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L’accostamento è un’endiadi, poiché i due vocaboli indicano la stessa cosa. Con il termine chronos (χρόνος) si designa lo scorrere o la durata del tempo, mentre con kairos (καιρός) si sottolinea la qualità del tempo come occasione unica e irripetibile. Nella Bibbia greca i due termini sono utilizzati in coppia per rafforzarne il significato.
Nell’epistolario paolino, con il termine skotos (σκότος) si indica la situazione di chi è estraneo alla fede o la rinnega con uno stile di vita incoerente. Nella tradizione biblica e giudaica, le tenebre sono associate alle esperienze negative di ogni tipo. Su 31 occorrenze del termine nel NT, 10 si trovano nelle lettere di Paolo.
L’espressione “figli della luce” compare nel NT in contrapposizione con le tenebre o con la mondanità (cf. Lc 16,8; Gv 12,36…), mentre in nessun testo del NT si trova l’espressione antitetica “figli delle tenebre”. In 1Ts, l’espressione simmetrica “figli del giorno” è una creazione paolina che non ha riscontro in altri testi e rimanda al “giorno del Signore”, riletto in chiave positiva.
Commento alla Liturgia
Martedì della XXII settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
1Ts 5,1-6.9-11
1Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; 2infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. 3E quando la gente dirà: "C'è pace e sicurezza!", allora d'improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire. 4Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. 5Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. 6Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri. 9Dio infatti non ci ha destinati alla sua ira, ma ad ottenere la salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. 10Egli è morto per noi perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui. 11Perciò confortatevi a vicenda e siate di aiuto gli uni agli altri, come già fate.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 26(27)
R. Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi.
Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura? R.
Una cosa ho chiesto al Signore,
questa sola io cerco:
abitare nella casa del Signore
tutti i giorni della mia vita,
per contemplare la bellezza del Signore
e ammirare il suo santuario. R.
Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore. R.
Vangelo
Lc 4,31-37
31Poi scese a Cafàrnao, città della Galilea, e in giorno di sabato insegnava alla gente. 32Erano stupiti del suo insegnamento perché la sua parola aveva autorità. 33Nella sinagoga c'era un uomo che era posseduto da un demonio impuro; cominciò a gridare forte: 34"Basta! Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!". 35Gesù gli ordinò severamente: "Taci! Esci da lui!". E il demonio lo gettò a terra in mezzo alla gente e uscì da lui, senza fargli alcun male. 36Tutti furono presi da timore e si dicevano l'un l'altro: "Che parola è mai questa, che comanda con autorità e potenza agli spiriti impuri ed essi se ne vanno?". 37E la sua fama si diffondeva in ogni luogo della regione circostante.
Note
Approfondimenti
Nella Bibbia dei Settanta, questa espressione traduce l’ebraico yôm JHWH, che in senso metaforico si riferisce all’intervento di Dio giudice, che condanna l’infedeltà del popolo e l’empietà delle nazioni, ma allo stesso tempo difende i poveri e libera i giusti dall’oppressione.
Nei testi profetici post-esilio, il giorno del Signore è anche il giorno del riscatto di Israele.
La Lettera ai Romani riprende le espressioni dei profeti, chiamando il giudizio di Dio “giorno dell’ira” (Rm 2,6), mentre in 1-2Corinzi assume una valenza positiva come compimento della salvezza.
Qui in 1Ts 5,2, “il giorno del Signore”, associato all’immagine minacciosa del ladro notturno, si riferisce al giudizio di Dio della tradizione profetica, giorno di rovina per gli empi.
L’espressione greca (τί ἡμῖν καὶ σοί) è idiomatica: «Che c’è in comune tra noi?», oppure «Perché ci dai noia?». Questa forma ha un’origine semitica, anche se è entrata nel greco del tempo di Gesù. La sua equivalente nell’Antico Testamento ha solitamente due significati.
La prima sfumatura implica ostilità, la seconda solo la volontà di non rimanere coinvolto in una situazione.
