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Il verbo raro anaskeuàzō (ἀνασκευάζω), unica occorrenza nel Nuovo Testamento, indica un’azione destabilizzante, che disfa ciò che è stato costruito.
Ricompare qui l’avverbio lucano homothumadòn (ὁμοθυμαδόν), frequente all’inizio degli Atti per indicare l’esemplare unanimità della comunità. Composto da homòs (ὁμός) ‘uno, stesso, comune’, e da thumòs (θυμός), ‘sentire, desiderio, passione’, si può tradurre con “di un solo cuore, unanimemente, di uno stesso accordo”. L’ecumenismo lucano non nasconde le divergenze, ma fa emergere la stessa azione salvifica di Dio. L’unità non è la riduzione a una parola unica, ma l’ancoraggio delle differenze in una fonte unica.
Il verbo diatērèō (διατηρέω), che significa “guardarsi da, preservarsi da” ma anche “fare tesoro, custodire”, ricorre nel contesto della fedeltà all’alleanza e ai suoi comandamenti, in particolare nel Pentateuco ma anche nel libro della Sapienza. L’argomento è basato sulla reciprocità: chi si astiene si troverà bene.
Il riferimento all’elezione può essere considerato il centro di questo discorso di Gesù. Si riallaccia a 13,18 “io conosco quelli che ho scelto”, riferito a Giuda che sta per consegnare Gesù. Il verbo eklègomai (ἐκλέγομαι) è utilizzato in senso forte, senza specificare “da dove” (ek, ἐκ) Gesù vada a scegliersi i suoi. Bisogna comprenderlo nello sfondo dell’alleanza e del comandamento dell’amore reciproco ripreso dal Libro del Levitico (19,18): “amerai il tuo prossimo come te stesso” diventa “come io ho amato voi”.
Ultima delle 11 occorrenze del verbo mènō (μένω) nei primi 17 versetti di Gv 15, è significativa perché manifesta il dinamismo e l’esito di questo atteggiamento di perseveranza dei discepoli: dallo “stare attaccato” dei tralci alla vite si passa al “custodire, osservare” l’amore e i comandamenti del Padre, si arriva ad affermare che ciò che deve rimanere, ossia continuare a vivere, è il frutto. Dunque, la sequela richiede di “rimanere” in una intimità personale con il Signore, ma anche di “partire, andarsene”: è dentro questa apparente contraddizione che il discepolo può portare frutto.
Commento alla Liturgia
Venerdì della V settimana di Pasqua
Prima lettura
At 15,22-31
22Agli apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve bene allora di scegliere alcuni di loro e di inviarli ad Antiòchia insieme a Paolo e Bàrnaba: Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, uomini di grande autorità tra i fratelli. 23E inviarono tramite loro questo scritto: "Gli apostoli e gli anziani, vostri fratelli, ai fratelli di Antiòchia, di Siria e di Cilìcia, che provengono dai pagani, salute! 24Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi. 25Ci è parso bene perciò, tutti d'accordo, di scegliere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Bàrnaba e Paolo, 26uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del nostro Signore Gesù Cristo. 27Abbiamo dunque mandato Giuda e Sila, che vi riferiranno anch'essi, a voce, queste stesse cose. 28È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: 29astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose. State bene!". 30Quelli allora si congedarono e scesero ad Antiòchia; riunita l'assemblea, consegnarono la lettera. 31Quando l'ebbero letta, si rallegrarono per l'incoraggiamento che infondeva.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 56(57)
R. Ti loderò fra i popoli, Signore.
Oppure:
R. Alleluia, alleluia, alleluia.
Saldo è il mio cuore, o Dio,
saldo è il mio cuore.
Voglio cantare, voglio inneggiare:
svégliati, mio cuore,
svegliatevi arpa e cetra,
voglio svegliare l'aurora. R.
Ti loderò fra i popoli, Signore,
a te canterò inni fra le nazioni:
grande fino ai cieli è il tuo amore
e fino alle nubi la tua fedeltà.
Innàlzati sopra il cielo, o Dio,
su tutta la terra la tua gloria. R.
Vangelo
Gv 15,12-17
12Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. 13Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. 14Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. 15Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi. 16Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.
Note
Amare fino a dare la vita
Se dovessimo fare estrema sintesi di tutti gli insegnamenti di Cristo, nel Vangelo di oggi troviamo il condensato più significativo:
“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”.
Amare come Gesù ci ama. Amare fino a dare la vita. Sono queste le coordinate di ogni programma di santità cristiana. Essere infatti suoi discepoli significa perfezionarsi nell’arte di amare. Ma anche il mondo predica un vago amore, e molte volte sotto la scusa dell’amore giustifica anche le cose più assurde e meno buone. Infatti non basta dire di amare per dire di essere dalla parte giusta, ma bisogna amare “come” Gesù ha amato. Ecco perché tante volte leggiamo nella cronaca di omicidi di donne ammazzate per mano dei loro mariti, compagni o fidanzati che si giustificano dicendo che lo hanno fatto perché le amavano troppo, fino alla gelosia o al possesso. O di donne che arrivano persino a rovinare la vita di un uomo accecate da una sorta di amore senza più nessuna logica. Se chiamiamo amore questo genere di cose ci troviamo ancora nella logica del mondo. Il Vangelo ci insegna che l’unico amore degno di questo nome è l’amore che dà la vita, e non l’amore che se la prende. L’amore vero è dono non possesso. È bene, non semplice piacere. È saper perdere, non voler vincere a tutti i costi. Questo tipo di amore è il vero amore e noi ne abbiamo fatto esperienza in Cristo Gesù. Il dono della fede è il dono di aver conosciuto un amore così. Questo tipo di consapevolezza ci ha riscattati da una logica servile e ci ha fatti diventare protagonisti:
“Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi”.
Questo comandamento che ci ha donato il Signore è l’unico comandamento che osservandolo produce libertà non soggezione:
“Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri”.
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