www.nellaparola.it
Il verbo elegchō (ἐλέγχω) compare solo qui nel Vangelo di Matteo. Significa “correggere, convincere (di un errore commesso), ammonire”. È il verbo utilizzato in Lv 19,17: «Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; “rimprovera” apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui».
Insieme all’occorrenza in 16,18 queste sono le uniche volte in tutti i vangeli dove compare la parola ecclēsia (ἐκκλησία). Nella lettera di Giacomo, “sinagoga” e “ecclesia” sono usate quasi come sinonimi. Infatti entrambi questi termini traducono l’ebraico qāhāl, “assemblea sinagogale”. Poiché nella Bibbia Israele è la “chiesa di Dio”, agli ebrei credenti in Gesù spetta farsi carico della persona che sbaglia, e anche del motivo del suo smarrimento.
Questa endiadi si trova solo qui in tutto il NT. Nel giudaismo del I secolo, i pagani non erano mai disprezzati, mentre i pubblicani o esattori delle tasse erano considerati come ladri e peccatori. Gesù invece non ha preclusioni verso nessuna di queste categorie. È probabile quindi che con questo detto stia invitando i suoi a superare ogni esclusione nella logica del perdono, di una giustizia superiore. Essere come un pagano e un pubblicano – categorie deboli in quanto peccatori – significa essere al centro della cura del Maestro, il quale desidera che la Chiesa faccia altrettanto.
Nel greco classico, il verbo sumphōneō (συμφωνέω) esprime l’accordo degli strumenti in una esecuzione musicale e nella Settanta esprime l’armoniosa bellezza della Torah. Qui è usato per dire che bisogna “accordarsi” per ottenere. Alla comunità dei credenti è dato il potere di “sciogliere”, di aiutare chi ha bisogno, esprimendo un aspetto della carità: quello della comune responsabilità.
Commento alla Liturgia
Mercoledì della XIX settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Dt 34,1-12
1Poi Mosè salì dalle steppe di Moab sul monte Nebo, cima del Pisga, che è di fronte a Gerico. Il Signore gli mostrò tutta la terra: Gàlaad fino a Dan, 2tutto Nèftali, la terra di Èfraim e di Manasse, tutta la terra di Giuda fino al mare occidentale 3e il Negheb, il distretto della valle di Gerico, città delle palme, fino a Soar. 4Il Signore gli disse: "Questa è la terra per la quale io ho giurato ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe: "Io la darò alla tua discendenza". Te l'ho fatta vedere con i tuoi occhi, ma tu non vi entrerai!". 5Mosè, servo del Signore, morì in quel luogo, nella terra di Moab, secondo l'ordine del Signore. 6Fu sepolto nella valle, nella terra di Moab, di fronte a Bet-Peor. Nessuno fino ad oggi ha saputo dove sia la sua tomba. 7Mosè aveva centoventi anni quando morì. Gli occhi non gli si erano spenti e il vigore non gli era venuto meno. 8Gli Israeliti lo piansero nelle steppe di Moab per trenta giorni, finché furono compiuti i giorni di pianto per il lutto di Mosè. 9Giosuè, figlio di Nun, era pieno dello spirito di saggezza, perché Mosè aveva imposto le mani su di lui. Gli Israeliti gli obbedirono e fecero quello che il Signore aveva comandato a Mosè. 10Non è più sorto in Israele un profeta come Mosè, che il Signore conosceva faccia a faccia, 11per tutti i segni e prodigi che il Signore lo aveva mandato a compiere nella terra d'Egitto, contro il faraone, contro i suoi ministri e contro tutta la sua terra, 12e per la mano potente e il terrore grande con cui Mosè aveva operato davanti agli occhi di tutto Israele.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 65(66)
R. Sia benedetto Dio: è lui che ci mantiene tra i viventi.
Oppure:
R. Benedetto sei tu, Signore, Dio della mia vita.
Acclamate Dio, voi tutti della terra,
cantate la gloria del suo nome,
dategli gloria con la lode.
Dite a Dio: «Terribili sono le tue opere!». R.
Venite e vedete le opere di Dio,
terribile nel suo agire sugli uomini.
Popoli, benedite il nostro Dio,
fate risuonare la voce della sua lode. R.
Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,
e narrerò quanto per me ha fatto.
A lui gridai con la mia bocca,
lo esaltai con la mia lingua. R.
Vangelo
Mt 18,15-20
15Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va' e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. 18In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. 19In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d'accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. 20Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro".
