www.nellaparola.it
Letteralmente, il verbo exanìstēmi (ἐξανίστημι) significa “far alzare, risuscitare”: contiene infatti la stessa radice di anàstasis, risurrezione. Un’allusione non casuale in questo passo in cui i sadducei, per opporsi alla risurrezione, si basano sulla Torah di Mosè di cui il versetto 19 è una citazione. Parlano di “risurrezione”, ma solo in seguito alla morte e in relazione all’esistenza terrena, mentre Gesù ne parla subito dopo come esperienza della “potenza di Dio” ancora prima della morte.
Come definire “viventi” i patriarchi morti molti secoli prima di Mosè? In che modo è autorevole la Torah sulla risurrezione? Il centro dell’argomentazione è Dio stesso: un Dio vivente e fedele, che si nomina con il nome dei suoi amici – Abramo, Isacco, Giacobbe – che per lui sono ancora vivi, tanto che a essi associa il proprio nome. Vi è risurrezione perché Dio mantiene la sua alleanza con i suoi amici oltre la morte.
Commento alla Liturgia
Mercoledì della IX settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Tb 3,1-11a.16-17a
1Con l'animo affranto dal dolore, sospirai e piansi. Poi iniziai questa preghiera di lamento: 2"Tu sei giusto, Signore, e giuste sono tutte le tue opere. Ogni tua via è misericordia e verità. Tu sei il giudice del mondo. 3Ora, Signore, ricòrdati di me e guardami. Non punirmi per i miei peccati e per gli errori miei e dei miei padri. 4Violando i tuoi comandamenti, abbiamo peccato davanti a te. Ci hai consegnato al saccheggio; ci hai abbandonato alla prigionia, alla morte e ad essere la favola, lo scherno, il disprezzo di tutte le genti, tra le quali ci hai dispersi. 5Ora, quando mi tratti secondo le colpe mie e dei miei padri, veri sono tutti i tuoi giudizi, perché non abbiamo osservato i tuoi comandamenti, camminando davanti a te nella verità. 6Agisci pure ora come meglio ti piace; da' ordine che venga presa la mia vita, in modo che io sia tolto dalla terra e divenga terra, poiché per me è preferibile la morte alla vita. Gli insulti bugiardi che mi tocca sentire destano in me grande dolore. Signore, comanda che sia liberato da questa prova; fa' che io parta verso la dimora eterna. Signore, non distogliere da me il tuo volto. Per me infatti è meglio morire che vedermi davanti questa grande angoscia, e così non sentirmi più insultare!". 7Nello stesso giorno a Sara, figlia di Raguele, abitante di Ecbàtana, nella Media, capitò di sentirsi insultare da parte di una serva di suo padre, 8poiché lei era stata data in moglie a sette uomini, ma Asmodeo, il cattivo demonio, glieli aveva uccisi, prima che potessero unirsi con lei come si fa con le mogli. A lei appunto disse la serva: "Sei proprio tu che uccidi i tuoi mariti. Ecco, sei già stata data a sette mariti e neppure di uno hai potuto portare il nome. 9Perché vorresti colpire noi, se i tuoi mariti sono morti? Vattene con loro e che da te non dobbiamo mai vedere né figlio né figlia". 10In quel giorno dunque ella soffrì molto, pianse e salì nella stanza del padre con l'intenzione di impiccarsi. Ma, tornando a riflettere, pensava: "Che non insultino mio padre e non gli dicano: "La sola figlia che avevi, a te assai cara, si è impiccata per le sue sventure". Così farei precipitare con angoscia la vecchiaia di mio padre negli inferi. Meglio per me che non mi impicchi, ma supplichi il Signore di farmi morire per non sentire più insulti nella mia vita". 11In quel momento stese le mani verso la finestra e pregò: "Benedetto sei tu, Dio misericordioso, e benedetto è il tuo nome nei secoli. Ti benedicano tutte le tue opere per sempre. 16In quel medesimo momento la preghiera di ambedue fu accolta davanti alla gloria di Dio 17e fu mandato Raffaele a guarire tutti e due: a togliere le macchie bianche dagli occhi di Tobi, perché con gli occhi vedesse la luce di Dio, e a dare Sara, figlia di Raguele, in sposa a Tobia, figlio di Tobi, e così scacciare da lei il cattivo demonio Asmodeo. Di diritto, infatti, spettava a Tobia prenderla in sposa, prima che a tutti gli altri pretendenti. Proprio allora Tobi rientrava in casa dal cortile e Sara, figlia di Raguele, stava scendendo dalla camera.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 24(25)
R. A te, Signore, io mi rivolgo, in te confido.
Mio Dio, in te confido:
che io non resti deluso!
Non trionfino su di me i miei nemici!
Chiunque in te spera non resti deluso. R.
Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza. R.
Ricòrdati, Signore, della tua misericordia
e del tuo amore, che è da sempre.
Ricòrdati di me nella tua misericordia,
per la tua bontà, Signore. R.
Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia,
insegna ai poveri la sua via. R.
