutta la nostra vita. Infatti Gesù sulla Croce non ha un’idea geniale che lo sostiene, ne tanto meno un apparato emotivo che lo motiva, sente invece la lontananza da Dio. Eppure contro ogni ragionamento ed emozione Egli non rompe il Suo rapporto con il Padre.
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