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Il verbo akouō (ἀκούω) potrebbe alludere non solo all’atto di ascoltare ma anche a una formula rabbinica che indicava una tradizione non rivelata da Dio a Mosè sul Sinai e tuttavia ugualmente considerata normativa grazie attraverso la trasmissione orale. Gesù dunque potrebbe riferirsi non solo ai passi scritturistici (come altrove quando Matteo usa l’espressione “è scritto…”) ma al complesso dell’insegnamento dei farisei e dei rabbini.
La particella dé (δέ) nel Vangelo di Matteo sembra indicare una discontinuità nella narrazione, non tanto avere una valenza avversativa. Avvisa il lettore che occorre cambiare prospettiva per accogliere quanto Gesù sta per dire. Per esprimerne il coordinamento con quanto la precede, in questo capitolo potrebbe essere tradotta quindi con “ebbene”, per sottolineare quanto Gesù aggiunge alla comprensione della Legge, senza volerla contestare.
Commento alla Liturgia
Giovedì della X settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
2Cor 3,15–4,1.3-6
15Fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul loro cuore; 16ma quando vi sarà la conversione al Signore, il velo sarà tolto. 17Il Signore è lo Spirito e, dove c'è lo Spirito del Signore, c'è libertà. 18E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore. 1Perciò, avendo questo ministero, secondo la misericordia che ci è stata accordata, non ci perdiamo d'animo. 3E se il nostro Vangelo rimane velato, lo è in coloro che si perdono: 4in loro, increduli, il dio di questo mondo ha accecato la mente, perché non vedano lo splendore del glorioso vangelo di Cristo, che è immagine di Dio. 5Noi infatti non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù. 6E Dio, che disse: "Rifulga la luce dalle tenebre", rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 84(85)
R. Donaci occhi, Signore, per vedere la tua gloria.
Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore:
egli annuncia la pace.
Sì, la sua salvezza è vicina a chi lo teme,
perché la sua gloria abiti la nostra terra. R.
Amore e verità s’incontreranno,
giustizia e pace si baceranno.
Verità germoglierà dalla terra
e giustizia si affaccerà dal cielo. R.
Certo, il Signore donerà il suo bene
e la nostra terra darà il suo frutto;
giustizia camminerà davanti a lui:
i suoi passi tracceranno il cammino. R.
Vangelo
Mt 5,20-26
20Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. 21Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai ; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. 22Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: "Stupido", dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: "Pazzo", sarà destinato al fuoco della Geènna. 23Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. 25Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. 26In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all'ultimo spicciolo!
Note
Libertà
L’apostolo Paolo non lascia dubbi:
«Il Signore è lo Spirito e, dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà» (2Cor 3,17).
Potremmo parafrasare questo testo paolino dicendo che il Signore è libertà e non si tira indietro davanti all’esigenza di andare oltre tutti i limiti, persino quelli del buon senso o della consuetudine, con una capacità di andare sempre più al cuore e all’essenza delle realtà:
«Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio» (Mt 5,22).
Se i grandi mali cominciano sempre con piccole distrazioni e sottovalutazioni del bene, il cammino di una pienezza di relazione con i nostri fratelli passa sempre attraverso l’attenzione a quei piccoli semi di consapevolezza e d’amore che assicurano, nel tempo, il grande raccolto della misericordia. Il Signore Gesù ci esorta:
«se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 5,20).
Il Maestro non si accontenta di esortarci, ma si fa esempio di una capacità di lettura del reale che si fa sapiente e coraggiosa interpretazione delle Scritture. Superare non significa, nel linguaggio evangelico, mettere da parte, ma andare oltre come si fa percorrendo una strada o salendo una scala: per fare il passo seguente bisogna assicurare al meglio quello precedente per non cadere e farsi male o, peggio ancora, fare del male. Il nostro cuore è un laboratorio quotidiano di perdono poiché è proprio nella capacità di superare la cieca logica di una giustizia meccanica che ci rendiamo diafani alla presenza dello Spirito di Cristo in noi, che si fa visibile e percepibile per quanti ci incontrano. In tal modo si compie in noi, oltre che per noi, la Scrittura:
«E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore» (2Cor 3,18).
Se siamo sinceri, dobbiamo riconoscere come spesso il «Vangelo rimane velato» (4,3) nella nostra vita di apprendisti discepoli, ogni volta che facciamo fatica a credere nella necessità terapeutica di un perdono continuamente ricevuto e ridonato… sempre scambiato come il dono più prezioso e il più necessario alla vita e al suo incremento dentro di noi e attorno a noi:
«Perciò, avendo questo ministero, secondo la misericordia che ci è stata accordata, non ci perdiamo d’animo» (2Cor 4,1).
Concretamente questa decisione per il perdono si esprime in una capacità di decisione senza rimando alcuno e che non ha bisogno di nessun confronto o approvazione esterne, perché si consuma nell’intimità di un cuore esposto alle esigenze della misericordia:
«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24).
In questo breve ma così intenso viaggio dall’altare al fratello e dal fratello all’altare si rivela il nostro grado di libertà; per questo le parole che riprendiamo dal salmo responsoriale possono diventare il grido della nostra supplica in questo giorno: «Donaci occhi, Signore, per vedere la tua gloria»!
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