Note
Approfondimenti
Con questa celebre frase, Gesù fa capire che è possibile sperimentare la sua presenza proprio nella comunione, nella fragile “sinfonia” di “due o tre” che si radunano nel suo nome.
Matteo offre così un indizio per rispondere alla grande domanda che percorre tutto il suo Vangelo: come può il Dio-con-noi (Mt 1,23) essere con i suoi “tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (28,20)?
I lettori di Matteo conoscevano il concetto di Shekinà, quella presenza di Dio non limitata al santuario, ma estesa a ogni sua manifestazione. Dopo la caduta del tempio, tristemente nota ai lettori di Matteo, la presenza di Dio “in mezzo” ai suoi è segnalata proprio dalla Torah – che Gesù non è venuto a sostituire ma ad approfondire – e da Gesù stesso.
Accordare!
La parola del Signore Gesù su quella che comunemente chiamiamo “correzione fraterna” porta, in realtà, alla luce il legame indissolubile che la creazione ha istituito tra il cielo e la terra, tra Dio e l’uomo, tra l’uomo e il cosmo. La parola del Signore rivolta a tutti «i suoi discepoli» risuona forte e chiara:
«tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo» (Mt 18,18).
Si può certamente fondare su questo versetto la necessaria potestà che si esercita competentemente nella Chiesa, ma su questa parola solenne del Signore affonda le sue radici la verità di ogni relazione non solo col «fratello» (18,15) ma col cosmo intero. Ciò che si fa all’altro, ciò che si vive con l’altro, ciò che si affronta per l’altro non si risolve «sulla terra» ma ha la sua conseguenza e, per certi aspetti, raggiunge la sua pienezza di senso «in cielo». Un monaco così commenta l’imprescindibile legame che intercorre tra Cristo e la Chiesa, tra ciascuno e ogni suo simile: «Tutto è comune tra lo Sposo e la sposa: l'onore di ricevere la confessione e il potere della remissione. Come Sposo umile e fedele, non vuole fare niente senza la sposa. Guardati bene dal separare il capo dal corpo; non impedire a Cristo di esistere interamente; perché Cristo non è mai intero senza la Chiesa, e nemmeno la Chiesa lo può essere senza Cristo. Cristo totale, integro è il capo e il corpo» (ISACCO DELLA STELLA, Omelie, 11, 13). Di questa integrità siamo tutti responsabili e artefici attraverso la correzione e il perdono.
Partendo da questo orizzonte, prima che arrogarsi il diritto di ammonire l’altro in tanti modi, è necessario premunirsi dal rischio di pensare che persino le realtà che vanno affrontate «fra te e lui solo» (18,15) hanno una conseguenza «in cielo» e quindi una valenza eterna e che riguarda tutti e tutto, perché aumenta o impoverisce quell’armonia che è principio e condizione della vita piena. Il Signore ci assicura solennemente che
«se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà» (Mt 18,19).
Ac-cordarsi per chiedere nella preghiera non può che essere il segno e il frutto di una con-cordia nel vivere fino a «dare la vita» (Gv 15,13). E questo è possibile solo – come ama ripetere Chiara Lubich – se accettiamo e amiamo di mettere di «mezzo» (Mt 18,20) e al centro assoluto delle nostre relazioni umane il Signore Gesù e la sua logica pasquale. In questa medesima logica: «Mosè, servo del Signore, morì in quel luogo, nel paese di Moab…» (Dt 34,5) in adempimento sereno della terribile parola:
«Te l’ho fatto vedere con i tuoi occhi, ma tu non vi entrerai!» (Dt 34, 4).
Eppure la morte di Mosé non crea, per molti aspetti, nessun vuoto, ma subito «Giosué figlio di Nun» (34,9) è in grado di prendere il suo posto e di assicurare serenamente la continuazione e il coronamento dell’esodo. Il grande Mosè, «con il quale il Signore parlava faccia a faccia» (34,10), ha vissuto con-cordemente non solo con Dio ma anche con Giosué, il quale «era pieno dello spirito di saggezza, perché Mosè aveva imposto le mani su di lui» (34,9). Mosè occupa interamente il suo posto e onora il suo ruolo ma con la grande capacità di essere serenamente sostituibile, perché assolutamente accordato sulla volontà di Dio come fosse uno strumento musicale nelle mani dell’artista. Forse il grande dramma che si nasconde sotto ogni «colpa» (Mt 18,15) che rompe la comunione è proprio la fatica ad accordare lo strumento del nostro cuore prima di farlo suonare e talora, ahimé, stonare!
Cerca nei commenti