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Nella Settanta il termine makàrios (μακάριος) traduce l’ebraico ’ašrê con cui, tra l’altro, si apre il Sal 1, richiamando un tratto comune a molta letteratura sapienziale: i macarismi sono parole performative date da Dio perché l’uomo giunga alla felicità. Una felicità paradossale, da cercare nello stato a cui è misteriosamente connessa e in cui si può già scorgere la presenza del Regno. Pur essendo escluso sul piano grammaticale un significato al futuro, vi è una tensione escatologica dove il macarismo rimanda a un compimento futuro attraverso il “passivo divino”.
Il dativo di relazione tô pnèumati (τῷ πνεύματι) si può rendere con “quanto allo spirito”, nel senso non dello Spirito di Dio ma di quello umano, dell’intimo della persona. Matteo potrebbe intendere qui che ciò che conta è non solo e non tanto la povertà materiale, ma la povertà profonda, quella del cuore, la disposizione dell’animo di chi sopporta con fiducia ogni cosa sottomettendosi a Dio.
Tema caratteristico di Matteo, la giustizia (dikaiosùne, δικαιοσύνη) è anzitutto un attributo di Dio: non ha a che fare con la giustizia sociale ma esprime un agire umano conforme alla volontà di Dio e alla Torà. Averne “fame e sete” significa desiderare di metterla in pratica come impegno di vita, motivo per il quale si può anche arrivare a subire la persecuzione.
Tema caratteristico di Matteo, la giustizia (dikaiosùne, δικαιοσύνη) è anzitutto un attributo di Dio: non ha a che fare con la giustizia sociale ma esprime un agire umano conforme alla volontà di Dio e alla Torà. Averne “fame e sete” significa desiderare di metterla in pratica come impegno di vita, motivo per il quale si può anche arrivare a subire la persecuzione.
Commento alla Liturgia
Lunedì della X settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
2Cor 1,1-7
1Paolo, apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e il fratello Timòteo, alla Chiesa di Dio che è a Corinto e a tutti i santi dell'intera Acaia: 2grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo. 3Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione! 4Egli ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio. 5Poiché, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione. 6Quando siamo tribolati, è per la vostra consolazione e salvezza; quando siamo confortati, è per la vostra consolazione, la quale vi dà forza nel sopportare le medesime sofferenze che anche noi sopportiamo. 7La nostra speranza nei vostri riguardi è salda: sappiamo che, come siete partecipi delle sofferenze, così lo siete anche della consolazione.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 33(34)
R. Gustate e vedete com’è buono il Signore.
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino. R.
Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato. R.
Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce. R.
L’angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono, e li libera.
Gustate e vedete com’è buono il Signore;
beato l’uomo che in lui si rifugia. R.
Vangelo
Mt 5,1-12a
1Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. 2Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: 3"Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. 4Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. 5Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. 6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. 7Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. 8Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. 9Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. 10Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. 11Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi.
Note
Speranza
La liturgia di quest’oggi ci accompagna in due inizi: la lettura corsiva della seconda lettera di Paolo ai Corinzi e l’inizio del discorso della montagna, che comincia con una cascata di «Beati…». La parola di Paolo diventa per noi una chiave di lettura, particolare, dell’inesauribile testo delle beatitudini:
«Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione» (2Cor 1,3-4).
Le beatitudini sono la consolazione della nostra vita e non certo nel senso in cui le interpreta e le apostrofa Nietzsche, che vi legge il manifesto di quella che il filosofo definisce: «la morale dei deboli». Al contrario, come diceva invece il Mahatma Gandhi, si tratta del «messaggio di Gesù in tutta la sua purezza».
Sulla montagna – il luogo in cui sarà tentato nella solitudine (Mt 4,8) e su cui si trasfigurerà davanti ai suoi discepoli (17,1) – il Signore si rivela come il compimento di quelle dieci parole che Dio ha consegnato al suo popolo attraverso il suo servo Mosè e che ora sono poste a fondamento della vita della Chiesa. Con il ritornello «beati», che si ripete per ben dieci volte e che si potrebbe riprendere all’infinito, riceviamo una parola che riconosce, in ogni stato e situazione di vita, un luogo da santificare, conferendo così dignità a ogni condizione esistenziale. L’apostolo Paolo non esita a ricordare che, nella vita dei discepoli, non possono che abbondare «le sofferenze di Cristo in noi» (2Cor 1,5). Pertanto è lo stesso Signore Gesù ad aiutarci con il suo primo insegnamento alle folle: la Magna Carta che rimane come il modello di ogni insegnamento. Il messaggio incandescente è questo: attraverso ogni situazione difficile e penosa si può dare un nuovo inizio alla speranza.
Charles Peguy afferma che «le beatitudini sono il portico della seconda virtù» e questo proprio perché sono beati coloro che hanno una speranza capace di fare da ponte – quasi da collante – tra la fede e l’amore, l’amore e la fede. Lo dice con chiarezza Paolo:
«La nostra speranza nei vostri riguardi è ben salda, convinti che come siete partecipi delle sofferenze così lo siete anche della consolazione» (2Cor 1,7).
Come spiega Simon Decloux: «Gesù non si accontenta di enunciare delle verità universali o dei principi impersonali. Nelle beatitudini si tratta concretamente della vita di Gesù come pure della nostra stessa vita. Questo perché il Signore ci partecipi della sua stessa beatitudine» (S. DECLOUX, Heureux etes-vous, Fidelité, Namur 2005, p. 60). Nei prossimi giorni ascolteremo ancora una volta il discorso della montagna che vuole risuonare al nostro cuore non come una facile consolazione, ma come una reale insurrezione della speranza, contro ogni tentazione di cupa e amara rassegnazione. Chiaramente, ogni volta che un di più di beatitudine viene sperimentato da un cuore, la terra diventa già più ospitale per tutti e la speranza diventa un profumo sottile percepibile da tutti.
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