Vangelo
Mc 12,18-27
18Vennero da lui alcuni sadducei - i quali dicono che non c'è risurrezione - e lo interrogavano dicendo: 19"Maestro, Mosè ci ha lasciato scritto che, se muore il fratello di qualcuno e lascia la moglie senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. 20C'erano sette fratelli: il primo prese moglie, morì e non lasciò discendenza. 21Allora la prese il secondo e morì senza lasciare discendenza; e il terzo ugualmente, 22e nessuno dei sette lasciò discendenza. Alla fine, dopo tutti, morì anche la donna. 23Alla risurrezione, quando risorgeranno, di quale di loro sarà moglie? Poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie". 24Rispose loro Gesù: "Non è forse per questo che siete in errore, perché non conoscete le Scritture né la potenza di Dio? 25Quando risorgeranno dai morti, infatti, non prenderanno né moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli. 26Riguardo al fatto che i morti risorgono, non avete letto nel libro di Mosè, nel racconto del roveto, come Dio gli parlò dicendo: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe ? 27Non è Dio dei morti, ma dei viventi! Voi siete in grave errore".
Note
Errore grave
Un tempo, sui banchi di scuola, il rosso e il blu non erano simboli della divino-umanità di Cristo, ma delle due diverse possibilità di errore in cui si poteva cadere: più o meno grave. Anche nella vita spirituale esiste la possibilità di scrivere pagine di vita contrassegnate da piccoli e grandi errori. Nel vangelo di oggi, il Signore Gesù non esita a utilizzare la penna blu – quella riservata agli sbagli più importanti – per rispondere alle oziose congetture dei sadducei, uomini religiosi piuttosto scettici circa la possibilità di una vita oltre la morte, che lo interrogano più per metterlo alla prova che per conoscere le profondità del suo insegnamento. Inventando, a tavolino, il caso di una donna che sposa sette mariti lasciandoli tutti morti «senza figli» (Mc 12,19) e, quindi, senza alcuna «discendenza» (12,21), i sadducei pongono a Gesù questa domanda:
«Alla risurrezione, quando risorgeranno, di quale di loro sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie» (Mc 12,23).
Chissà se nella memoria di questi sadducei c’era il ricordo di Sara, che nel libro di Tobia vive esattamente questa parabola di morte e di sterilità nella sua vita, come la serva di suo padre gli fa notare:
«Sei proprio tu che uccidi i tuoi mariti. Ecco, sei già stata data a sette mariti e neppure di uno hai potuto portare il nome» (Tb 3,8).
Di certo il loro modo di accostarsi, non solo a Gesù, ma al dramma della sofferenza rivela una fede ridotta ormai a fredda e arida speculazione teologica, in cui i luoghi dell’esperienza umana diventano solo un pretesto per parlare senza coinvolgersi con la realtà. Proprio per questo la risurrezione è ai loro occhi soltanto un «tema» teologico di cui disquisire e non un modo di essere in relazione con la vita di Dio, che è già eterna ancora prima dell’evento della morte:
«Riguardo al fatto che i morti risorgono, non avete mai letto nel libro di Mosè, nel racconto del roveto, come Dio gli parlò dicendo: “Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe”? Non è Dio dei morti, ma dei viventi! Voi siete in grave errore» (Mc 12,26-27).
Molto diverso è il rapporto che Tobi e Sara stabiliscono con Dio, a partire dalle circostanze drammatiche che stanno avvolgendo come una spirale i loro giorni. Il primo ha l’animo affranto dal dolore a causa di una cecità contratta all’improvviso e, pertanto, prega con queste parole:
«Signore, comanda che sia liberato da questa prova; fa’ che io parta verso la dimora eterna» (Tb 3,6).
La seconda, triste fino alla morte e divorata dal senso di colpa, decide addirittura di dare gloria a Dio togliendosi da se stessa la vita:
«In quel giorno dunque ella soffrì molto, pianse e salì nella stanza del padre con l’intenzione di impiccarsi» (Tb 3,10).
La relazione con Dio, anche quando è sofferta e offerta con parole non del tutto convenienti, che invocano la morte al posto della vita, è sempre l’occasione di rinunciare a concepirsi soli, ma sempre in ricezione nei confronti della vita e del suo autore. L’unico errore grave, in cui non dovremmo cadere mai, è quello di pensare che il tempo e lo spazio per coltivare questa relazione non esistano più a causa di quello che siamo o ci troviamo a vivere.
Le preghiere e i gesti di queste due persone, umiliate e sofferenti, diventano parola di Dio per noi e ci ricordano che esiste un solo modo per conoscere Dio e colui che egli ha inviato per rivelare al mondo il suo volto e donare il suo Spirito: accostarsi a lui e interrogarlo non per curiosità, ma a partire da quella irriducibile sete di vita che resta sempre in noi, anche nelle più difficili circostanze. Se la semplice curiosità può lasciarlo — giustamente — indifferente e reticente, Dio non può certo rimanere insensibile di fronte al grido di gioia o di lamento della nostra piccola, meravigliosa umanità, che ai suoi occhi possiede i tratti del volto del suo Figlio, nel quale anche noi siamo ormai figli. Amati e pieni di dolce speranza:
«Ricordati, Signore, della tua misericordia e del tuo amore che è da sempre» (Sal 24,6).
Cerca nei commenti