Insieme
Le conseguenze del mistero pasquale di Cristo nella nostra vita — si diceva ieri — sono meravigliose e certe, tuttavia non ci è dato né conoscere, né poter stabilire i tempi e i modi della loro attuazione all’interno della nostra storia personale e, più in generale, nella storia del mondo, il cui sviluppo ci appare spesso così incerto e preoccupante. Paragonando la rigenerazione nelle acque battesimali a un’esistenza finalmente affrancata dal potere del male e dalla paura della morte, l’apostolo Paolo non cerca di incantare i suoi discepoli credenti con il fascino di straordinarie illuminazioni. La vittoria di Cristo sul peccato è, semplicemente, una chiave con cui è possibile interpretare al meglio il presente, senza nutrire il sospetto che il futuro possa venire per togliere e distruggere il sogno di una vita piena:
«Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre» (1Ts 6,4-5).
Il fatto che il Padre abbia deciso di giocare a carte così scoperte con la nostra umanità, fino al punto da rivelare nel dono del suo unigenito Figlio – che «è morto per noi» (6,10) – il suo infinito amore, può essere inteso come il sorgere di una luce così certa e invincibile da impedire a qualsiasi tenebra di poter diventare – troppo facilmente – il centro direzionale del nostro modo di valutare e agire. Aver compreso che «Dio non ci ha destinati alla sua ira, ma ad ottenere la salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo» (6,9), non significa essere esentati dalla fatica di maturare e compiere ogni passo per aumentare il livello di umanità in noi e attorno a noi, costruendo il Regno di Dio con pazienza e mitezza. Ma, consapevoli che «sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui» (6,10), possiamo riposare nell’unica certezza che la nostra vita, non essendo più né sola né isolata, non può neanche più inseguire alcun desiderio di felicità che non sia – almeno nelle intenzioni – una condivisione con gli altri della fatica e della gioia di vivere:
«Perciò confortatevi a vicenda e siate di aiuto gli uni agli altri, come già fate» (1Ts 6,11).
Non è affatto scontato che il battesimo ricevuto nella fede conferisca al nostro modo di abitare il tempo e lo spazio un’apertura fiduciosa verso gli altri, che sgorga da un cuore luminoso, perché pacificato e unificato. Anzi, è sconcertante scoprire come, pur essendo ormai figli della luce e del giorno, ci scopriamo ancora capaci di amare le tenebre, di subire il fascino della tristezza, di stringere segrete alleanze con il peccato. Pur frequentando gli spazi del sacro, e avendo sulle labbra le parole della fede:
«Nella sinagoga c’era un uomo che era posseduto da un demonio impuro; cominciò a gridare forte: «Basta! Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio» (Lc 4,33-34).
All’uomo abitato dallo spirito impuro non è sufficiente, per uscire dalle tenebre e camminare nella luce, osservare l’«autorità» con cui Gesù parla e si pone davanti a tutti. Anzi, la descrizione dell’esorcismo con cui il Signore compie la sua opera di guarigione lascia intendere che solo attraverso un cammino difficile e sofferto possiamo essere liberati dal potere della morte: «E il demonio lo gettò a terra in mezzo alla gente e uscì da lui, senza fargli alcun male» (4,35).
Tuttavia, la nota che l’evangelista pone a sigillo dell’esorcismo regala una grande speranza, forse l’unica in grado di rassicurare davvero il nostro cuore di fronte alle sfide più lunghe e sofferte con cui si deve continuamente misurare. Per quanto possa essere arduo vivere come figli della luce, per nulla spaventati dall’autorità della luce vera che ormai splende e illumina ogni uomo, non può – e non potrà – farci alcun male assumere fino in fondo tutte le conseguenze del battesimo. Al massimo potrà distruggere quel muro di gomma che ci separa «l’un l’altro» e, ogni giorno, ci impedisce di ascoltare la parola di Dio, di cercare insieme la sua forza e la sua verità:
«Che parola è mai questa, che comanda con autorità e potenza agli spiriti impuri ed essi se ne vanno?» (Lc 4,36).
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