Commento alla Liturgia

Martedì della X settimana di Tempo Ordinario

Prima lettura

2Cor 1,18-22

18Dio è testimone che la nostra parola verso di voi non è "sì" e "no". 19Il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che abbiamo annunciato tra voi, io, Silvano e Timòteo, non fu "sì" e "no", ma in lui vi fu il "sì". 20Infatti tutte le promesse di Dio in lui sono "sì". Per questo attraverso di lui sale a Dio il nostro "Amen" per la sua gloria. 21È Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo e ci ha conferito l'unzione, 22ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori.

Salmo Responsoriale

Dal Sal 118(119)

R. Risplenda su di noi la luce del tuo volto, Signore.

Meravigliosi sono i tuoi insegnamenti:
per questo li custodisco.
La rivelazione delle tue parole illumina,
dona intelligenza ai semplici. R.

Apro anelante la mia bocca,
perché ho sete dei tuoi comandi.
Volgiti a me e abbi pietà,
con il giudizio che riservi a chi ama il tuo nome. R.

Rendi saldi i miei passi secondo la tua promessa
e non permettere che mi domini alcun male.
Fa’ risplendere il tuo volto sul tuo servo
e insegnami i tuoi decreti. R.

Vangelo

Mt 5,13-16

13Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. 14Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, 15né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. 16Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.

Commento alla Liturgia

Roberto Pasolini

È una Parola semplice quella che ci viene oggi consegnata dalle Scritture della liturgia. Una Parola chiara, che ha la pretesa di purificare il nostro cuore dagli inutili affanni e liberarlo dalle ingiuste preoccupazioni. Scrivendo ai cristiani di Corinto, san Paolo afferma che nella vita del Signore Gesù ha prevalso un solo orientamento di apertura alla vita e alla volontà del Padre:

«Il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che abbiamo annunciato tra voi, io, Silvano e Timòteo, non fu “sì” e “no”, ma in lui vi fu il “sì”» (2Cor 1,19).

Non deve sembrare banale, una simile affermazione, in cui è racchiusa tutta la sovversiva potenza del vangelo, cioè la sua forza di scardinare nel cuore dell’uomo ogni inutile – anzi dannoso – sistema religioso, strutturato sulla paura di Dio, anziché sul suo santo timore. Con troppa, estrema facilità la nostra vita cristiana torna ad assumere la forma di un impreciso, ma fitto, elenco di cose da non fare e di altre, invece, che ci tocca compiere, magari senza troppo slancio, attingendo alla riserva delle nostre residue forze.
Il richiamo dell’apostolo diventa un vero squillo di tromba al nostro cuore, tentato di ripiegare su una modalità religiosa sbiadita e mediocre, dove si oscilla continuamente e confusamente tra il «sì» e il «no». Si tratta di accogliere la fede nel Signore Gesù come un’autorizzazione a poter scegliere sempre quanto di meglio le situazioni ci offrono la possibilità di donare, in qualsiasi ambito la nostra vita sia chiamata a spendersi in relazione a quella degli altri. Naturalmente ogni «sì» si può reggere solo sulla capacità di dire anche «no» a tutto ciò che è contrario al bene e al vero: ingiustizia, violenza, mezzi illeciti che nessun fine può giustificare, potere, egoismo. Ma tutto ciò è solo il rovescio di una medaglia dove è la scelta di vita a determinare l’immagine e il prezzo di un modo di assumere la realtà sempre a partire da quello che c’è, mai da quello che manca.
Non è per nulla facile mantenere questo sguardo, capace di cogliere in tutte le cose un’occasione e una possibile espansione di vita, soprattutto quando le situazioni volgono al peggio. A causa della paura, che ci tiene schiavi per tutta la vita, e delle insicurezze, che mortificano la nostra creatività, diffidiamo delle occasioni e trascorriamo tanti nostri giorni limitandoci a evitare il male, anziché scegliendo e promuovendo tutto il bene (sempre) possibile. L’apostolo aggiunge anche un’altra tessera importante al mosaico della sua riflessione:

«In realtà tutte le promesse di Dio in lui sono “sì”» (2Cor 1,20).

L’amore del Signore, che si è compiuto nella Pasqua e si consegna a noi nel dono e nella logica dell’eucaristia, è in grado di introdurre una viva speranza dentro ogni umano cammino. Le nostre promesse, fragili, incostanti e segnate da tanti fallimenti, sono – già – diventate un «sì» davanti al Padre, perché il Figlio garantisce in eterno che la nostra esistenza, innestata nella sua, è già una vita filiale, meritevole di essere eternamente offerta e accolta nell’abbraccio del Padre:

«Per questo sempre attraverso di lui sale a Dio il nostro “amen”» per la sua gloria». (2Cor 1,20).

Forti di questa speranza, possiamo raccogliere la chiamata a fare di quello che siamo un semplice, splendido ‘sì’ al Padre. Basta smettere di lamentarci perché le cose non vanno come vorremmo e le promesse non si realizzano secondo i nostri tempi. Ogni cosa, accolta con un cuore aperto e grato, può ritrovare il suo profumo di vita, nella misura in cui siamo disposti ad affrontare il peso di ogni giorno con l’unica potenza di questo imprescindibile monosillabo – «sì» – con cui diamo il nostro assenso al disegno di Dio su di noi. Perché la nostra vita salga al Padre, trasformata in ciò che ormai siamo: «sale» (Mt 5,13) che annuncia il sapore della storia; «luce» (Mt 5,14) che proclama umilmente la fine della notte, il giorno ormai vicino.

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Nella Bibbia, il sale (halas, ἅλας) è un elemento di comunione tra alleati e aggiungere il sale ai sacrifici significava ribadire il patto di alleanza con Dio. Tra le molte simbologie del sale, qui prevale quella del “sale della sapienza”, per cui il sapiente è chi ha sapore mentre l’insipiente può essere definito “insipido”. Infatti, il verbo che indica il rischio del sale di “perdere sapore” (mōrainō, μωραίνω), ha la stessa radice di moròs, che vuol dire “stupido, sciocco”. Secondo una possibile interpretazione, con questa espressione Matteo intende di solito “la terra d’Israele”. Per indicare il mondo, infatti, utilizza un altro termine, kosmos (κόσμος), che sembra ampliare il significato della terra, forse alludendo fin d’ora alla missione ai pagani. Questa sfumatura è rilevante proprio per queste conseguenze teologiche. L’accostamento tra la luce e le opere buone (kalà èrga, καλὰ ἔργα) si spiega attraverso il significato letterale dell’espressione, cioè “opere belle” da vedersi. Nel greco di Matteo, kalòs (bello) e agathòs (buono) sono sinonimi e si distinguono solo perché kalòs descrive quanto ha un aspetto più visibile.

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