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Il verbo phileō (φιλέω) ha sempre il significato positivo di “volere bene, essere amico”, a eccezione di questo caso in cui assume l’accezione negativa di predilezione egoistica per sé e i propri interessi.
Il verbo miseō (μισέω) indica solitamente l’avversione del mondo per Gesù e per quanti gli appartengono. Qui invece ha il significato di “disprezzare” la propria vita, ovvero di non metterla al primo posto nella scala dei valori.
Commento alla Liturgia
S. Lorenzo
Prima lettura
2Cor 9,6-10
6Tenete presente questo: chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà. 7Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia. 8Del resto, Dio ha potere di far abbondare in voi ogni grazia perché, avendo sempre il necessario in tutto, possiate compiere generosamente tutte le opere di bene. 9Sta scritto infatti: Ha largheggiato, ha dato ai poveri, la sua giustizia dura in eterno. 10Colui che dà il seme al seminatore e il pane per il nutrimento, darà e moltiplicherà anche la vostra semente e farà crescere i frutti della vostra giustizia.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 111(112)
R. Beato l’uomo che teme il Signore.
Beato l’uomo che teme il Signore
e nei suoi precetti trova grande gioia.
Potente sulla terra sarà la sua stirpe,
la discendenza degli uomini retti sarà benedetta. R.
Felice l’uomo pietoso che dà in prestito,
amministra i suoi beni con giustizia.
Egli non vacillerà in eterno:
eterno sarà il ricordo del giusto. R.
Egli dona largamente ai poveri,
la sua giustizia rimane per sempre,
la sua fronte s’innalza nella gloria. R.
Vangelo
Gv 12,24-26
24In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. 25Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. 26Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà.
Note
Con gioia
Fin dai primi secoli della storia del cristianesimo, il martire san Lorenzo viene raffigurato come un giovane diacono, rivestito della dalmatica, con la graticola su cui è stato arso vivo in una mano, e nell’altra la borsa contenente il «tesoro» di carità della Chiesa romana. In questa immagine troviamo sintetizzati i lineamenti essenziali della sua figura, secondo quanto la letteratura agiografica – tanto incerta quanto vivida e sapiente – ci rende noto di questo appassionato apostolo: una sincera e costante attenzione ai poveri, unita a una rocciosa volontà di dare testimonianza al vangelo di Cristo. Alla richiesta del prefetto dell’imperatore Valeriano che, a metà del III sec. d.C., gli imponeva di consegnare i beni ecclesiastici di cui era amministratore, Lorenzo risponde: «Ecco, questi sono i tesori della Chiesa», non indicando però né oro né argento, ma soltanto una folla di poveri, malati, emarginati di cui egli quotidianamente si prendeva cura e ai quali aveva appena distribuito le offerte contenute nella cassa della Chiesa. Tre giorni dopo questo gesto di grande libertà interiore, che accende lo sdegno del collerico imperatore romano, Lorenzo viene condannato a morte e ucciso, portando a compimento nella sua stessa carne la promessa di Gesù nel vangelo:
«Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore» (Gv 12,26).
Le parole che Paolo rivolge alla comunità di Corinto, continuamente bisognosa di rimettere al centro del suo essere e del suo agire il principio della carità, sembrano essere state ben comprese e vissute dal diacono e martire Lorenzo. Anzi, potremmo considerarle persino il suo perfetto epitaffio:
«Ha largheggiato, ha dato ai poveri, la sua giustizia dura in eterno» (2Cor 9,9).
Tuttavia, la riflessione dell’apostolo ci ricorda il segreto di qualsiasi testimonianza vissuta attraverso il battesimo nel Signore crocifisso e risorto, che non può essere mai imposta, né tantomeno programmata. Infatti, «ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia» (9,7). Potremmo dire, in altre parole, che solo colui che si sente amato personalmente e intimamente da Dio è capace di seminare «con larghezza» (9,6) nel campo del mondo e di «compiere generosamente tutte le opere di bene» (9,8). Vivere il battesimo, fino a saper accettare tutte le sue più radicali conseguenze, impone a ogni discepolo di Cristo la sfida di saper interpretare la vita come un dono che si riceve da «colui che dà» e sempre «darà» (9,10), quindi qualcosa da «restituire» senza indulgere in logiche di paura o rimanere paralizzati dagli istinti di autoconservazione:
«Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,25).
Nella sua estrema dolcezza e nella sua sapiente pedagogia, il Signore Gesù sembra non stancarsi mai di accordarci tutto il tempo necessario per accogliere la logica del vangelo, fino a diventarne creativi e gioiosi interpreti:
«In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24).
Nella notte in cui, tradizionalmente, gli occhi di tutti si levano verso il cielo, alla ricerca di qualche stella cadente, la memoria di san Lorenzo può ravvivare la coscienza che noi pure, in fondo, non siamo altro che luminose meteore, chiamate nel breve transito di questa vita terrena a diventare per tutti un riflesso della luce di Dio, lasciando affondare dentro il terreno della storia l’offerta della vita ricevuta. Il desiderio – o meglio la preghiera – da esprimere in questo giorno può essere allora anche molto semplice: ricominciare ad assumere la responsabilità del nostro battesimo «generosamente» e «con gioia».
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